Medio Oriente: Parigi crocevia strategico. Massad Boulos, l’uomo di Trump per l’area atteso in Francia

Di Giuseppe Gagliano*

PARIGI. Nel silenzio ovattato della diplomazia parallela, si profila all’orizzonte una visita destinata a pesare più di quanto possa apparire: quella di Massad Boulos, imprenditore libanese-americano e nuovo inviato speciale del Presidente Donald Trump per il Medio Oriente e l’Africa.

Massad Boulos, imprenditore libanese-americano e nuovo inviato speciale del Presidente Donald Trump per il Medio Oriente e l’Africa

 

Dopo aver compiuto un tour informale in alcune capitali del Maghreb – i cui dettagli, come spesso accade in questo tipo di missioni, restano avvolti nella riservatezza – Boulos è atteso a Parigi giovedì prossimo.

Al centro della sua agenda: la ridefinizione delle priorità strategiche statunitensi nella regione.

Il profilo di Boulos, figura atipica nel panorama diplomatico, riflette bene la strategia trumpiana.

Non un diplomatico di carriera, ma un uomo d’affari, legato a doppio filo ai circuiti economici e familiari di Trump.

Boulos, infatti, è il suocero di Tiffany Trump.

La sua nomina, già di per sé eloquente, rivela un intento preciso: costruire una rete di interlocuzioni regionali che parli il linguaggio degli investimenti, della sicurezza privata e della cooperazione bilaterale non intermediata da organismi multilaterali.

Il Maghreb e il dossier africano: interessi statunitensi in trasformazione

Durante il suo passaggio in Nord Africa – presumibilmente attraverso Marocco, Tunisia e forse Libia – Boulos avrebbe cercato sponde per rilanciare l’influenza americana in un’area sempre più corteggiata da Cina, Russia e Turchia.

In particolare, si ritiene che i colloqui abbiano riguardato le rotte energetiche, l’instabilità saheliana e il controllo delle migrazioni: dossier che intrecciano la sicurezza con l’economia e in cui Washington cerca nuovi margini d’intervento dopo anni di disimpegno relativo.

La zona del Sahel

 

La scelta di chiudere il tour a Parigi non è casuale.

La Francia, in declino d’influenza ma ancora formalmente potenza ex-coloniale nell’Africa occidentale e centrale, è osservata con attenzione da Washington.

Il Sahel, destabilizzato dai colpi di Stato e dal progressivo ritiro francese, è ormai campo d’azione di nuovi attori: la Wagner russa, le milizie legate ad Ankara, e ora anche potenzialmente contractor legati agli interessi americani.

In tale contesto, la visita di Boulos potrebbe segnare il preludio a un dialogo strategico più diretto – e competitivo – tra Parigi e Washington sul destino del continente africano.

L’Europa, Israele e l’asse del “nuovo ordine”

Parigi sarà anche teatro di colloqui ad alto livello su una questione che sta ridefinendo l’architettura delle alleanze occidentali: il conflitto israelo-palestinese e le sue ricadute regionali.

Boulos, fervente sostenitore di Israele, porta con sé una visione marcatamente filo-israeliana, in linea con la dottrina trumpiana dell’“accordo del secolo” e delle normalizzazioni bilaterali.

La sua presenza in Francia, in un momento di alta tensione tra Tel Aviv e Teheran, e con l’Europa spaccata tra sostegno incondizionato a Israele e richieste di tregua umanitaria, rischia di riaccendere frizioni diplomatiche.

Non è escluso che Boulos voglia sondare la disponibilità francese a una forma di partenariato più stretto su alcuni dossier chiave: contenimento dell’Iran, sicurezza marittima nel Golfo, e cooperazione energetica nel Mediterraneo.

Trump e la costruzione parallela di una diplomazia privata

La missione di Boulos appare dunque come un tassello di una strategia più ampia: costruire una rete diplomatica parallela che possa sopravvivere, e in caso rilanciarsi, in vista di un possibile ritorno di Donald Trump alla guida degli Stati Uniti.

Non si tratta solo di testare gli equilibri o raccogliere promesse: si tratta di tessere alleanze, raccogliere finanziamenti, e disegnare già oggi – fuori dai radar ufficiali – la geopolitica del “secondo mandato”.

L’Europa – e in particolare la Francia – si trova davanti a una scelta: restare ancorata al declinante asse multilaterale o scommettere su nuovi interlocutori, anche se controversi.

La visita di Massad Boulos, nella sua apparente marginalità, potrebbe rivelarsi il segnale premonitore di un cambio di passo ben più profondo.

*Presidente Centro Studi Cestudec

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