La Leva era un bene prezioso per la società. Le nuove proposte non ne facciano una parodia

Di Vincenzo Santo*

ROMA. Il tema della “Leva” non si può affrontare in poche righe. Ci provo.

Nel mio trascorso professionale ho lavorato per anni con la Leva e con i Volontari.

Soldati ai tempi della Leva

E la Brigata Garibaldi, negli anni in cui ne sono stato il Capo di Stato Maggiore, è stata la prima a ricevere e far crescere i neoassunti Volontari in Servizio Permanente (VSP).

Peraltro, questa, una contraddizione in termini. Quindi, conosco bene le due realtà.

Tant’è che già allora, noi della Garibaldi ci chiedemmo cosa se ne sarebbe fatto di questi “giovani” in età più avanzata, diciamo dopo 20 anni, nella considerazione che per molti di loro sarebbe risultato difficile svolgere incarichi con un impegno fisico importante, impegno che un ventenne “selezionato” non ha difficoltà a svolgere.

Ma davamo fastidio, evidentemente, per una tematica che aveva come altro fondamentale “scopo politico” quello di alleviare la disoccupazione meridionale.

Nessun altro se n’è mai preoccupato. Il motivo è semplice: pochi, e dico pochi, e a mio giudizio a tutti i livelli anche oggi, hanno idea di cosa significasse preparare, per esempio, una compagnia fucilieri al combattimento, e quanto addestramento fosse necessario e quanta fatica fisica comportasse in quei lunghi undici mesi, tolto l’iniziale periodo presso i battaglioni di addestramento reclute.

E, oggi, quanto sarebbe necessario mantenere quella capacità, in fatica e denaro.

Si crede che essendo diventato un professionista “portatore legittimo della violenza”, questo valga per sempre anche senza far nulla per mantenerne la capacità psico-fisica. Gravissimo!

Perché, al di là del comprensibile afflato verso l’innovazione tecnologica, l’intelligenza artificiale che può far tutto, il digitale in ogni dove, la realtà della trincea ritorna analogica probabilmente già dopo la prima ora di combattimento e richiede un consumato adattamento psico-fisico per sopravvivervi.

Questa, secondo me, è la più importante lezione da trarre dagli attuali conflitti, che sia quello in Ucraina o nel Caucaso.

La mappa dell’Ucraina

L’avvento del professionismo fu un evento benvenuto da tutti all’indomani della “sospensione” della Leva, sia chiaro. Forse affrettato.

Il Libano prima e in seguito la Somalia avevano probabilmente messo in luce la comoda convinzione nazionale sull’impiego solo di volontari, di qualsiasi genere fossero, e non dei coscritti, in missioni che comunque, al di là del falso ideologico nella definizione “di pace”, non escludevano il rischio.

Soldati italiani nella battaglia di Mogadiscio del 1993

Con i professionisti ci si è levati questo peso dalla coscienza.

E, tuttavia, non si poteva non guardare ai nostri caduti, anche se volontari, con indifferenza. Quindi tutti eroi quelli deceduti a qualsiasi titolo, smarrendo di questo termine il reale significato.

Coscienza a posto. Diciamocelo.

Ora, confesso, io non ce la faccio più a sentire le baggianate relative alla reintroduzione della Leva. Magari fosse possibile. Ci metterei la firma. Lo giuro.

Ma non per questo non applaudo al professionismo. Proprio per questo motivo, tutto ciò che da alcune parti della politica arriva, e ormai accade da tempo in diverse salse (e oggi il ritornello, basato sull’assunto che “bisognerebbe fare un ragionamento su un servizio civile o militare per i ragazzi a disposizione della collettività”, sarebbe che i giovani “mettano qualche mese della loro esistenza a disposizione della collettività, aiuterebbe loro e il Paese”), non ha senso pratico.

Non fosse altro che ci sono tantissime altre realtà sociali che possono consentire ai giovani di mettersi a disposizione della collettività. A partire dalla Protezione Civile.

Operatori della Protezione Civile

Quindi, si parla di servizio civile o militare? E già qui, ci si mette dinanzi a un bivio interpretativo che la dice lunga sulla chiarezza di idee.

Comunque sia, deve essere ben chiaro che, come sempre, rimane da capire tutta la complessa fase dell’execution.

