Medio Oriente, la politica estera di Trump dopo il licenziamento di Rex Tillerson

Washington. Le dinamiche innescate dalla nuova politica estera del Presidente americano Donald Trump e dalla continua instabilità in Medio Oriente lasciano presagire che le condizioni per la ripresa dei negoziati tra israeliani e palestinesi non siano maturate a tal punto da portare ad un nuovo accordo, o quanto meno ad un patto che venga accettato da entrambe le parti, soprattutto per quanto riguarda la definizione dei punti più spinosi del conflitto come lo status permanente della città di Gerusalemme, i rifugiati palestinesi e la questione della cosiddetta two-state solution (soluzione dei due Stati).

Il Presidente palestinese, Abu Mazen a colloquio con Trump lo scorso maggio

Come teorizzato da vari studiosi nell’ambito delle relazioni internazionali, la ripresa dei negoziati ed un eventuale accordo di pace, necessitano di alcune dinamiche che al momento risultato in parte inesistenti. Tali condizioni presuppongono che la fase di stallo diventi così intollerabile per cui entrambi le fazioni decidono di far ricorso alla diplomazia.

In aggiunta, c’è anche il bisogno di un terzo partito che possa inserirsi nella trattativa per favorire lo svolgimento dei negoziati e la sua riuscita.

Il licenziamento del Segretario di Stato, Rex Tillerson e la nomina del direttore della CIA, Mike Pompeo come Segretario di Stato, fanno intuire che la presa di posizione del Dipartimento di Stato americano nei confronti della questione del nucleare iraniano e del peace plan tra israeliani e palestinesi è una lama a doppio taglio: può sia smuovere lo stallo diplomatico e sia infliggere un altro duro colpo al delicato equilibrio mediorientale. La posizione di Pompeo è in linea con quella di Trump.

Il nuovo Segretario di Stato, Mike Pompeo

L’ex falco della CIA e capo della diplomazia americana è pro-Israele ed ha più volte elogiato questo Paese per i suoi successi nella lotta al terrorismo di matrice palestinese. Come Trump, Pompeo considera l’accordo sul nucleare con l’Iran un pessimo affare che deve essere cancellato. Con il licenziamento di Tillerson è stata sconfitta l’area moderata dell’amministrazione Trump.

Inoltre, dopo l’annuncio di Trump lo scorso dicembre in merito al riconoscimento di Gerusalemme come capitale dello Stato di Israele ed al trasferimento dell’ambasciata americana da Tel Aviv alla Città Santa, il presidente dell’Autorità nazionale palestinese (ANP) Mahmoud Abbas è alla ricerca di altri possibili partner per la mediazione. Storicamente gli Stati Uniti sono sempre stati in prima linea nella mediazione del conflitto arabo-israeliano.

Il fallimento dell’attentato di martedì contro il convoglio del premier palestinese Rami Hamdallah nella striscia di Gaza, dopo che Al-Fatah e Hamas avevano raggiunto un accordo per la riconciliazione lo scorso ottobre al Cairo, complica ancora di più la situazione. Hamdallah e il capo dell’Intelligence Majed Freij sono rimasti illesi mentre si contano sette feriti. L’atto terroristico è un chiaro segnale che qualcuno sta cercando di minare l’accordo tra le fazioni palestinesi per il controllo dei Territori.

Milizie di Hamas

Anche se le sorti del Governo di Bibi Netanyahu sono ancora incerte, per adesso il partito Likud (Partito nazionalista liberale e di destra del primo ministro israeliano) si trova nella posizione favorevole di dettare le condizioni nei confronti della questione palestinese. Con il pieno appoggio dell’amministrazione Trump, Israele può di continuare a fare pressione sulla minaccia iraniana e quella proveniente dal fronte libanese da parte di Hezbollah

Il futuro incerto dell’accordo sul nucleare in concomitanza con il peace plan preannunciato da Trump e le lotte interne tra le fazioni palestinesi possano scaturire delle dinamiche per cui sarà ancora più difficile prevedere le sorti dello stallo diplomatico tra Israele ed ANP.

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