Di Paola Ducci*
BONN. Il pomeriggio del 22 aprile 1954 circa 200 giornalisti si riunirono a Bonn per una conferenza stampa: erano stati invitati a incontrare un certo Nikolai Evgenievich Khokhlov, un Capitano della neonata Forza di sicurezza dell’Unione Sovietica, il KGB.
O meglio, un ex Capitano.

Khokhlov infatti era arrivato in Germania con il compito di assassinare il leader di un’organizzazione anticomunista ma, una volta in Occidente, aveva disertato, rivelando l’obiettivo e consegnandosi agli agenti statunitensi.
Ora non era più al centro di un complotto omicida, ma di un importante evento mediatico.
Khokhlov fu il protagonista assoluto di quella conferenza stampa in cui presentò la sua storia, in una stanza gremita ed eccitata.
In quella stessa sede presentò 4 speciali armi da fuoco diverse da qualsiasi altra cosa il mondo avesse mai visto prima.
Il 32enne Khokhlov era un “giovane biondo, esile e dall’aspetto da studioso. Era vestito con cura: indossava un abito blu scuro e portava gli occhiali”, riporta il New York Times. Il giornalista del Times osservò che il disertore era sicuro di sé, calmo e “abile” nel rispondere alle domande in russo.
Sebbene la conferenza stampa di Khokhlov fosse avvenuta poche settimane dopo un’altra defezione di alto profilo di un funzionario del KGB in Australia, le sue azioni erano state così emozionanti da attirare i titoli dei giornali. Inoltre aveva portato con sé le armi speciali costruite per il complotto: due apparentemente normali portasigarette.
“Ma sono armi ideali per un killer”, scrisse all’epoca l’Associated Press, “proprio per il loro aspetto innocente, per la leggerezza e l’efficienza”.
Due delle quattro pistole erano dotate di tre canne calibro 25 a colpo singolo caricate con proiettili a punta cava riempiti di cianuro di potassio.
Questi proiettili avvelenati contenevano una miscela di due terzi di cianuro di potassio e un terzo di gomma legante per sigillarla nella punta cava del proiettile.
Ogni proiettile conteneva circa mezzo grammo di veleno, più di 100 volte la dose letale.
I proiettili erano chiusi insieme in un unico pacchetto triplo che veniva caricato nella canna delle pistole dall’alto. La lunghezza della canna era trascurabile quindi il tiratore doveva essere molto vicino al bersaglio per sparare. Se si veniva colpiti da uno di questi proiettili la morte era praticamente assicurata
Cosa forse ancora più sorprendente per quegli anni era il fatto che le pistole utilizzavano sia un sistema di accensione elettronica alimentato da batterie per torce elettriche sia munizioni a pistone vincolato, forse il primo esperimento di grande successo in questo campo.

Quando vengono sparate, queste cartucce sono quasi silenziose perché tutti i gas in espansione vengono catturati da un pistone che spinge il proiettile in avanti e contemporaneamente chiude la cartuccia. Secondo Khokhlov il suono dello sparo non era più forte di uno schiocco di dita, praticamente impercettibile nella maggior parte degli ambienti e delle situazioni.
Le altre due armi da fuoco erano camuffate da portasigarette, destinate a un attacco a distanza ravvicinata.
Khokhlov le descrisse come un sistema d’arma, poiché non assomigliavano in alcun modo a pistole convenzionali.
Quando il coperchio del portasigarette era aperto, all’interno erano visibili vere parti di sigaretta piene di tabacco che nascondevano la canna dell’arma e una camera di espansione che fungeva da soppressore acustico.
Il coperchio stesso del portasigarette serviva da sicura per impedire uno sparo accidentale fino a quando il bersaglio non fosse stato presente.
Un portasigarette conteneva due canne, l’altro quattro canne.
Il meccanismo di scatto era costituito da un pulsante posto sulla parte superiore del portasigarette, esattamente nel punto in cui il pollice si appoggia naturalmente quando si tiene in mano un pacchetto di sigarette.
Il rivestimento in pelle era stato rasato nella parte inferiore per consentire al pollice dell’assassino di trovare facilmente il pulsante, nascondendolo alla vista.
Senza meccanismo di mira l’assassino doveva ovviamente trovarsi proprio di fronte al bersaglio, così un portasigarette era lo strumento perfetto, perché l’assassino poteva avvicinarsi al bersaglio tenendo il portasigarette davanti a sé, come se offrisse una sigaretta. Un gesto del genere sarebbe stato considerato innocuo sia dal bersaglio che da eventuali testimoni presenti.
Questo è stato l’unico impiego documentato di queste armi particolari, e solo perché il killer le ha presentate volontariamente al mondo.
Sebbene Khokhlov descrivesse queste armi come progettate e fabbricate appositamente per questa missione, ci si chiede quante volte armi come queste siano state usate dai sovietici per liquidare un bersaglio senza che il mondo ne fosse mai, o ne sia stato ad oggi, a conoscenza.
*Editor per l’Ufficio Storico dello Stato Maggiore della Difesa
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