Di Marco Petrelli
BEIRUT (nostro servizio particolare). Nel 2024, UNIFIL è tra le missioni più “antiche” in corso.

Dalla fine degli anni ‘70 ad oggi, dopo due invasioni del Sud libanese da parte degli israeliani (tre con l’ultima) la forza di interposizione ONU continua a monitorare la Blue Line.
Ma se da un lato il Segretario generale ONU Antonio Guterres sostiene che “la Bandiera delle Nazioni Unite continuerà a sventolare”, dall’altro Israele rammenta che Hezbollah ha violato “il diritto internazionale e la risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che vieta la presenza di militanti armati e di armi nel Libano meridionale. Questa risoluzione è stata concordata dalla comunità internazionale e il Libano e l’UNIFIL missione di pace non sono riusciti ad applicarla”.

Parole dure che mettono in discussione il ruolo esercitato dai 3.500 Caschi blu di 17 Nazioni schierati nel Sector West, di cui oltre 1.000 sono italiani.
Che il Libano sarebbe stato uno step della guerra di Tel Aviv al terrorismo palestinese era cosa chiara da tempo, proprio a causa dell’alleanza fra Hamas ed Hezbollah in chiave israeliana.
E UNIFIL? Dal luglio scorso, quando è iniziata l’escalation fra il “Partito di Dio” e Tel Aviv, il contingente di 3.500 Caschi blu (di cui 1.100 italiani) nel Sud del paese ha continuato a operare in una calma apparente tantoché, in agosto, vi è stato anche l’’avvicendamento al comando del Sector West fra la Brigata alpina “Taurinense” e la Brigata meccanizzata “Sassari”.

Oggi, il Governo italiano esprime la volontà di non evacuare il personale militare ivi impegnato, seppure esso sia costretto a ripararsi nei bunker ogniqualvolta una delle parti inizi a sparare.
Dalla calma apparente si è passati dunque al paradosso: si resta in teatro operativo mentre è in corso un’invasione terrestre e senza alcuna precisa direttiva delle Nazioni Unite.

Al di là delle rassicurazioni di Guterres, non è chiaro come l’ONU intenda restare nell’area, tantomeno come i Caschi blu debbano comportarsi qualora il conflitto dovesse estendersi a tutto il Medio Oriente.
In tale circostanza i bunker non solo sarebbero poco efficaci nel loro ruolo, ma imprimerebbero nell’opinione pubblica mondiale l’immagine di una forza multinazionale “nascosta” sottoterra mentre fuori c’è l’inferno. Ciò avrebbe effetti devastanti sulla reputazione delle Nazioni Unite.
Ad essere sinceri, è dalla Guerra di Corea che l’ONU incontra difficoltà nel portare a termine una missione e questo a causa dei diversi interessi dei paesi membri, soprattutto di quelli che fanno parte del Consiglio di Sicurezza: Russia, Francia, Stati Uniti, Gran Bretagna, Cina. Ultimo atto o, per meglio dire, ultimo schiaffo di “anagnina memoria” l’ordine di attacco su Beirut lanciato da Benjamin Nethanyau proprio mentre si trovava al Palazzo di Vetro.

La faccenda quindi non è soltanto quella di salvare l’ormai sempre più apparente autorità delle Nazioni Unite, ma fare davvero la differenza.
I militari del contingente italiano sono altamente addestrati così come buon addestramento hanno gli altri caschi blu che, ora, potrebbero schierarsi come forza d’interposizione fra i due contendenti, imponendo un cessate il fuoco.
E né Hezbollah né Israele oserebbe sparare contro le forze ONU: se infatti ciò accadesse, la diplomazia internazionale si imporrebbe su Tel Aviv e su Teheran per un ritiro senza condizioni, accompagnato da una dura linea sanzionatoria nei confronti dei due Paesi.

Ecco, schierarsi nel senso più letterale del termine. E’ ciò che le parti belligeranti non si aspettano; è ciò che i libanesi contrari ad Hezbollah attendono con trepidazione, per la salvezza loro, del loro paese e per liberarsi una volta per tutte dell’ingombrante peso del “Partito di Dio”.
E’ ciò, infine, il mondo si aspetta dalla principale Organizzazione internazionale della terra.
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