Medio Oriente: il riconoscimento della Palestina è solo un gesto simbolico o un passo verso la pace? Un tema centrale dopo i fatti del 7 ottobre 2023

Di Bruno Di Gioacchino

TEL AVIV. A oggi, circa 140 Paesi hanno già riconosciuto la Palestina come Stato sovrano, ma tra questi non figurano né gli Stati Uniti né la maggior parte dei membri dell’Unione Europea.

Il Presidente francese Emmanuel Macron che è stato tra i primi a riconoscere la Palestina

 

L’Italia ha scelto finora una linea prudente, ribadendo il sostegno alla soluzione dei “due Stati” ma senza compiere il passo formale del riconoscimento.

Dopo il 7 ottobre 2023, con l’attacco di Hamas e la guerra a Gaza, il tema è tornato al centro del dibattito nelle cancellerie occidentali e nelle sedi multilaterali.

Il riconoscimento della Palestina avrebbe una duplice valenza.

Sul piano diplomatico, darebbe maggiore legittimità a un’entità politica che oggi appare frammentata: l’Autorità Nazionale Palestinese in Cisgiordania e Hamas nella Striscia di Gaza.

Milizie di Hamas sequestrano soldati israeliani nel 2017

Il rischio evidente, però, è quello di sancire l’esistenza di uno “Stato incompiuto”, privo di un’autorità unica e condivisa, con conseguente indebolimento del valore stesso del riconoscimento.

Sul piano storico, la questione palestinese è mutata radicalmente.

Durante la Guerra Fredda era il collante politico del mondo arabo contro Israele e i suoi alleati occidentali.

Oggi, con gli Accordi di Abramo e la normalizzazione tra Israele e diversi Paesi arabi, la centralità della causa palestinese si è ridotta, lasciando spazio a nuove dinamiche di interesse regionale.

I protagonisti degli accordi di Abramo

Infine, sul piano globale, il riconoscimento è letto dalle grandi potenze come leva di influenza. Washington teme un indebolimento della sicurezza israeliana; Mosca lo utilizza per consolidare i rapporti con Teheran e con i Paesi arabi; Pechino lo considera un terreno utile per accreditarsi come mediatore alternativo in Medio Oriente.

Tutto ciò porta a un punto essenziale: da solo, il riconoscimento non è sufficiente a far avanzare la pace.

Potrebbe rappresentare un segnale politico forte, ma rischierebbe di rimanere puramente simbolico se non accompagnato da un processo negoziale concreto, capace di affrontare i nodi irrisolti: sicurezza di Israele, unità politica palestinese, status di Gerusalemme, questione degli insediamenti in Cisgiordania.

La sua reale utilità potrebbe emergere solo nell’ambito di un nuovo quadro multilaterale, in cui la Palestina sia parte attiva e corresponsabile delle decisioni internazionali.

Senza un coordinamento con Stati Uniti, Unione Europea e Paesi arabi moderati, però, ogni passo rischia di acuire le divisioni anziché ridurle.

In conclusione, il riconoscimento della Palestina avrebbe senso soltanto se inserito in una strategia più ampia, che integri diplomazia, garanzie di sicurezza e sostegno economico.

Diversamente, resterebbe un atto isolato, simbolico, incapace di cambiare i rapporti di forza in Medio Oriente.

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