Medio Oriente: alcune considerazioni sui raid israeliani e sul perché, quasi certamente, l’Iran non risponderà in maniera simmetrica

Di Fabrizio Scarinci

TEHERAN. Come noto, la notte scorsa Israele ha lanciato il suo attacco contro l’Iran in risposta ai raid missilistici di Teheran del 1° ottobre scorso.

Ribattezzata “Days of Repentance”, l’operazione, tra le più massicce mai condotte dall’aviazione di Tel Aviv, avrebbe coinvolto almeno un centinaio di velivoli, tra cui verosimilmente alcuni caccia multiruolo di 5^ generazione F-35I Adir (che, grazie alle loro caratteristiche stealth dispongono di elevate capacità di manovra anche nell’ambito di spazi aerei altamente protetti), diversi caccia di 4^ generazione F-15 ed F-16 (che potrebbero aver utilizzato armamenti stand-off), un certo numero di aviocisterne e, secondo varie fonti, anche diversi UAV, utilizzati non solo nel ruolo di esca e/o in quello di piattaforme ISR, ma, a quanto pare, anche nell’ambito di azioni d’attacco.

F 35I “Adir” dell’IDF in volo

Preceduto e accompagnato da una vasta azione cibernetica, il raid sarebbe stato condotto in due distinte ondate, nell’ambito delle quali sarebbero stati colpiti non meno di 20 obiettivi.

In particolare, la prima delle due azioni avrebbe investito alcuni siti antiaerei e antimissile del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica e delle forze regolari iraniane collocati nell’area di Teheran, in quella di Alborz (situata a nord della capitale), nonché nella provincia di Ilam e in quella del Khuzestan (collocate entrambe sul confine tra Iran e Iraq).

Una delle esplosioni dovute al raid della notte scorsa

Stando alle informazioni diffuse, tale azione avrebbe provocato, tra le altre cose, la distruzione di una vecchia batteria di missili MIM-23 HAWK acquistata dagli USA ai tempi dello Scià (cosa di cui sarebbe anche arrivata la conferma nel corso delle ultime ore) e di diversi altri sistemi.

A tal proposito, due funzionari iraniani avrebbero specificato al New York Times che l’IDF avrebbe attaccato anche il sistema di difesa aerea S-300 dell’aeroporto internazionale Imam Khomeini schierato a protezione della città di Teheran (anche se, al momento, non è ancora del tutto chiaro con quali effetti).

Quanto alla seconda ondata, invece, secondo numerose fonti essa si sarebbe concentrata soprattutto su alcuni dei più importanti siti di produzione di missili e droni della Repubblica Islamica (alcuni dei quali situati anche ad est della capitale iraniana) e sulla base “segreta” di Parchin (collocata anch’essa alla periferia di Teheran), che sarebbe stata attaccata da un certo numero di velivoli senza pilota.

F-16I dell’IDF poco prima del decollo

Com’è facile osservare, però, dall’azione di Tel Aviv sono state volutamente escluse le installazioni di tipo energetico e nucleare, la cui eventuale distruzione avrebbe, senz’altro, provocato un ulteriore inasprimento della crisi.

Queste “autolimitazioni” (così come il presunto avvertimento fatto pervenire agli iraniani da parte di Israele prima dell’attacco, sempre qualora tale circostanza venisse confermata) sembrerebbero scaturire dall’intensa azione diplomatica posta in essere nelle ultime settimane da parte degli USA, che, pur riconoscendo ad Israele il diritto a rispondere agli ultimi raid iraniani sul proprio territorio (cosa, forse, anche indispensabile al fine di mantenere un certo livello di credibilità in ambito regionale), hanno sempre mirato ad evitare che il confronto tra Teheran e Tel Aviv diventasse del tutto incontrollabile.

Il Segretario di Stato USA Antony Blinken, notoriamente spesosi moltissimo al fine di moderare la risposta israeliana

Dal canto suo, in seguito all’azione israeliana, il regime degli Ayatollah ha lanciato segnali piuttosto contrastanti.

Se, da un lato, si tende, infatti, a minimizzare i danni subìti, dall’altro si minaccia di porre in essere un’umiliante vendetta contro lo Stato d’Israele.

Nondimeno, non si può non notare come, dal 7 ottobre 2023 in avanti, la Repubblica Islamica (attiva da decenni nel manovrare i suoi “proxies” contro lo Stato Ebraico) si sia trovata sempre più a disagio di fronte alla prospettiva di uno scontro di tipo più diretto con Tel Aviv e i suoi alleati.

Entrambe le azioni d’attacco missilistiche poste in essere contro Israele (14 aprile e 1° ottobre) sono, infatti, maturate solo dalla mera necessità di non perdere la propria credibilità di fronte alla conduzione di umilianti azioni dirette da parte israeliana, ossia il raid sull’Ambasciata del regime a Damasco e l’uccisione del leader politico di Hamas Ismail Haniyeh in pieno territorio iraniano (evento a cui, forse, gli iraniani non avrebbero neanche reagito se ad esso non si fossero sommate l’offensiva contro Hezbollah e la morte di Hassan Nasrallah).

Ragion per cui, anche in ragione del possibile ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump (molto meno disposto a compromessi con il regime iraniano), sembrerebbe piuttosto improbabile che a Teheran vi sia davvero la volontà rispondere a quest’ultimo attacco in maniera “simmetrica”.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Torna in alto