Londra e l’ombra di Washington: il Regno Unito ripensa la sua sicurezza

Di Giuseppe Gagliano*<

LONDRA. Quando il primo ministro britannico Keir Starmer ha calcato il tappeto rosso della Casa Bianca il 27 febbraio scorso, al fianco di un Donald Trump trionfalmente tornato al potere, il sorriso di circostanza non poteva nascondere un’inquietudine profonda.

Dietro le strette di mano e le parole di circostanza, il Regno Unito si trova a un bivio strategico: quanto può ancora affidarsi all’intelligence statunitense senza compromettere la propria sicurezza nazionale?

Un’inchiesta parlamentare, redatta prima del ritorno di Trump, ha acceso i riflettori su una dipendenza che, se da un lato ha garantito a Londra un posto al tavolo dei grandi, dall’altro la espone a rischi crescenti, specialmente di fronte alla minaccia iraniana.

Il rapporto, stilato con la meticolosità tipica dei corridoi di Westminster, non usa mezzi termini: la relazione con Washington, pilastro della politica estera britannica dalla Seconda Guerra Mondiale, è diventata una spada a doppio taglio.

Gli Stati Uniti, attraverso accordi come il Five Eyes, forniscono al Regno Unito un flusso costante di informazioni di intelligence – dai dati satellitari alle intercettazioni – che hanno permesso a Londra di mantenere un ruolo di primo piano sulla scena internazionale.

Ma questa dipendenza, secondo i parlamentari, ha un prezzo.

E quel prezzo si chiama vulnerabilità.

Keir Starmer e Donald Trump (Foto atlanticcouncil.org)

La minaccia iraniana, in particolare, è il banco di prova di questa fragilità.
Teheran, con le sue ambizioni nucleari, le operazioni asimmetriche e una crescente capacità di guerra informatica, rappresenta un pericolo che richiede un’azione coordinata e tempestiva.

Ma cosa accade se le priorità di Washington, sotto un’amministrazione Trump notoriamente imprevedibile, si discostano da quelle britanniche?

Il timore, espresso a chiare lettere nell’inchiesta, è che gli Stati Uniti possano ridurre la condivisione di intelligence o, peggio, utilizzarla come leva politica per piegare Londra alle proprie scelte strategiche.

Un’eventualità che, in un contesto di tensione con l’Iran, potrebbe lasciare il Regno Unito cieco di fronte a minacce concrete.

Non è solo una questione di dati.

È una questione di sovranità.

L’inchiesta parlamentare sottolinea come il Regno Unito, pur vantando agenzie di intelligence di prim’ordine come MI6 e GCHQ, si sia progressivamente appoggiato alla potenza di fuoco americana per colmare lacune operative.

Questo squilibrio si è accentuato negli ultimi anni, con tagli al bilancio della Difesa britannica e una crescente complessità delle minacce globali.

L’Iran, con il suo mix di propaganda, milizie proxy e attacchi cibernetici, non è un avversario che si affronta con mezze misure.

Eppure, il Regno Unito sembra trovarsi in una posizione scomoda: troppo legato a Washington per agire in autonomia, ma troppo esposto per ignorare i rischi di un partner che, con Trump al timone, potrebbe rivelarsi volubile.

C’è poi un aspetto meno tangibile, ma non meno cruciale: la percezione.

La dipendenza dagli Stati Uniti alimenta, tra i critici, l’immagine di un Regno Unito ridotto a satellite di Washington, incapace di tracciare una propria rotta.

Questo sentimento, che serpeggia tanto nei corridoi del potere quanto nelle piazze, si amplifica in un momento in cui il Governo Starmer cerca di affermare una leadership forte, anche per contrastare le spinte populiste interne.

Il primo ministro britannico Keir Starmer

La domanda è inevitabile: come può Londra presentarsi come potenza globale se la sua sicurezza dipende così tanto dalle scelte di un presidente che, storicamente, ha messo l’America First?

L’inchiesta non si limita a diagnosticare il problema, ma propone soluzioni.

Rafforzare le capacità autonome di intelligence, investire in tecnologie all’avanguardia, diversificare le alleanze: tutti passi che richiederebbero tempo e risorse, ma che potrebbero liberare il Regno Unito dal giogo di una dipendenza eccessiva.

Alcuni parlamentari spingono per un riavvicinamento all’Europa, nonostante la Brexit, per costruire reti di cooperazione più ampie.

Altri invocano una revisione del Five Eyes, per garantire che il Regno Unito non sia solo un ricevente passivo, ma un partner alla pari.

Nel frattempo, la minaccia iraniana non aspetta.

Le recenti tensioni nel Golfo, le accuse di cyberattacchi attribuiti a Teheran e le voci di un programma nucleare che avanza sotto traccia richiedono risposte rapide.

Londra sa che non può permettersi passi falsi.

Eppure, mentre Starmer e Trump si scambiano convenevoli davanti ai flash dei fotografi, il messaggio dell’inchiesta parlamentare risuona come un monito: il Regno Unito deve ritrovare la propria voce, o rischierà di rimanere intrappolato nell’orbita di un alleato che, per quanto potente, non sempre canta la stessa melodia.

In questo gioco di equilibri, il futuro della sicurezza britannica si gioca non solo nei bunker di Whitehall, ma anche nelle stanze della Casa Bianca.

E, forse, nelle scelte coraggiose che Londra dovrà fare per non essere più solo un’ombra di Washington.

*Presidente Centro studi Cestudec

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