Medio Oriente: i raid statunitensi su Siria ed Iraq nel contesto della strategia anti-Iran

Di Fabrizio Scarinci

WASHINGTON. Nel corso degli ultimi due giorni sono emersi alcuni dettagli in più riguardo ai raid statunitensi sui territori di Siria ed Iraq di venerdì scorso.

In particolare, stando a quanto si è avuto modo di apprendere, i siti colpiti sarebbero in tutto sette, di cui cinque collocati in Siria (Al-Bukamal, Al-Mayadin, Ayyash, Al-Tabani e Jabal Harabesh) e due collocati in Iraq (Akashat e Al Qaim).

Uno dei siti colpiti durante l’attacco

Per quanto riguarda le vittime, la maggior parte delle fonti parla di circa 40 morti (tra cui anche una ventina di Pasdaran) e almeno altrettanti feriti.

Stando a quanto comunicato dal Pentagono, l’attacco sarebbe stato fattivamente portato a termine da due bombardieri B-1b decollati dalla base texana di Deyes, che, secondo diversi analisti potrebbero aver utilizzato una combinazione di missili da crociera AGM-158B JASSM-ER  e ordigni guidati di tipo JDAM.

Un B-1b “Lancer” in volo

Risultano, invece, ancora prive di conferma le voci secondo cui all’attacco avrebbero preso parte anche altri velivoli dell’USAF temporaneamente dislocati in Europa o nelle basi di altri Paesi mediorientali.

Come lasciato intendere dal Presidente americano Joe Biden, l’attacco in questione è parte di una strategia più ampia mirante a contenere l’Iran e suoi alleati regionali senza arrivare ad un vero e proprio scontro ad alta intensità.

Di essa fanno, ovviamente, parte anche i raid israeliani sui territori libanesi controllati da Hezbollah e, più saltuariamente, in Siria, nonché l’operazione “Poseidon Archer” lanciata da USA e Regno Unito contro gli Houthi dello Yemen, che, proprio ieri, ha visto le forze di Washington e Londra colpire 36 obiettivi in 13 diverse località.

Decollo di un F/A-18 dalla portaerei Eisenhower, molto impegnata nei raid contro i miliziani Houthi

Quanto questo “modus operandi” possa sortire gli effetti desiderati al momento non è ancora del tutto chiaro.

Stando a quanto asseriscono autorevoli fonti israeliane, in ragione delle ultime azioni di Washington, Londra e Tel Aviv, gli iraniani  avrebbero iniziato a maturare l’idea di ritirare buona parte del personale militare di alto rango inviato a supporto dei loro “proxies”.

Se così fosse si tratterebbe certamente di un importantissimo successo, soprattutto per una strategia fondamentalmente concepita al fine attenuare il problema evitando, al contempo, un eccessivo dispendio di risorse necessarie in altri contesti (come Europa e Indopacifico).

D’altra parte, però, questi raid non eradicheranno certo l’influenza iraniana nella regione. Ragion per cui, è comunque lecito immaginare che molte delle problematiche di carattere strategico ad essa collegate siano destinate a persistere, in una maniera o nell’altra, per diversi anni ancora.

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