Di Vincenzo Santo*
Roma. L’effetto Dunning-Kruger si chiama così, dal nome dei due ricercatori della Cornell University, David Dunning e Justin Kruger, che l’hanno descritto nel 1999 e che hanno voluto studiare e misurare sperimentalmente la propensione degli incompetenti a sopravvalutarsi. Ma anche dei competenti a sottovalutarsi e a sopravvalutare gli altri.

Dunning e Kruger
Oggi parliamo del primo risvolto e, in proposito, ritengo che i due ricercatori avrebbero molto materiale di studio attingendo dal nostro panorama politico. Tanto più che all’incompetenza spesso si accompagna la supponenza e l’arroganza.
Si pensi alla sottosegretaria del MEF, nota Laura Castelli, la quale, inesperta del settore ma forte delle sue improbabili certezze, ha voluto mettere in discussione, in un esilarante passaggio televisivo, le affermazioni di un ex ministro dell’Economia, sicuramente competente.

Il sottosegretario al MEF, Laura Castelli
Jean-Jacques Rousseau secondo me non deve essere stato una persona normale. Lo dico in senso negativo.

Jean-Jacques Rousseau
Il carattere difficile e il sospetto nei confronti di tutti, secondo me, lo hanno portato a elaborare concetti di cui oggi abbiamo un fastidioso rigurgito, i 5 Stelle. Movimento che si barcamena malamente tra le convinzioni concettuali sull’individualismo, e quindi sulla libertà del cittadino, e quelle sul contrattualismo, quale misura per la difesa del cittadino stesso dal presunto più forte, ma che prevede la tacita accettazione della volontà popolare, quindi una forma di assoggettamento forzato.
Da qui all’individuazione di caste ovunque o di lobby ramificate in ogni angolo della nostra attuale e per loro malata democrazia, il passo è breve. Tutti ladri e tutti nemici da abbattere, in forza di questa volontà popolare, coloro che la pensano diversamente. O da mettere indiscutibilmente in galera secondo l’adagio molto caro a Davigo.
La nostra democrazia, appunto. Quella loro è altra cosa, secondo gli insegnamenti di quel folle di Rousseau, il cui unico spunto positivo sta nell’aver capito che ogni tanto occorre passeggiare per poter riflettere e formare un pensiero, cosa estremamente difficile per moltissimi degli accoliti che occupano gli scranni parlamentari e governativi oggigiorno. E per la gran parte dei loro tifosi.
Ma io credo che il nostro Jean-Jacques non debba aver passeggiato tanto, dato che parecchio del frutto del suo pensiero merita, secondo me, di andare in discarica. A partire dal suo concetto di “uguaglianza piena e completa”, idea che viene quindi declinata ne “l’uno vale uno”, parto degenere che campeggia tra le idee più sballate dei pentastellati.
Pertanto, l’unità politica della società si realizza solo con la completa eguaglianza, che trova la sua massima espressione democratica nell’imposizione della volontà generale. Tra i primi, il Rousseau, a confondere uguaglianza con dignità. Oggi lo fanno anche i fautori dell’immigrazione libera e senza controllo.
La condanna che egli fece di tutte le istituzioni dell’epoca, dalla proprietà alla religione, dalle classi sociali all’autorità di governo trova riscontro nella banale e ignorante acclamazione dell’inutilità del Parlamento sventolata da Casaleggio il quale, probabilmente affetto dalla sindrome di Dunning-Kruger, arriva a considerare la sua preparazione nell’e-commerce talmente significativa e approfondita sotto l’aspetto della filosofia politica da consentirgli di esprimere tali folli opinioni.
Peraltro, laddove nel nostro ordinamento accettiamo di avere tra le più alte cariche dello Stato e come ministri e parlamentari personaggi che, alla loro prima elezione, probabilmente non avevano mai presentato una che fosse una sola dichiarazione dei redditi, forse un po’ di ragione potrebbe averla. Un Parlamento così è davvero inutile. E diminuire il numero dei parlamentari o ridurne gli stipendi sono alcuni dei passi per renderlo veramente tale, entrambi i provvedimenti mirano a reclutare solo ignoranti fedeli.
L’ignoranza impera e non solo perché qualcuno confonde la concisione con la circoncisione o perché qualcun altro crede che Napoleone abbia vinto ad Auschwitz. Ma forse anche la mala fede. E, forse, non si è compreso davvero bene dove ci può portare il semplice “uno vale uno”.
La popolazione, secondo Rousseau deve sottoporsi completamente al volere popolare che, di fatto, dico io, viene già strutturato dalla propaganda faziosa e di parte. Con l’aiuto di slogan. Ma poi, mi chiedo, chi controlla i risultati del volere popolare? Ah, saperlo!
