MEDIO ORIENTE: L’IRRISOLVIBILE PROBLEMA DELLA PALESTINA SIN DAL 1947

Di Alexandre Berthier

TEL AVIV. Con la Risoluzione 181 del 29 novembre 1947 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite fu approvato il “Piano di Partizione della Palestina” elaborato dall’United Nations Special Committee on Palestine (UNSCOP), volto a risolvere la difficile situazione, verificatasi negli ultimi anni tra la comunità ebraica e quella araba-palestinese, che aveva provocato una progressiva conflittualità, con  aspri contrasti  e violenti disordini, pure durante il “Mandato britannico della Palestina” (1) (2).

Il piano di partizione del 1947

La Risoluzione proponeva la costituzione di due Stati, uno ebraico e l’altro arabo, con Gerusalemme sotto controllo internazionale.

Un’immagine di Gerusalemme

Ma il fermo rifiuto di tale piano da parte dei Paesi arabi e il deterioramento delle relazioni tra le due etnie in Palestina sfociarono nella guerra arabo-israeliana nel 1948.

Le vicende che dal 1948 al 7 ottobre scorso sono note e non si ha motivo di rievocarle tutte.

Si osserva solo che certamente in Palestina, il Regno Unito non ottemperò ai suoi doveri di Stato mandatario, abbandonando frettolosamente l’area e lasciando ebrei ed arabi in una situazione di assoluta indeterminatezza.

Lo Stato d’Israele giunse così  ad autoproclamarsi il 14 maggio 1948.

Ben Gurion legge la dichiarazione di nascita dello Stato di Israele

La partizione del territorio che ne risultò fu però osteggiata dagli arabi palestinesi e dai vicini Paesi arabi,che intervennero militarmente contro il neonato Stato israeliano (3).

Le rivolte degli arabi palestinesi e i numerosi  scontri spinsero all’esodo cd palestinese.

Israele e i Paesi arabi continuarono così a scontrarsi  nei decenni seguenti in una serie di conflitti arabo-israeliani (https://it.wikipedia.org/wiki/Conflitto_arabo-israeliano).

Nel 1967,  in seguito alla Guerra dei 6 giorni (https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_dei_sei_giorni)  Israele occupò la Cisgiordania, la Striscia di Gaza, le Alture del Golan e la penisola del Sinai, creando  nei Territori occupati (https://it.wikipedia.org/wiki/Territori_occupati_da_Israele) numerosi insediamenti israeliani (https://it.wikipedia.org/wiki/Insediamenti_israeliani).

Da allora, un sedicente Stato della Palestina (4)  rivendica con alterne vicende  la sovranità sulla Cisgiordania e sulla Striscia di Gaza.

La mappa della Striscia di Gaza, oggi

Forse se le Nazioni Unite, nel 1947, avessero imposto un regime di amministrazione fiduciaria si potevano determinare i confini dei territori dei due costituendi Stati –  affidando quello di Israele ad un Paese occidentale, esclusa la  Germania e i suoi ex alleati e quello arabo ad un Paese arabo quale l’Egitto o l’Iraq –  e attuare per Gerusalemme un territorio a statuto speciale, presidiato da truppe operanti sotto la bandiera dell’ONU.

Ma ciò non è avvenuto e non potrà mai essere fatto neppure oggi.

Con riferimento ai fatti del 7 ottobre scorso vi è invece chi è convinto che quanto accaduto sia stato organizzato dai Servizi Segreti di Israele e degli Stati Uniti per avere un pretesto per aggredire e debellare definitivamente Hamas, ritenuto una pericolosissima derivazione terroristica del Jihad islamico.

Milizie di Hamas

Non dobbiamo dimenticare che gli americani, dopo il precipitoso abbandono nel 2021 dell’Afghanistan per intraprendere il conflitto russo-ucraino, hanno necessità di tenere a freno tutta la galassia jihadista – ritenuta responsabile degli attacchi sul loro territorio dell’11 settembre 2001 – che troverebbe i maggiori esponenti nel mondo dei Talebani, dell’Iran, dei Paesi del Golfo e del  Libano, oggi pure con inquietanti appoggi di Turchia e Russia.