Si tratta infatti di un argomento complesso, che sia civile o militare, e dalle inevitabili forti ripercussioni sulla società e sulle casse dello Stato.

Alcuni dati statistici

Quindi, non merita approssimazioni populiste o sfuriate ideologiche. Se poi entriamo nella sfera del cittadino in armi, la cosa si complica.

I numeri parlano chiaro, o lo farebbero se quel qualcuno li volesse ascoltare e prendere in considerazione prima di sparare slogan banali.

L’attuale classe di leva, diciamo i diciottenni, in riferimento all’anno scolastico 2020/2021, si aggira sui 560 mila giovani, ragazzi e ragazze.

Potremmo sul serio permetterci il lusso di tenerli tutti sotto le armi? E per quale durata?

E, infine, per farli diventare che cosa, soldati o spazzini a buon mercato? Li si deve pagare oppure no? E se sì, la ritrovata “decade” di un tempo andato a quanto dovrebbe ammontare? Già con 10 euro giornalieri avremmo una spesa intorno ai 5 milioni al giorno.

Vabbè, diciamo che non tutti andrebbero sotto le armi. Bene, a parte quel 20%, stimato, di inidonei o esentati per vari aspetti e necessità familiari, assumiamo che il bacino si aggiri sui 300 mila.

Ecco, questi li incorporiamo tutti? E se no, perché, come io credo, non potremmo permettercelo, chi e quanti sarebbero i fortunati che verrebbero incorporati, che avranno quindi la soddisfazione di comprendere e far propri i valori patriottici, o gli sfortunati che verrebbero esentati?

Messa in un angolo la retribuzione, come la mettiamo con vestizione, equipaggiamento, armamento e con altri costi per la vita giornaliera: dal vitto all’alloggiamento, dal consumo elettrico al riscaldamento, dalla lisciviatura degli effetti personali e di quelli letterecci alle spese per sarto, calzolaio e barbiere?

Leva: il c’era una volta di una stanza

E come la mettiamo con i costi dell’addestramento: dalle munizioni al consumo di munizioni e carburante e all’usura stessa degli automezzi?

E i controlli sanitari li faremmo con quali ospedali e con quali equipe mediche?  E, infine, di quali caserme parliamo? Recuperiamo tutte quelle che abbiamo dismesse?

La totalità ormai fuori da qualsiasi standard abitativo? In sostanza, si hanno le idee chiare di quanto costerebbe il tutto a regìme e, prima di quello, quanto graverebbe sulle casse dello Stato ricreare tutto un sistema così complesso e articolato?

No, lo dico io, non se ne ha idea alcuna. Forse sono tutti rimasti ammaliati a quello squallido programma di qualche tempo fa dal titolo “La Caserma”. Vergognoso. Ci riproviamo?

Certo, se dobbiamo fare una rinnovata e comoda sceneggiata dimostrativa, come la Mini Naja, con un addestramento di tre o più settimane, o 40 giorni, con lo scopo di “rafforzare tra i giovani la conoscenza e la condivisione dei valori che promanano dalle Forze armate”, nessun problema, si proceda pure per fare qualcosa che non ha alcuna utilità né militare né sociale, ma solo un bellissimo e utilissimo spot propagandistico, ma sempre troppo costoso.

E questo, se vogliamo, è solo un primo punto. Mi è capitato, infatti, di leggere un recente commento di un cittadino qualsiasi.

Questi, in riferimento all’ennesima affermazione propositiva sul tema della naja da parte di un politico, ha manifestato la preoccupazione che una tale proposta “sia un ritorno al passato che non ci meritiamo”.

Non ci meritiamo? Pazzesco! Purtroppo, a fianco di politici che secondo me hanno idee poco chiare, abbiamo anche gente del popolo che galleggia nella piacevole e comoda ignoranza.

Ignoranza perché non si possono avere dubbi sul fatto che il servizio militare, pur sapendo e riconoscendo l’esistenza di realtà negligenti in un apparato imperfetto, per molti ragazzi costituisse una preziosa opportunità.

E in questo concordo con chi sembri avere nostalgia per la Leva pur avendola scampata. Parlo di conoscenza della vita, grazie all’esperienza quotidiana, fraterna, con altri commilitoni provenienti da altre regioni, da realtà sociali e familiari completamente diverse.

