Libano: il 4 agosto 2020 l’esplosione al porto di Beirut. Il racconto di una testimone. Le indagini sui presunti colpevoli ostacolate dalla politica. I maroniti perdono il posto alla guida della Banca Centrale

Di Christine Aura*

BEIRUT (nostro servizio particolare). Il 4 agosto 2020 era  un pomeriggio afoso e caldissimo come qualsiasi altro giorno di agosto a Beirut, ma quel pomeriggio sarebbe stato diverso per sempre.

Un’immagine dell’esplosione a Beirut, il 4 agosto 2020

‘Ero appena tornata a casa, – racconta una testimone -. Ho visto i miei figli in cucina che preparavano dei cookies a forma di cane. Iniziano le coccole e le chiacchiere. Mi metto a sistemare l’appartamento dopo una giornata fuori.

Poi, guardo il cellulare e vedo delle immagini di un incendio con la scritta: state attenti, è al porto! Era mio marito. Mi affaccio sul balcone e lo vedo. Rimango un po’ affascinata da quella nuvola bianca gigantesca.

E’ strano a dirlo ma mi è sembrata quasi bella. Sento delle scintille. Scatto anch’io alcune foto di quella nuvola bianca, chiudo le finestre, ringrazio mio marito e torno in cucina vicino ai figli e, poi, sento il boato”.

I pompieri intervengono nel porto di Beirut – Credit Twitter

È questa una delle poche testimonianze rilasciate a distanza di tre anni da quel terribile giorno. Testimonianze sempre più rare di persone rimaste in vita per caso.

Sono rimasta un tempo interminabile per terra incapace di muovermi – ricorda ancora la testimone -: C’era sangue ovunque. La mia pelle era piena di piccoli pezzi di vetro, i miei figli urlavano ma non sentivo nulla. Perdo conoscenza. Mi sveglio all’ospedale e vedo decine di persone ferite come me. Eravamo tanti, tantissimi. Tutti seduti o sdraiati per terra. Non so come sono finita all’ospedale. Non ho mai saputo chi fosse lo sconosciuto che mi ha caricato sulle sue spalle e portato al Pronto soccorso, non l’ho più rivisto. A distanza di tre anni mi sarebbe piaciuto conoscere quell’angelo che mi ha salvato la vita. L’infermiera mi ha solo detto che l’aveva visto trascinare parecchie persone ferite dentro l’ospedale, pensava che fosse un mio parente.  No, non era un parente, per me era un angelo”.

“In ogni caso – aggiunge la signora -, rimango seduta per terra e aspetto il mio turno per le cure. Vedo gente accorrere da ogni reparto, feriti, sofferenti e all’improvviso riconosco anche mia sorella nella folla. I nostri sguardi si incrociano, i suoi sono strani, mi dico che sarebbe il mio aspetto a spaventarla così tanto. Si avvicina: Ssei viva, tu, almeno sei viva. Jacques, nostro fratello è stato meno fortunato. Svengo, non voglio più svegliarmi. Sono morta due volte quel giorno.”.

“La mia vita non ha più senso, avrei voluto morire anch’io – si lamenta la testimone -. Che senso ha guarire e tornare a vivere come se non fosse successo nulla? Smettetela di dire che sono fortunata, non lo sono. Vivere quei momenti e guarire è infernale perché niente torna come prima, nulla, nemmeno il Libano. Hanno sistemato le strade, i palazzi, i ristoranti, i musei e gli alberghi. Guardo intorno e mi chiedo se la doppia esplosione abbia avuto luogo o se io abbia solo vissuto un incubo! Le cicatrici sul viso e sul petto sono l’unica cosa reale rimasta di quel giorno. La gente è tornata a vivere e a ballare qui, il traffico è peggio di prima. Sulle strade di Gemayzeh i locali notturni e gli alberghi sono pieni, dopo nemmeno tre anni. È stato cancellato tutto! Non c’è traccia di quella tragedia. Solo le cicatrici sul mio viso e sul mio petto e i silos, sì. Quelli sono rimasti lì, sono l’orrore dell’accaduto e li vedo ogni giorno”.