Infatti, l’avanzata dei Talebani restituisce al fondamentalismo islamico sunnita più estremo il territorio di una nazione dove edificare il proprio modello di Emirato basato sulla versione più oscurantista della Sharia: la legge islamica.

Il ritorno dei Talebani al potere in Afghanistan

E’ bene tenere a mente la feroce lezione di Kabul (5) (6).

In questa ottica, l’inesorabile, spietato conflitto in corso, non solo nella Striscia di Gaza,  vuole essere come  un dopo “11 settembre 2001”  di Israele e per gli americani l’ennesimo attacco del terrorismo islamico internazionale contro l’Occidente che notoriamente dovrà essere conquistato dai guerrieri di Allah con una Guerra santa, che non solo deve sterminare gli infedeli ma anche i maomettani moderati.

E questo spiegherebbe l’impegno assoluto degli Stati Uniti ad appoggiare militarmente Israele con un dispiegamento di forze, di rifornimenti e di finanziamenti incondizionati, per arginare, contrastare e sconfiggere finalmente il jihad islamico.

Un jihadista a Raqqa (Siria) nel 2017

Il veto posto pochi giorni fa dagli USA (7) alla Risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU che imponeva l’immediato cessate il fuoco e la tregua alle Forze Armate israeliane è la riprova di quanto il conflitto in atto sia importante anche per l’alleato americano che, contestualmente, si sta disimpegnando nel  sostegno bellico e finanziario  all’Ucraina, nella sua guerra con la Russia.

Dunque, fermo restando la indeterminatezza dei tempi e dei risultati di questo atroce conflitto –  che va ben oltre il territorio della Striscia di Gaza e che ha “incendiato” anche la Cisgiordania, dove le tre zone (8) in cui è ufficialmente divisa quella area sono ormai occupate militarmente da Israele e dai suoi coloni da molto tempo, e via via in modo sempre più stringente – è impossibile non concludere che non vi è soluzione per una pacificazione della Palestina (9).

E d’altronde, senza elaborare teoremi complessi resta una desolante constatazione, è impossibile pensare di poter risolvere un problema che non si è risolto in 75 anni.

E pur essendoci sicuramente colpe e incomprensioni malevoli da entrambe le parti resta il fatto che il mondo arabo, insieme all’Iran, ha sempre dichiarato che lo Stato di Israele non ha il diritto di esistere, che quindi deve essere distrutto e tutti gli ebrei sterminati.

Stando così le cose, qualunque sia stata la causa di quest’ultimo conflitto, non c’è bisogno di esperti di geopolitica per trarre la conclusione che non c’è soluzione.

Poi, sarà un caso, ma Gerusalemme e la Palestina si caratterizzano per una epopea di tremila anni di fede, massacri, fanatismo e, eccezionalmente, pure di  pacifica convivenza (10).

Ora non può sottacersi che la dichiarazione contenuta nella Legge fondamentale dello Stato di Israele  afferma che “Il diritto di esercitare l’autodeterminazione nazionale nello Stato di Israele spetta esclusivamente al popolo ebraico” e rende perciò vincolante l’esistenza di uno Stato di Israele esclusivamente per gli ebrei.

Ove si propendesse invece per un unico Stato, per ebrei e arabi-palestinesi, per l’irreversibile, vasta commistione delle due etnie ebraica e araba, questo principio fondante dello Stato di Israele potrebbe essere smascherato come vuota retorica, ove dovesse affermarsi una realtà binazionale.

In proposito, l’ex direttore generale del Ministero degli Esteri israeliano Avi Gil ha dichiarato che “il leader dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas ha recentemente lanciato un avvertimento secondo cui, se Israele continua nell’idea di un unico Stato di apartheid, le circostanze nella regione imporranno necessariamente pari e pieni diritti politici per i palestinesi”.

Mahmud Abbas, Presidente dell’Autorità nazionale palestinese

Allo stesso modo, Mohammed Dahlan, suo avversario politico, ha fatto eco a questo messaggio a marzo scorso, dicendo: ‘La soluzione dei due Stati è un’illusione, ed è morta. Benjamin Netanyahu l’ha distrutta. Non perdiamo tempo e apriamo invece una discussione per raggiungere la soluzione dello Stato unico”.

