Bolzano. I Finanzieri della Compagnia della GdF di Bolzano hanno eseguito tre ordinanze di custodia cautelare in carcere disposte dal Giudice per le indagini preliminari (GIP) del locale Tribunale nei confronti di cinesi che gestivano, in franchising, un esercizio pubblico situato in un centro commerciale ubicato nel capoluogo altoatesino e facente capo ad un noto marchio di ristorazione orientale.

Operazione contro il lavoro irregolare a Bolzano
I tre, due uomini ed una donna, amministratore unico e soci della società, sono stati arrestati con l’accusa di sfruttamento aggravato del lavoro ed estorsione in danno di 14 lavoratori pachistani, regolarmente residenti in Italia.
Le indagini, svolte anche attraverso la collaborazione di un sindacato, sono iniziate qualche mese fa, consentendo di accertare che gli arrestati avevano impiantato un sistema per il reclutamento di manodopera in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori.
Secondo le accuse, i datori di lavoro corrispondevano retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o comunque sproporzionati rispetto alla quantità del lavoro prestato e con la sottoposizione a condizioni lavorative ed alloggiative, considerate dagli inquirenti, degradanti.
I lavoratori, tutti pachistani ed impiegati in varie mansioni, quali camerieri, aiuto cuoco, lavapiatti ed altro, venivano “arruolati” con il sistema del passaparola o attraverso contatti diretti.
I datori di lavoro preferivano persone regolarmente presenti nel nostro Paese e che avevano bisogno di lavorare e di avere un etto sulla testa.
E così questi lavoratori, hanno evidenziato gli inquirenti, sottoscrivevano contratti a tempo determinato o indeterminato, anche part time, per 40 ore settimanali (sette ore al giorno per cinque giorni ed una giornata da cinque ore) che includevano la fruizione di vitto e dalloggio. Gli stessi contratti riportavano spesso mansioni inferiori rispetto a quelle realmente svolte.
Ma la realtà dei fatti accertata era completamente diversa.
I dipendenti erano costretti a lavorare tra le 11 e le 12 ore al giorno, non fruivano di ferie (anche se i congedi risultavano comunque inseriti nelle buste paga) e potevano effettuare una sola pausa pranzo, che, in alcuni casi (in particolare il sabato e la domenica), veniva addirittura negata in relazione al maggiore afflusso di clienti presso il ristorante.
In caso di assenza per malattia, i dipendenti subivano una significativa trattenuta dallo stipendio, calcolata in base al periodo d’assenza. Nell’ipotesi d’infortuni certificati da strutture ospedaliere, venivano costretti a lavorare pur in presenza di evidenti ferite da taglio o di gonfiori agli arti.
Inoltre, gli stessi soggiacevano a una decurtazione in busta paga di 150 euro al mese per il vitto, che era costituito da una modica quantità di pollo e verdura o riso. Se un dipendente veniva sorpreso a mangiare altro, rischiava una sorta di “sanzione” di 50 euro.
All’atto dell’assunzione, alcuni erano costretti a sottoscrivere fogli firmati in bianco, successivamente utilizzati per far risultare falsamente le loro dimissioni.
L’indagine delle Fiamme Gialle ha anche scoperto che i lavoratori erano anche costretti ad alloggiare in un appartamento, situato a Bolzano, nel quale era vietato l’uso della cucina (chiusa a chiave e utilizzata come stanza privata da uno degli arrestati) mentre i bagni erano malfunzionanti e in condizioni igienico sanitarie precarie.
Gli stessi avevano a disposizione un posto letto ed erano spesso stipati all’interno dei vani dell’alloggio. Per tale sistemazione, subivano una trattenuta in busta paga di ulteriori 200 euro al mese ed, in alcuni casi la decurtazione veniva effettuata nonostante l’interessato dimorasse presso il Centro d’accoglienza di via Gobetti nella città altoatesina.
I dipendenti sfruttati non perderanno il posto di lavoro. Infatti, il GIP, avvalendosi di una normativa in vigore da poco più di due anni (l’articolo 3 della legge numero 199 del 29 ottobre 2016) ha disposto, su richiesta del Pubblico Ministero, il controllo giudiziario del ristorante.
In sostanza, nei casi come quello accertato dalla GdF in cui potrebbero ricorrere i presupposti per il sequestro preventivo dell’azienda (circostanza che, di fatto, impedirebbe al dipendente di continuare il rapporto di lavoro) è ora possibile nominare un amministratore giudiziario. Il quale, tra l’altro, è tenuto a controllare il rispetto delle norme e delle condizioni lavorative e a regolarizzare eventuali lavoratori in nero o con contratto non regolare, riferendo al giudice almeno ogni tre mesi o comunque ogni qualvolta emergano irregolarità circa l’andamento dell’attività aziendale.
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