“L’uccisione dello scienziato iraniano è solo in parte un’operazione di intelligence”. Intervista con Mario Caligiuri

di Maria Enrica Rubino

ROMA. L’Italia è ancora in ritardo sullo sviluppo della cultura della sicurezza e dell’intelligence, soprattutto rispetto ai Paesi di cultura anglosassone oppure alla Francia e alla Germania, che hanno dei sistemi nazionali strutturati. A sostenerlo è il professor Mario Caligiuri, direttore del Master in Intelligence dell’Università della Calabria, che però specifica: ” tuttavia negli ultimi decenni abbiamo fatto notevoli progressi”.

Uno scatto dell’agguato allo scienziato Mohsen Fakhrizadeh

Durante l’inaugurazione del Master in Intelligence dell’Università della Calabria nei giorni scorsi, ha affermato che “un hacker a suo modo è un filosofo”. Cosa intende?

Parto da una premessa: oggi i servizi israeliani, che sono tra i più importanti del mondo, stanno assumendo contemporaneamente hacker, per raccoglierle informazioni dai recessi più reconditi della Rete, e laureati in filosofia, per interpretarle. Come ben sappiamo, siamo invasi dall’intelligenza artificiale, con gli algoritmi che predeterminano le nostre scelte e che sono destinati ad avere un ruolo sempre più importante nell’organizzazione sociale e nella vita delle persone. Gli israeliani stanno assumendo, quindi, due figure entrambe umane. E riecheggiando Pekka Himanen, gli hacker sono, a loro modo, dei filosofi perché hanno a che fare con i codici, quindi sono portati ad andare oltre, per istinto. Infatti, dal mio punto di vista, l’intelligence può essere considerata la forma più raffinata dell’intelligenza umana, perché consente di non fermarci davanti alle apparenze. Infatti, l’intelligence esercita la logica, la razionalità, il pensiero aiutandoci ad unire i punti, a cogliere i segnali deboli, a individuare i fenomeni allo stato nascente. Forse solo così possiamo avvicinarci alla sempre complessa comprensione della realtà. Appunto per questo ho ipotizzato che il nostro potrà essere “il secolo dell’intelligence”, perché sarà proprio l’intelligence che deciderà chi vince e chi perde.

Relativamente all’attentato dei giorni scorsi contro lo scienziato iraniano Mohsen Fakhrizadeh, ritiene che possa trattarsi di una operazione di intelligence o militare?

Credo che non si tratti solo di un’operazione di intelligence, ma anche di un’operazione militare condotta con armi cibernetiche. Ci sono state posizioni degli organismi internazionali che cercano di evitare le derive della guerra elettronica perché può violare in maniera clamorosa le seppur terribili regole che presidiano i conflitti. Negli ultimi anni le nazioni stanno spendendo somme ingenti sulla guerra elettronica, perché i conflitti saranno combattuti sempre di più con questi sistemi e sempre meno con le persone sul campo di battaglia. In questo modo si pensa che i conflitti possano essere più accettabili, in quando moriranno meno vite umane.

In una precedente intervista rilasciatami durante i giorni del lockdown, mi aveva tracciato un’analisi della situazione sociale che si sarebbe prospettata nei mesi successivi: rischi e conseguenze derivanti da un crescente disagio sociale. Pare che la sua analisi abbia trovato conferma..

Purtroppo quelle analisi hanno trovato conferma, ma il disagio sociale rischia di essere ancora più grave nei prossimi mesi. Con la riduzione del Pil italiano intorno al 10% e ultimati gli annunci la situazione potrà diventare davvero molto complicata. Tutto dipenderà dal punto di equilibrio che si raggiungerà tra l’indigenza e la riduzione della ricchezza.

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