Ad oggi, il numero accertato delle vittime non è ufficiale anche se molte ONG come Amnesty International e Human Rights Watch sono d’accordo sull’affermare che ci sono stati 235 morti.

Nel 2021 è nato il sito Web Beirut607.org (in referenza all’ora dell’esplosione) gestito da Mariana Fodoulian al fine di documentare e rendere omaggio alle vittime.

“Aabbiamo chiamato gli ospedali, le forze della Sicurezza e vari Ministeri per documentare ogni singolo decesso- racconta a Report Difesa -. Alcune donne sono state contate due volte, una volta sotto il loro nome da nubile e un’altra sotto il cognome del marito. Sappiamo che molti parenti non sono riusciti ad ottenere i certificati di decesso da parte dei medici e di ospedali quindi, senza il certificato di decesso di un parente, gli ostacoli non sono indifferenti per sbrigare le beghe burocratiche.’

Inoltre, il giudice che segue le indagini sull’esplosione del porto, Tarek Bitar, continua ad essere ostacolato dalle autorità libanesi che abusano del potere a disposizione per evitare di essere processati.

Il giudice Tarek Bitar che segue le indagini sull’eplosione al porto di Beirut

Nel corso delle sue indagini, Bitar ha messo sotto accusa numerosi politici e funzionari del porto, tra cui anche ufficiali che si occupavano della Sicurezza.

Ha chiesto al Parlamento libanese di revocare l’immunità di tre deputati affinché potessero essere accusati di negligenza penale e omicidio preterintenzionale in relazione all’esplosione al porto, in ragione della loro responsabilità ministeriale durante il periodo di deposito del materiale pericoloso.

Un momento dell’esplosione

Ma due di loro sono stati nel frattempo rieletti e siedono attualmente in Parlamento.

Non solo, Bitar è stato minacciato sui social in maniera esplicita da individui molto vicini a vari partiti.

Però continua ad avere il sostegno della maggior parte del popolo, di Amnesty International, di Legal Action Worldwide, di Legal Agenda e di una coalizione di oltre 100 organizzazioni libanesi ed internazionali per i Diritti Umani.

Tutti hanno sollecitato il Consiglio dei Diritti umani della Nazioni Unite ad avviare un’indagine internazionale sull’esplosione al porto di Beirut.

Questo anche alla luce degli omicidi sospetti avvenuti dopo la tragedia, come quello del fotografo Joe Bejjani, che stava facendo delle riprese al porto poco prima dell’esplosione.

Bejjani è stato assassinato nel dicembre 2020. Due mesi dopo, nel febbraio 2021, è stato ucciso l’attivista Lokman Slim, alcuni giorni dopo aver accusato Hezbollah di fornire nitrato di ammonio al regime di Assad.

Ieri, alle 18.07 è stata celebrata una messa al porto.

Sono stati letti i nomi di tutte le vittime. Rispetto a due anni fa, il numero dei cittadini che hanno partecipato alla commemorazione è stato molto scarso.

 

La giornata del ricordo, ieri, a Beirut

In tutto il Paese le campane hanno suonato e i minareti hanno richiamato i fedeli alla preghiera proprio in quell’ora.

Un gesto di solidarietà ai parenti delle vittime che non credono più alla giustizia in un Paese devastato dalla corruzione dove gli uomini al potere si permettono ancora di accusare il popolo di tramare contro la democrazia e contro la nazione.

Seduta a casa, lontana da tutto e tutti, la vedova che ho intervistato un anno fa mi ha detto oggi: “Ho perso tutto, marito, casa, lavoro, macchine e sono ben tre anni che scendiamo in piazza per chiedere giustizia. Non sapremo mai niente, non faranno mai niente. La mia risposta al dolore è il canto e l’arte. In piazza, non scendo più. I miei figli non devono più vedere il posto dove hanno perso il papà. Non scendo più in piazza. Se posso andarmene via da qui, prenderò il primo volo”.

