Tiro (Libano del Sud) – dal nostro inviato. Solo 12 anni fa, le strade e molti villaggi del Libano furono insanguinati da quella che fu chiamata “seconda guerra del Libano”, dove le milizie di Hezbollah, di Amal e di altri gruppi si scontrarono con le Forze armate israeliane. Civili e militari persero la vita.
Nell’agosto del 2006 la stessa Tiro fu teatro di un blitz di Flottilla-13, un’unità di commando della Marina militare israeliana, come risposta ad un attacco di Hezbollah nella zona di Hadera, situata fra Haifa e Tel Aviv.
I militari israeliani, in pochissimi minuti, riuscirono a raggiungere un appartamento dove era collocata una base di Hezbollah e uccisero quelli che, secondo le autorità di Tel Aviv, erano stati i colpevoli del raid.
Oggi, il decennio passato sembra avere curato le vecchie ferite. Ma non del tutto. In questo Paese bellissimo, ricco di storia, cultura e natura troppi vicini ingombranti ne vogliono fare la scacchiera per i loro giochi, pensando di muovere le pedine come preferiscono. Ed al centro della scacchiera ci sono le persone, le quali stanno investendo soldi per costruire per se stessi e per le proprie famiglie, una nuova vita.
Hassan Debouk è sindaco e presidente dell’Unione delle Municipalità di Tiro (ne fanno parte 62 villaggi). E’ un uomo del partito di Amal che, oggi, nel Paese dei Cedri ricopre molti posti importanti nella politica. E’ un partito vicino alle posizioni iraniane.
“Ma – spiega a Report Difesa – gli aiuti che riceviamo dall’Iran sono solo politici e non militari. Non è come in Siria, dove l’appoggio viene dato con le armi. L’Iran è un Paese amico, ma non facciamo tutto quello che loro dicono”.
Debouk preferisce riportare al centro del discorso il ruolo della missione UNIFIL ed il sostegno dell’Italia.
“Il suo Paese – aggiunge – è un Paese amico. Quando i militari italiani sono di pattuglia e camminano per le nostre strade, privi di armi, sono accolti benissimo dalla nostra gente. Il loro lavoro è molto apprezzato. Ci sentiamo molto sicuri con i soldati dell’UNIFIL. Speriamo che questa missione non finisca mai!”.
Il sindaco di Tiro quando parla di Israele lo fa con molto fastidio. Il nome del potente vicino mediorientale non viene mai fatto, è sempre sottinteso. “Se ci dovessero attaccare di nuovo – prosegue – sappiamo che le forze dell’UNIFIL ci difenderanno. Ritengo che ora sia giunto il momento per pensare alla stabilità, a progetti per aiutare i cittadini”.
Al sindaco, esponente di Amal, il partito che ha ispirato la nascita di Hezbollah, chiediamo una sua opinione sul ruolo paramilitare di quest’ultimo, anche se ormai la strada che esso sta percorrendo è quella di una trasformazione in movimento politico.
“Se dovessimo riprendere le armi – sostiene – lo faremo solo per difenderci da Israele. Si sa dove siano le postazioni delle LAF (le Forze Armate libanesi) ma nessuno conosce dove siano nascoste le armi di Hezbollah. Si possono trovare ovunque. Se verremmo di nuovo attaccati, ci difenderemo”.
E grazie alle tantissime attività CIMIC (Cooperazione Civile e Militare) di questi anni di permanenza dei nostri soldati qui al Sud del Libano si è lavorato per portare aiuti concreti alle popolazioni. Rendendo così il tricolore sulle mimetiche dei militari che hanno partecipato alle varie Operazioni Leonte – oggi con la Brigata Julia di Udine, agli ordini del Generale di Brigata Paolo Fabbri siamo arrivati al numero XXIV – è molto apprezzato.
Ma i problemi sul grande tavolo della politica sono tanti. Ed il timore, tra i libanesi, è che possano diventare oggetto di ulteriori crisi.
Debouk ne prende in considerazione uno: quello della questione dei profughi palestinesi. Un problema che risale alla guerra del 1948 e che ha fatto sprecare fiumi di inchiostro e di parole.
Non solo in Libano ma anche in Giordania ha creato tensioni nel già frastagliata società mediorientale.
“Su 280 mila libanesi – evidenzia il primo cittadino di Tiro – residenti nella municipalità, circa 70 mila sono palestinesi che vivono nei campi, non facendo una vita umana. Sono qui da 70 anni. Qualcuno dice che dovrebbero avere la cittadinanza libanese”.
In verità, e Debouk lo dice tra le righe, Israele se li dovrebbe riprendere, visto che prima vivevano lì. “Qui in Libano – sostiene – ci sono 18 comunità religiose diverse. La presenza dei palestinesi cambia la situazione demografica del nostro Paese”.
Insomma, per i libanesi la questione palestinese è preoccupante. Non solo dal punto di vista sociale ma anche di quello della sicurezza interna.
Quanto i grandi player della regione la potrebbero prendere di nuovo in considerazione?
Nel frattempo, si lavora per lo sviluppo e come detto per il ritorno alla normalità, ospitando danarosi turisti nei vari resort nati in poco tempo, campionati sportivi ed altro.
E per Tiro c’è un progetto per il rilancio di tutti i siti turistici cittadini, con il contributo del Governo italiano.
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