Libano: Mohammed Saleh e le accuse di Hezbollah di essere agente del MOSSAD. Il pagamento di 43 mila dollari come primo acconto per consegnare materiale compromettente

Di Giuseppe Gagliano*

BEIRUT.  Certe storie, più che da prima pagina, sembrano uscite da un romanzo di John Le Carré. Beirut, città dove la musica può diventare un atto politico, è di nuovo teatro di una vicenda che mescola microspie, dossier, fratellanze spezzate e sospetti velenosi. Il protagonista è un cantante popolare,

Il cantante libanese Mohammed Saleh

 

Mohammed Saleh, volto conosciuto in Libano anche per la componente religiosa delle sue composizioni. Ma oggi non si parla della sua voce, bensì del suo presunto doppio gioco.

Da artista devoto a presunto traditore. Da patriota a informatore del Mossad. O almeno così lo accusano le autorità sciite e i vertici di Hezbollah.

La storia, rivelata da fonti vicine agli ambienti della sicurezza libanese, racconta di un fratello che denuncia il proprio fratello.

Un accusatore, anch’egli uomo vicino agli ambienti di potere, che consegna alla polizia documenti e testimonianze. La trama si infittisce con i dettagli di un presunto “bonus”: 43 mila dollari come primo acconto per consegnare materiale compromettente, intercettazioni, numeri di telefono, spostamenti di quadri di Hezbollah.

Milizie di Hezbollah

E poi, dicono, la promessa di un secondo pagamento da parte dell’intelligence israeliana per completare il lavoro.

Ma davvero un cantante – seppur conosciuto, ma certo non un militare – può aver avuto accesso a dossier così delicati, a segreti riservati a un’élite ristretta del Partito di Dio?

O siamo di fronte a una delle tante vendette trasversali che attraversano il Libano profondo, dove ogni debito, ogni rancore, ogni rivalsa può trasformarsi in una faida di sangue e spionaggio?

Il sospetto si annida proprio lì: nella dissonanza tra la figura pubblica del cantante e l’entità delle accuse.

Si parla di contatti telefonici con numeri collegati all’apparato di sicurezza israeliano.

Di messaggi intercettati. Di una trappola ordita con astuzia, nella quale l’uomo si sarebbe infilato per necessità, forse per denaro, forse per paura.

Eppure, in una regione dove tutto è sorvegliato, il fatto che abbia lasciato tracce tanto evidenti – chiamate, movimenti, pagamenti – lascia più interrogativi che certezze.

Sul banco degli accusati, dunque, siede un uomo solo. Un artista diventato pedina, forse sacrificabile, in un gioco che lo supera.

Ma chi sono i veri registi di questo teatro dell’assurdo? Chi ha mosso i fili dell’inchiesta? E a chi giova il linciaggio pubblico di un personaggio noto, carismatico, ma non certo al vertice dell’apparato militare di Hezbollah?

L’affaire Saleh rischia di diventare il paradigma di un Libano dove le linee rosse sono ovunque e dove tradire, mentire, accusare, può essere l’unico modo per sopravvivere.

Anche quando il prezzo è la propria libertà, la propria reputazione, il proprio sangue. In questa guerra di tutti contro tutti, dove Israele spia, Hezbollah controlla, e le famiglie si fanno giustizia da sole, la verità è solo un’opinione. E chi canta per il pubblico, oggi, rischia di essere messo a tacere da chi canta per i servizi.

* Presidente Cestudec  (Centro Studi Strategici)

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