Lotta alla mafia. Parla Giuseppe Antoci: “Fondamentale il ruolo dell’Europa che deve comprendere che la mafia é una zavorra per lo sviluppo e un problema che interessa tutti”

Di Benedetta La Corte

PALERMO. Giuseppe Antoci è politico ed ex Presidente del Parco dei Nebrodi,.

Giuseppe Antoci ex Presidente del Parco dei Nebrodi e  promotore, nel 2015, del Protocollo di Legalità volto ad impedire l’uso delle false autocertificazioni antimafia in agricoltura

E’ stato definito da Andrea Camilleri: “Un eroe dei nostri tempi. Una persona coraggiosa che sta facendo il proprio dovere per combattere la mafia”.

E’ stato promotore, nel 2015, del Protocollo di Legalità volto ad impedire l’uso delle false autocertificazioni antimafia di cui la criminalità organizzata si serviva per accedere ai Fondi europei per l’agricoltura disposti dall’Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura (AgEA).

Il Protocollo di legalità é stato diventato una legge che porta il suo nome (numero 161 del 2017) confluendo nel nuovo Codice Antimafia ed apportando modifiche al Codice Penale.

Le norme rendono più difficile l’accesso ai Fondi europei da parte della criminalità organizzata.

Oggi essa é anche linea guida per l’Europa.

Phil Hogan, commissario europeo per l’Agricoltura e lo Sviluppo rurale, e la Commissione Europea hanno riconosciuto al protocollo “il valore di esempio eloquente per la lotta alla mafia ed invitano gli altri Stati membri di seguire le orme tracciate dall’Italia attraverso queste normative”

Report Difesa lo ha intervistato.

Presidente Antoci come si é arrivati a questa legge?

La norma é partita totalmente dal basso, dell’ascolto. Abbiamo capito quali erano le emergenze del territorio dove gli agricoltori venivano vessati e il perché.

Tutto ruotava intorno alla legge sugli appalti e sul Certificato antimafia per partecipare alle gare di affitto dei terreni.  Praticamente sotto la soglia dei 150 mila euro, il certificato non era necessario, bastava solo un’ autocertificazione. Con il Protocollo della legalità si é portato a zero questo limite.

Cosa è successo nel frattempo?

Mentre il protocollo era in preparazione vengo messo sotto scorta con effetto immediato. Volevano uccidermi. Da alcune intercettazioni  della magistratura antimafia di Caltanissetta é emersa questa dichiarazione: “A questo cornuto gli dobbiamo sparare un colpo nel cervello perché ci sta rovinando”.

Giuseppe Antoci sotto scorta

Perchè queste minacce?

Perché stavamo scoprendo quello che è il sostentamento primario della mafia, ovvero milioni di Fondi europei destinati all’agricoltura che andavano direttamente nei conto correnti dei boss mafiosi.

E nel maggio 2016 succede qualcosa?

Movente il Protocollo, sono stato vittima di un attentato passato nella storia come attentato dei Nebrodi, dove per fortuna sono uscito illeso.

Fu grazie al presentimento di Salvatore Calì, sindaco di Cesaró che avvertì i poliziotti che stavano con me con questa fatidica frase “qua stasera succede qualcosa di brutto”.

Fu salvato io e altri tre uomini presenti quel giorno.

Questo attentato come fu studiato dagli inquirenti avvenne attraverso una tecnica innovativa adoperata in Italia solo per l’attentato di Via d’Amelio.

La perizia ha confermato che se questa frase del sindaco fosse stata pronunciata 4-5 minuti dopo noi saremmo morti.

Come potremmo valutare le mafie di oggi?

Certamente dobbiamo parlare di mafie al plurale, perché non esiste soltanto Cosa Nostra. Le mafie sono liquide e si adattano al variare dei flussi economici.

Gli anni ‘80 furono c aratterizzati in Campania dalla “camorra del cemento” per via dell’infiltrazione della stessa negli appalti pubblici per la ricostruzione dopo terremoto.

Gli anni ‘90 invece la mafia estese il suo controllo nella gestione del ciclo dei rifiuti.

Oggi si parla di agro- mafia in quanto il crimine organizzato ha penetrato tutto il settore primario, aggiudicandosi illegalmente importanti investimenti provenienti dall’Unione Europea, destinati allo sviluppo e al sostegno del comparto agricolo.

Un’operazione antimafia dei Carabinieri a Reggio Calabria

Pensa di creare una Commissione europea antimafia come presente nelle istituzioni italiane?

La Commissione Europea antimafia c’é stata una sola volta ma il tema é che l’Europa pur  consapevole delle infiltrazioni mafiose, non istituisce una Commissione antimafia permanente. É questo é un tema che sicuramente porteremo in seno alle Istituzioni europee

Esiste un rapporto fra mafie italiane e transnazionali?

Assolutamente si. Non ci sono mafie nazionali che non abbiano rapporti con quelle internazionali. Cio é dovuto al fenomeno della globalizzazione delle mafie. Prova plastica é il rapporto fra quella calabrese e la colombiana per il traffico internazionale degli stupefacenti.

Come si combatte il fenomeno?

L’Europa gioca un ruolo fondamentale e deve  comprendere che la mafia é una zavorra per lo sviluppo e un problema che interessa tutti. In questo senso occorre coniugare legalità e sviluppo, unica strada percorribile che può salvare le persone.

Perché la prima cosa che va salvaguardata per liberarsi dalle mafie é dare dignità alle persone con l’indipendenza economica, quindi attraverso  il lavoro.

Perché noi non possiamo chiedere ad un padre di morire di legalità, dobbiamo dimostrare a quel padre che attraverso la legalità arriva il lavoro, lo sviluppo e l’indipendenza.

E qual è il ruolo delle donne nel contrasto alle mafie?

Il ragionamento è ancora più sottile, Il tema della mancanza di autonomia é centrale e riguarda diverse donne, quelle abbandonate di cui non si occupa nessuno, quelle schiavizzate ma anche le lavoratrici che incontrano delle resistenze nell’avanzamento di carriera.

Dobbiamo capire che mafia é prima di tutto cultura mafiosa e questo significa anche non dare il giusto spazio alle donne nella società.

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