All’interno dell’opinione pubblica israeliana, queste esternazioni sono state liquidate come un “ballon d’essai”.

Ma, avverte Gil, è una questione tutt’altro che da sottovalutare. I sostenitori palestinesi della soluzione di uno Stato unico ritengono che lo sviluppo degli insediamenti ebraici in Cisgiordania abbia eliminato la possibilità di stabilire un confine chiaro tra i due popoli.

L’espansione degli insediamenti ebraici nel cuore del territorio destinato a diventare il loro Stato li ha portati alla conclusione che Israele sta perseguendo di fatto l’annessione.

Il funzionario, in base alla sua esperienza, ritiene che “se i palestinesi rinunciassero alla loro richiesta di uno Stato indipendente e pretendessero invece l’uguaglianza dei diritti, i Paesi occidentali sarebbero costretti a sostenere la loro richiesta. Con il passare del tempo, questi Stati troverebbero difficile giustificare una realtà in cui i palestinesi non hanno il diritto di partecipare al processo democratico che determina il governo responsabile del loro destino in Israele”.

Insomma, se la strategia palestinese dovesse abbracciare convintamente la prospettiva dello Stato unico, Israele potrebbe essere scioccato politicamente più di quanto non lo sia stato militarmente dall’attacco criminale di Hamas (11).

Di diverso avviso invece il pensiero dello scrittore israeliano Amos Oz, scomparso 5 anni fa.

Oz dice di non considerarsi un pacifista. Sa che il bastone serve a volte. Proprio perché è dotato di bastone e ne fa uso, Israele continua ad esistere.

Tra israeliani e palestinesi c’è, però, da decenni, una ferita aperta e purulenta e le ferite non si curano con il bastone.

Lo scrittore va alle radici del sionismo, che sintetizza con la volontà degli ebrei di non ritrovarsi più, e ovunque, minoranza discriminata e in balia degli eventi.

Militanti sionisti

Nello Stato ebraico, sottolinea Oz, ciò non può accadere. Se si vuole che sia così, bisogna però ammettere che non c’è alternativa alla soluzione dei due Stati per due popoli, riconoscendo che anche i palestinesi appartengono a quel brandello di terra.

Gli israeliani, in cuor loro, lo sanno, anche se continuano a rinviare questa operazione chirurgica dolorosa e indigesta.

Dovrà venire un leader – dice Oz – capace, come un buon chirurgo, di portare il suo popolo a fare il passo troppo a lungo rinviato.

Accanirsi a rifiutarlo implicherebbe la scomparsa di Israele (12).

Ebbene, una riflessione sul pensiero di questi due ebrei,  due personalità che hanno trascorso una vita a ricercare una soluzione possibile, porta a concludere, come premesso, che non c’è soluzione praticabile.

NOTE

1) L’art. 22 della Società delle Nazioni (SDN) prevedeva l’istituto dei “mandati” che stabilivano la natura e le modalità con cui intervenire nei territori con problematiche di stabilità politica ed economica. I territori sottoposti a mandati, di tre livelli, erano le ex colonie dell’Impero tedesco e i territori arabi dell’Impero Ottomano, oggetto di supervisione della SDN dopo la fine della 1^ Guerra Mondiale. La Palestina fu  giudicata territorio a cui veniva  riconosciuto di aver “raggiunto uno stato di sviluppo in cui la loro esistenza come nazione indipendente”  poteva essere provvisoriamente riconosciuta, subordinata però ad uno Stato mandatario finché non sussistessero  le condizioni per l’autonomia economica e politica definitiva”. Le priorità per gli Stati mandatari avrebbero dovuto essere quelle di eseguire la volontà delle popolazioni interessate.

2) I più importanti mandati di questo gruppo furono affidati alla Francia (Siria e Libano) e al Regno Unito (Palestina e Mesopotamia). I territori erano governati dagli Stati mandatari finché non fossero stati capaci di autogovernarsi. Le Nazioni mandatarie erano quattro: l’Impero britannico, la Francia, il Belgio e il Giappone. In realtà, però, i territori soggetti a mandato erano amministrati come delle colonie e non raggiunsero mai l’indipendenza fino alla Seconda Guerra mondiale, con l’eccezione dell’Iraq, che si unì alla Società delle Nazioni il 3 ottobre 1932.

