Israele: Gaza City nell’offensiva terrestre. E’ davvero possibile un “colpo finale”?

Di Bruno Di Gioacchino

TEL AVIV. L’ingresso di carri armati e unità terrestri dell’IDF a poche centinaia di metri fino a circa 3 chilometri dal centro urbano di Gaza City segna una fase critica e prevedibile dell’operazione israeliana: non un colpo d’effetto risolutivo ma l’avvio di un processo di guerra urbana intenso, frammentato e dal prezzo umano, politico e logistico altissimo.

Un carro armato Merkava dell’Esercito israeliano

Le notizie sul campo – tra evacuazioni su larga scala, ospedali costretti a sospendere le attività e avvisi che riconoscono formalmente come “protette” solo alcune strutture mediche – chiariscono il profilo operativo e le catene di conseguenza che ne derivano.

Obiettivo tattico contro obiettivo strategico

Sul piano puramente militare, l’avanzata verso il centro di Gaza City risponde a obiettivi tattici ben definiti: neutralizzare capisaldi di comando, smantellare reti di tunnel, individuare e colpire i grandi nuclei urbani dove Hamas ha concentrazioni logistiche e comando operativo.

Distruzioni a Gaza City

 

La guerra urbana è però per definizione favorevole alla difesa: richiede progressi centimetro per centimetro, uso massiccio di fuoco di precisione e non, attività di bonifica edificio per edificio e risorse umane e materiali continue.

Le fonti sul terreno descrivono progressi locali dei mezzi corazzati ma anche danni estesi a infrastrutture civili e sanitarie, un segnale che la campagna è più un processo di logoramento che un’operazione lampo.

Il fattore politico interno israeliano

La scelta di intensificare le operazioni trova terreno fertile nella pressione politica che grava sull’esecutivo israeliano: dopo l’attacco del 7 ottobre 2023 e il trauma degli ostaggi, esiste un’esigenza di mostrare di “fare qualcosa” di concreto.

Tuttavia, anche analisti ed ex-alti Comandi militari hanno più volte sottolineato i limiti della retorica dell’“annientamento” totale: occupare o controllare durablemte un’area urbana così densa comporterebbe costi di sicurezza interna, spese logistiche immani e un peso diplomatico che potrebbe erodere consensi esterni fondamentali.

La dialettica politica interna influenza dunque il ritmo operativo, con il rischio che scelte militari vengano prese anche per ragioni simboliche o di consenso, non solo per calcoli puramente strategici.

Resilienza urbana e capacità di sopravvivenza di Hamas

Le caratteristiche fisiche e sociali di Gaza – densità abitativa, estesa rete sotterranea di passaggi, uso di ambienti civili come copertura e la compresenza di civili intrappolati – rendono la sconfitta rapida di un’organizzazione come Hamas assai improbabile.

Soldati dell’IDF in azione

 

Anche penetrando fisicamente il centro della città, l’IDF si trova davanti alla necessità di operazioni di “clearing and holding”, ripetuti tentativi di bonifica e una presenza di terra prolungata per impedire la riorganizzazione.

Storie recenti di edifici-rifugio colpiti, ospedali sotto pressione e strutture sanitarie fuori servizio mostrano come la capacità di combattimento del difensore si intrecci con la tragedia civile, complicando ulteriormente qualsiasi “soluzione militare” definitiva.

Il vincolo internazionale e il costo politico esterno

L’intensificazione delle operazioni ha già prodotto reazioni internazionali, richieste di corridoi umanitari e crescenti allarmi per una situazione alimentare e sanitaria catastrofica.

Condanne diplomatiche, pressioni per limitare forniture belliche e richieste di indagini sulle modalità di impiego della forza possono tradursi in costi concreti per Israele: restrizioni operative, isolamento politico temporaneo o condizionamenti degli aiuti materiali.

Ogni escalation che provoca danni massicci alle infrastrutture civili e sanitarie rischia quindi di produrre un effetto boomerang politico, riducendo l’appoggio esterno necessario per sostenere una lunga occupazione o una ricostruzione successiva.

Quanto probabile è un “colpo finale” duraturo?

Sul piano teorico, un’operazione capace di azzerare la componente militare e politica di Hamas esiste come possibilità tecnica solo se accompagnata da un’occupazione prolungata e da politiche socio-politiche di smantellamento dell’apparato: un percorso costoso, rischioso e potenzialmente destabilizzante per l’intera regione.

In termini realistici, lo scenario più plausibile è un’evoluzione a più fasi: occupazione e bonifica dei nodi urbani principali, operazioni successive contro stronghold in campi e aree periferiche, e un periodo prolungato di controllo e pressioni esterne attraverso blocchi e limitazioni.

Questo non garantirebbe però l’eliminazione totale della resilienza di Hamas e potrebbe lasciare spazio a forme di resistenza e di frammentazione che si riformano nel tempo.

Conclusione: rischi, costi e possibili vie d’uscita

L’operazione in corso a Gaza City è più coerente con un piano tattico di degradazione delle capacità avversarie che con un’idea immediata di “colpo finale”.

I costi di tale strategia – umani, politici e diplomatici – rischiano di superare i benefici immediati se non accompagnati da una chiara strategia post-conflitto, meccanismi di governance e sostegni internazionali per la ricostruzione e la stabilizzazione.

Senza una visione credibile di lungo periodo che contempli non solo la componente militare ma anche quella politica, umanitaria e di sicurezza, l’esito più probabile è un conflitto prolungato, con un prezzo pagato in primo luogo dalla popolazione civile e una regione più instabile al termine delle ostilità.

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