La volontà popolare, secondo il Rousseau, non può tollerare alcun limite costituzionale. E solo chi tira le fila da dietro le quinte, secondo me, si arroga il diritto “divino” di tracciare i limiti.
La pace di Westphalia aveva sostituito, grandissimo passo del XVII secolo, l’entità spirituale e quella monarchica con quella dello Stato; oggi, sulla scorta della sciagurata esperienza della Rivoluzione Francese, la sovranità viene rivestita da un’altra astrazione chiamata “popolo”, per caratterizzare l’uniformità di pensiero e di azione, definiti questi sempre da chi tira comodamente le fila da dietro le quinte. Gli altri? Solo marionette che devono impersonare quel pensiero, recitandolo a memoria, ed operare quell’azione di rappresentare quel popolo, versando inoltre il dovuto obolo per sostenere la baracca e ripagare la fiducia loro accordata. Ma nondimeno, pericolosi e dannosi.
E poi, di quale volere o di quale popolo si sta parlando? Di coloro che fanno click sulla piattaforma di Casaleggio & Co.?
Rendiamoci conto che stiamo parlando di passaggi concettuali utili a confezionare un vero e proprio regime autoritario, che porterà una minoranza – ignorante in gran parte – ad esercitare il potere su una maggioranza, se è vero che chi ha votato a marzo scorso è stato solo il 73%.
La Rivoluzione Francese ha vissuto e seguito queste intemperanze del pensiero pseudo-democratico, tanto che sia Luigi XVI sia Maria Antonietta, assieme a tanti altri che ne avevano sgamato l’intolleranza democratica, furono democraticamente ghigliottinati. E, soprattutto, confondendo la politica interna con quella estera, nel condannare chiunque non la pensasse come i suoi fautori, anche al di fuori dei confini francesi, essa portò sangue e distruzione in tutta l’Europa per anni.

Luigi XVI e Maria Antonietta
Ci ricorda qualcosa? Non può essere liquidata come semplice bambinata la sciocchezza gravissima compiuta da uno sprovveduto vice-ministro di se stesso nell’aver incontrato e tentato una combine politica con chi predica e inneggia alla lotta armata in un altro Stato sovrano.
Fatto gravissimo che avrebbe richiesto le dimissioni immediate. Ma siamo in Italia, basta una bella foto con un incredulo ambasciatore per sanare il tutto. Un atto che rispecchia quel credo volto a individuare e indicare al “popolo” il nemico Macron, ora in chiave elezioni europee. Domani chissà! Salvo poi offendersi se un belga dà del burattino al “tutto-da-capire” Conte, scordando che sarebbe ora di smetterla di offendersi e di iniziare invece a vergognarsi. Atto più proficuo, il senso della vergogna, poi, è un sentimento nobile. Certo che chi è affetto dalla sindrome Dunning-Kruger non può capire.
Il tutto in un’Europa che è ferma, così come tutto l’Occidente, sino a ieri culla dell’innovazione, della ricerca, dello sviluppo e del progresso. Ignari che i tempi stanno cambiando e niente viene pensato per fronteggiare un futuro inaspettato ma che è già qui. Ma che altri in Asia e altrove hanno già compreso.
Dalla Cina con la sua Belt and Road Initiative, alla Vision 2030 saudita, dalla Euroasian Union russa a tanti altri progetti minori: indiani, vietnamiti, kazaki, turchi, laotiani, cambogiani, burmesi e persino mongoli. Tutti all’insegna del credo cinese che lo sviluppo viene attraverso le vie di comunicazione.
Noi invece ci affidiamo a stucchevoli – e probabilmente il frutto di un copione già scritto – valutazioni sulla TAV o sulla TAP, considerati progetti del male assoluto, o discutiamo alla noia per un North Stream 2, per valutare se sia il caso di spendere qualche miliardo di euro oppure se ci rendiamo troppo vulnerabili alla geopolitica energetica russa, magari preferendo la sottomissione a quella americana più costosa. Mentre la Cina avvolge il mondo intero con progetti faraonici che, sottendendo migliaia di miliardi di investimento, prevedono ritorni strepitosi.
Del resto, con un responsabile alle infrastrutture che appare più un divertente personaggio da commedia all’italiana che un ministro, dove vogliamo andare? Il problema pentastellato è di non fare nulla che possa un giorno portare a galla un qualche imbroglio o malaffare di cui essi potrebbero essere ritenuti responsabili. Quindi, fermi tutti, a meno che non lo decida la volontà popolare. Sì, mi ripeto, ma quale?
