Di Maria Stefania Cataleta*
ROMA. Sulla questione della Crimea e del Donbass, la Russia ha giustificato la sua ingerenza negli affari interni di uno Stato terzo ed il suo intervento militare nell’ambito del suo territorio, sfociato poi nelle annessioni di qualche settimana fa, come un intervento umanitario necessario per proteggere le popolazioni russofone in quelle aree.
A prescindere dal fatto che la Corte Internazionale di Giustizia ha smentito che all’epoca del primo intervento russo, nel 2014, fosse in corso in Donbass una repressione violenta contro quelle minoranze, occorre puntualizzare che le argomentazioni di carattere umanitario addotte dalla Russia per giustificare la propria ingerenza si pongono in netto contrasto proprio con il suo storico atteggiamento di contrarietà nei riguardi della dottrina dell’intervento umanitario.

Il Presidente russo Vladimir Putin
Nel 1999, la Russia contestò l’intervento della NATO in Kosovo, in quanto violava l’indipendenza politica e l’integrità territoriale delle Jugoslavia, negando che questo tipo di intervento fosse ammesso dal diritto internazionale, cosa del resto condivisa da gran parte degli studiosi internazionalisti proprio in regione dell’opposizione di diversi Stati verso questa dottrina e dunque in assenza di un consenso unanime a livello universale a favore di questa.
La dottrina dell’intervento umanitario rivendicata da Mosca presuppone che sia in presenza di una catastrofe umanitaria imminente, ciò che non era nelle regioni occupate dai russi e poi annesse.
Pur volendo sostenere in termini generali la liceità dell’intervento umanitario, di cui un forte sostenitore è da sempre il Regno Unito, esso deve poggiare su taluni presupposti, poiché necessita di una solida base giuridica, trattandosi pur sempre della violazione di una norma cogente fondamentale sia della Carta delle NU, ovvero l’art. 2, par. 4, sia del diritto internazionale generale.
Questa norma sancisce la proibizione generale e assoluta dell’uso della forza con le sole eccezioni stabilite, ovvero la legittima difesa, quella che sta mettendo in atto l’Ucraina, e l’uso della forza su autorizzazione del Consiglio di Sicurezza. Innanzitutto, affinché sia ammissibile l’intervento umanitario, esso deve verificarsi solo dopo il fallimento di azioni preventive, cioè quelle diplomatiche, che devono essere intraprese in via prioritaria. Le soluzioni diplomatiche non sono state avviate dalla Russia, che è subito intervenuta militarmente, a suo dire per ragioni umanitarie. In secondo luogo, l’uso della forza deve essere l’extrema ratio, laddove Putin l’ha scelta come unica modalità di interloquire con l’Ucraina.

Putin a colloquio con il generale Gerasimov, Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate russe, nelle fasi preliminari dell’attacco all’Ucraina
Un altro presupposto vuole che spetti in primo luogo allo Stato territoriale il compito di fermare le violenze e, solo nel caso in cui quello stesso Stato sia responsabile per queste o non voglia o non possa intervenire, allora spetta alla comunità internazionale farlo. Ora, il punto è proprio questo, la dottrina dell’intervento umanitario contempla l’intervento della comunità internazionale, laddove l’ONU non possa farlo, ma non contempla l’intervento unilaterale da parte di uno Stato che pretenda di incarnare il ruolo di giustiziere internazionale.
Questo approccio, se ammesso, renderebbe il mondo un Far West in cui chiunque possa sentirsi autorizzato ad intervenire militarmente laddove dichiari di farlo per far fronte alle più fantasiose e opinabili catastrofi umanitarie. Secondo la dottrina dell’intervento umanitario, ogni uso della forza deve avvenire in modo collettivo e nessuno Stato singolo può sentirsi in diritto di intervenire a nome di tutti.
Un altro requisito è poi che vi siano prove solide di una crisi umanitaria di proporzioni importanti che necessiti un pronto intervento. Nel caso delle regioni indipendentiste ucraine le argomentazioni addotte da Putin mancavano di un fondamento probatorio, come confermato dalla Corte Internazionale di Giustizia.
Ancora un altro criterio alla base dell’intervento umanitario è quello secondo cui l’uso della forza deve essere proporzionato e mirante a raggiungere gli obiettivi umanitari prefissati nel rispetto del diritto internazionale. Putin, per difendere le minoranze presenti in Crimea e in Donbass, non si è limitato ad intervenire in quelle aree, ma ha invaso e bombardato tutta l’Ucraina.
La dottrina dell’intervento umanitario si fonda sulla necessità di proteggere taluni interessi fondamentali della comunità internazionale, che la commissione di gravi crimini internazionali mette in pericolo, legittimando pertanto gli Stati ad intervenire laddove il Consiglio di Sicurezza dell’ONU non disponga, normalmente per il veto di alcuni Stati, azioni coercitive per salvaguardare la convivenza pacifica.
Questa dottrina ha sempre visto l’opposizione di alcuni Stati, tra cui quelli del Movimento dei Paesi non allineati, la Cina e proprio la Russia, che oggi la invoca per giustificare un uso illecito della forza militare contro uno Stato indipendente e sovrano.
*Avvocato abilitato al patrocinio innanzi alla Corte Penale Internazionale e Docente di Operazioni di Pace e Intervento Umanitario presso l’Università degli Studi Niccolò Cusano
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