3) Nel febbraio 1947 il primo ministro inglese Clemente Attlee, constatato che non si era  più in grado di mantenere l’ordine in Palestina, decise di rimettere il mandato britannico alle Nazioni Unite.  A causa di ciò l’ONU designò il 13 maggio 1947 i membri di un Comitato, l’UNSCOP,  senza che nessuna delle grandi potenze vincitrici della seconda guerra mondiale vi facesse parte. L’UNSCOP considerò due opzioni. La prima era la creazione di uno Stato ebraico e di uno Stato arabo indipendenti, con la città di Gerusalemme posta sotto controllo internazionale. La seconda consisteva nella creazione di un unico Stato, di tipo federale, che avrebbe compreso sia uno Stato ebraico, sia uno Stato arabo. Nella sua relazione, l’UNSCOP si chiese come accontentare entrambe le fazioni, giungendo alla conclusione che era “manifestatamente impossibile”, in quanto le posizioni di entrambi i gruppi erano incompatibili, ma che era anche ” indifendibile” accettare di appoggiare solo una delle due posizioni.

4) Così  E. Franceschini in La Repubblica-esteri del 17 ottobre 2023: “Stato Palestinese, ecco perché non c’è: una ricerca macchiata di sangue e guerre” dove si sostiene che ” i palestinesi non hanno uno Stato perché Israele glielo ha sottratto, glielo ha negato o gli ha impedito di costruirne uno.”.

5) Così M. Molinari: Jihad. Guerra all’Occidente, Rizzoli, Milano, 2015.

6) La Costituzione dell’Afghanistan è stata sospesa nel 2021. Il Governo riconosciuto a livello internazionale è in esilio, ma il Paese a tutti gli effetti è governato dall’Emirato Islamico dell’Afghanistan, espressione del gruppo dei Talebani.

7) La Risoluzione chiedeva a Israele “un immediato cessate il fuoco umanitario” nella Striscia di Gaza e “la liberazione immediata e senza condizioni di tutti gli ostaggi e la garanzia dell’accesso per ragioni umanitarie“. Hanno votato in favore 153 Paesi membri e hanno votato contrario 10 Paesi tra cui, oltre a Israele, gli Stati Uniti, la Repubblica Ceca e l’Austria. L’Italia si è astenuta insieme ad altri 22 Stati, tra cui la Germania, la Lituania, i Paesi Bassi, il Regno Unito, la Romania, la Slovacchia, l’Ucraina e l’Ungheria.

8) Gli accordi del 1995, noti come “Patto di Oslo”, hanno diviso la Cisgiordania in tre zone: Zona A sotto controllo dell’Autorità palestinese, Zona B sotto controllo congiunto israelo-palestinese e Zona C sotto controllo israeliano.

9) Da ultimo il quotidiano Avvenire del 17 dicembre 2023 riporta un articolo di Nello Sclavo “In Cisgiordania la legge dei coloni che allontana ogni sogno di pace”. Il giornalista riferisce di una “politica aggressiva degli insediamenti dei coloni e ora lo stato di conflitto permanente rende sempre più difficile la vita ai palestinesi . Nella West Bank gli insediamenti dei coloni  sono più di 100 e la Cisgiordania non è più un’ininterrotta regione palestinese, ma una provincia mista dove vivono 700.000 coloni e 4 milioni di palestinesi. La convivenza non è nei piani degli occupanti. Nella prima metà del 2023 i coloni hanno compiuto 591 attacchi nella Cisgiordania occupata“.

10) Vedi S. S. Montefiore: Gerusalemme –  biografia di una città, Mondadori, Milano, 2011, pagg. 798.

11) G. Caffulli: Diplomatico israeliano: non ci sarà sionismo senza uno Stato di Palestina – Terrasanta.net del 30 novembre 2023

12) G Caffulli:  Uno Stato di Palestina per salvare Israele”, su Terrasanta.net del 22 novembre 2013

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