Parlo del senso di responsabilità che veniva acquisito, del senso e del rispetto per l’autorità. Non ultimo, l’utilità sociale dei controlli sanitari, preliminari e durante il servizio stesso.

Nonché, per tantissimi, persino l’impossessarsi di un mestiere: dai conducenti di varie tipologie di mezzi, ai cuochi e camerieri, dagli elettricisti ai falegnami, dai muratori agli imbianchini e agli idraulici, dai meccanici di automezzi e mezzi pesanti ai conduttori di impianti complessi e ai tecnici informatici agli infermieri e così via.

Dimentico di certo molto altro. Tutto a loro beneficio. E a beneficio della società, il vedersi restituire molti altri cittadini migliori. E, secondo la mia esperienza di comandante e istruttore, un patrimonio umano ben preparato nel fare il soldato, anche su “richiamo”.

Non ultimo, infatti, entra di diritto nella questione la grande e fondamentale necessità di riprendere alla mano la “mobilitazione”.

E i suoi costi per ricostruire un sistema complesso. Tralascio qualsiasi collaterale considerazione, che collaterale proprio non lo sarebbe, sulla qualità dell’addestramento svolto, ne ho già scritto su altre pagine.

Quindi, chiedo, fossimo oggi costretti ad affrontare una “seria” situazione bellica, come ci piace dire “ad alta intensità”, crederemmo davvero di poterla fronteggiare con i soli volontari, bravi che siano, o con le cosiddette forze di completamento volontarie, di cui anche alla nota Riserva Selezionata?

O ci illudiamo che potrebbe bastare quella riserva di 10 mila unità che mi pare si voglia costituire, magari riempiendo i ruoli con i giovinotti “vaccinati” con solo 40 giorni trascorsi a fare i boy scout? Non scherziamo.

Sempre che avere 10 mila abili nel tenere in mano uno schioppo e forse sapere anche sparare, o stare sull’attenti, non possa poi ritornare utile per qualche altro scopo inconfessabile. Una milizia? E poi, su quali basi si farebbe la selezione e, infine, presso quali reparti andrebbero? E quanti arruolamenti ogni anno?

Ritorno alla Leva? Ben venga, io concordo. Tuttavia, allo stato attuale sarebbe fisiologico un sistema “misto”, che prevedesse anche una carriera “breve” e l’immissione dei congedati nei ranghi del personale civile nei vari comparti governativi.

La materia meriterebbe maggiore serietà e un progetto ben chiaro supportato da un consistente programma di investimento.

Insomma, una legge quadro. E forse, in questo modo, quel famoso 2% troverebbe finalità anche a favore “dell’analogico”. Basta che la si faccia finita con le barzellette da dopolavoro.

In conclusione, di che sorta di Leva si sta blaterando? La Leva o è obbligatoria o non lo è. E se si riprende alla mano l’articolo 52 della Costituzione lo si capirebbe immediatamente senza aiuto.

E, come si può facilmente trarre da quanto ho scritto, con soli pochi numeri, quella obbligatoria non è fattibile. Non lo è parlando al vento.

Né, tale obbligo può essere contingentato a pochi, con la pretesa di educare un’intera generazione, facendolo passare per volontario. Obbligo volontario? Ma di che cosa stiamo parlando? Del nulla.

In realtà, l’Italia non ha mai compreso quanto l’Esercito di Leva fosse un bene prezioso.

Riecheggiava solo il fastidio politico che procurava sull’onda della litania di “un anno perso”.

I responsabili sono in tanti, anche tra i ranghi delle Forze Armate, alti o bassi che fossero allora o che lo siano anche oggi. Io non mi escludo.

Ma continuare a parlarne senza farsi una precisa idea di cosa significherebbe ritornare sui propri passi, lo giudico ridicolo.

Come ridicolo, ma anche vergognoso, è credere in un reality da mini naja o da 40 giorni o quello che è. Sempre che ci si creda veramente e non si abbiano altri fini.

Forse è solo spettacolo.

In vero, per gli spettacoli gli italiani sono sempre stati ben disposti. E gli intrattenitori non mancano, vedo.

*Generale di Corpo d’Armata Esercito (ris)

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