Da ottobre 2022, il Libano è senza Presidente della Repubblica e Najib Mikati, il capo del Governo rieletto di fretta l’anno scorso è alla guida di un Eecutivo provvisorio.

Najib Mikati, il capo del Governo rieletto di fretta l’anno scorso è alla guida di un Eecutivo provvisorio

Da lunedì 31 luglio, lo storico governatore della Banca Centrale del Libano (BDL) ha espresso la sua volontà di non voler più rinnovare il suo mandato.

Dopo 30 anni di amministrazione e gestione di fondi nazionali e internazionali spesso associati a frode e riciclaggio di denaro, Riad Salameh ha ceduto il suo posto al suo primo vice.

Va detto che non solo i parlamentari e i deputati vengono distribuiti a seconda delle confessioni religiose che convivono nel Paese ma anche il governatore e i vice governatori della Banca Centrale devono obbedire a questo meccanismo spesso complicato e poco producente.

In poche parole, il governatore della Banca Centrale deve essere di fede cristiana maronita mentre i suoi 4 vice governatori devono essere rispettivamente di confessione musulmana sciita, drusa, sunnita e l’ultimo di fede cristiana armena cattolica.

Insomma, per accontentare tutte le confessioni religiose, questa spartizione del potere politico ed economico ha spesso complicato, se non paralizzato lo sviluppo e tutto ciò che riguarda le proposte di legge in materia di riforme.

Riad Salameh è stato governatore della Banca Centrale del Libano fino a pochi giorni fa.

.Riad Salameh, ex governatore della Banca centrale libanese

Nominato nel lontano 1993 dall’ex premier libanese Rafiq Hariri che fu assassinato nel 14 febbraio 2005, Salameh non fu mai rimosso dalla sua posizione nonostante il suo nome viene spesso correlato a decine e decine di rapporti inerenti a frode e riciclaggio di denaro negli ambienti europei e internazionali.

In effetti, la Francia, la Germania, la Svizzera e il Lussemburgo stanno procedendo con delle indagini riguardanti l’ex governatore e suo fratello.

Sono indagini inerenti al riciclaggio di circa 330 milioni di dollari americani da parte dei fratelli, alla cattiva gestione di fondi, e agli aiuti finanziari insostenibili ai vari governi che non hanno mai proceduto a delle riforme sin dagli anni ’80a soprattutto nel campo statale.

A maggio scorso sono stati emessi dei mandati dell’INTERPOL per processare Riad Salameh a Parigi visto che detiene la cittadinanza francese ma il Libano non ha concesso l’estradizione dell’ex governatore in quanto non ci sono degli accordi di estradizione tra i due Paesi.

Nel suo ultimo discorso sui media nazionali lunedì scorso, Salameh ha ribadito la sua innocenza e ha accusato i politici di averlo abbandonato proprio nei momenti più cruciali che attraversava il Paese dei Cedri e che la sua ricchezza personale è solo frutto di affari precedentemente fatti quando lavorava per la banca americana Merrill Lynch.

Intanto, è stato sostituito dal suo primo vice governatore che è di fede musulmana sciita, Wassim Mansouri.

Wassim Mansouri nuovo governatore della Banca centrale libanese

È la prima volta nella storia del Libano che una figura non maronita diventa governatore della Banca Centrale del Paese.

È ancora troppo presto per dire cosa accadrà in Libano prossimamente.

Nella sua ultima visita lampo nel Paese dei Cedri, Yves le Drian, ex  ministro degli Affari Esteri francese, si è dichiarato pessimista per il futuro del Libano.

Yves le Drian, ex  ministro degli Affari Esteri francese

Si riferiva alla politica oppure alla crisi economica?

*Docente Università degli Studi di Urbino e Scuola Superiore per Mediatori Linguistici (CIELS) di Bologna

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