È mai possibile che, in un mondo che si muove così velocemente e dove molte decisioni assurgono inevitabilmente a una portata strategica, tali livelli vengano lasciati alla volontà popolare? Così come trivellare o no, oppure come strutturare uno strumento militare che, purtroppo, in questo disordine dovrebbe tornare a essere quello del soldato e non del semplice operatore?
E invece, da un lato, pur ammirando il lavoro fatto dall’ENI, la nostra energia costa sempre di più e, dall’altro, ahimè, abbiamo un ministro della Difesa che ha dell’incredibile.
Mi dà l’impressione della “brava massaia” che, invece di continuare a impastare il pane, si stia sforzando di montare in fretta, per fare una sorpresa al marito, un qualcosa comprato all’Ikea, ma senza volerne seguire le istruzioni e senza utilizzarne gli strumenti. Lei si fa forza – rieccoci al fenomeno Dunning-Kruger – del convincimento, strutturato presuntuosamente a seguito degli studi, ovviamente profondi, presso la “Link University”, secondo il quale il dual use e la resilience siano i due fondamentali parametri per creare un qualcosa di diversamente utile ma che, con il colpo finale della sindacalizzazione, al redde rationem, che voglia Iddio mai si verifichi, io temo inevitabilmente collasserà, consacrando nuovi e inutili eroi. Del resto, abbiamo una grande tradizione in questo, perché cambiarla?
La chiave di lettura è quindi quella del “tutti contro tutto e tutti”, una gogna sociale, creando nemici da additare sul fronte interno – intellettuali, vecchi e nuovi avversari politici, burocrati ai vari livelli, dirigenti civili e militari – e, come accennato, anche su quello esterno – la Francia e Macron, la Germania, l’Unione Europea e la sua commissione, l’Olanda, gli insensibili Paesi del Nord, Malta o la Spagna. Proprio come fece la Rivoluzione Francese.
Ma con l’immagine rassicurante dei “Men in black”. Sì, esatto, quelli del film. Come quell’agenzia immaginaria, il movimento vorrebbe incarnare nei suoi rappresentanti, di certo esenti da qualsiasi peccato, i più credibili e coraggiosi difensori della società dai mostri multiformi che la vorrebbero depredare e di cui la società stessa non sembra accorgersene, perché non ha la maturità necessaria per farlo. Una società che abbisogna di un perenne tutore e castigatore: sono loro, gli uomini vestiti di nero, i garanti della legalità, i cantori dell’etica dell’assoluto: abito nero, camicia bianca e cravatta nera!
E il Di Maio è il portatore sano di questa immagine, condita dal solito uniforme sorrisetto vacuo. L’abito che fa il monaco, quindi. Colui che va a caccia dei mostri, insomma! Lui ne è convinto e, purtroppo, ne sono convinti in tanti. Ma, come diceva un altro film, “sotto il vestito niente”. E prima o poi molti tasselli dell’etica dell’assoluto crolleranno, come sta già crollando il vincolo del doppio mandato. Del resto, chiusa l’esperienza del Parlamento, chi non aveva mai presentato quella famosa dichiarazione dei redditi, cosa andrebbe a fare e come potrebbe sbarcare il lunario nella vita reale? Con il reddito di cittadinanza? Andiamo, una volta toccata la ricchezza …
Mi interesso degli eventi internazionali e di analisi geopolitica, pertanto non mi stupisco dinanzi a menzogne, omissioni e manipolazioni. Di tutte queste modalità nel non dire la verità, la storia è piena. Fermo restando che si può nascondere la verità al popolo per una volta, anche per due volte, ma non per sempre.
Se a questa miscela terribile si uniscono ignoranza, incompetenza con l’incapacità nel riconoscerla e, talvolta, l’offesa verso intere categorie di cittadini, allora la forma più genuina del contratto sociale, tanto osannato dagli stessi grillini, è già collassata.
Il pericolo che incombe sulla testa della maggioranza silenziosa, ora nelle grinfie dell’ignoranza e delle raffiche di vuoti e talvolta rabbiosi slogan, è quindi quello di essere trascinata nel vicino futuro in realtà di cui la storia ci ha fatto già conoscere la drammaticità in passato, ma che questa volta, con il richiamo all’appiattimento dell’uno vale uno, con lo svilimento del merito e delle capacità individuali, all’insegna della vendetta di classe e del giustizialismo giacobino, si potrebbe presentare con più tragici profili, quelli di una rivoluzione culturale, per esempio, la stessa che causò milioni di morti in Cina e qualche anno dopo un vero genocidio con un “super grande balzo in avanti”, quello di Pol Pot in Cambogia. In fondo, basta poco per divenire “nemici del popolo”.
*Generale di Corpo d’Armata dell’Esercito (Ris)
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