Di Fabrizio Scarinci
TEL AVIV. A circa una settimana dal suo inizio, la fragile tregua tra Israele e Hamas è già terminata.
Secondo i comunicati ufficiali di Tel Aviv, a far tramontare l’ipotesi di un’ulteriore giornata di proroga sarebbero state alcune violazioni poste in essere da parte dei miliziani palestinesi, che avrebbero ripetutamente sparato contro il territorio israeliano.
In conseguenza di ciò, alle 7 di questa mattina (ossia alle 6 ora italiana) sono nuovamente tornate in azione tanto le forze aeree e terrestri dell’IDF, che hanno ripreso a colpire gli obiettivi nemici presenti nella Striscia di Gaza, quanto quelle di Hamas, che, dal canto loro, hanno, invece, ricominciato a lanciare razzi in direzione di Israele.
In tale contesto, la ripresa delle operazioni (che, come tutti sanno, Israele aveva comunque intenzione di non interrompere per più di qualche giorno) sembrerebbe aver mandato all’aria i piani di tutti coloro che speravano di utilizzare la tregua al fine di favorire una de-escalation di carattere più ampio.
In particolare, si tratta non solo dei vari alleati di Hamas appartenenti al blocco sciita filo-iraniano (che stanno, ovviamente, cercando di salvare il loro piccolo partner palestinese dalle conseguenze della sua stessa avventatezza), ma anche di numerosi Paesi arabi ( i cui governi risultano spesso vicini a Tel Aviv malgrado il forte sentimento anti-israeliano delle loro opinioni pubbliche interne) e dell’Amministrazione Biden, che, oltre a voler superare il prima possibile questa crisi (se non altro per dedicarsi al conflitto ucraino e al contenimento delle manovre cinesi nella regione dell’Indopacifico), risulta anche piuttosto preoccupata per la mancata definizione di un credibile piano “post-conflict” per il territorio di Gaza.
D’altro canto, però, la totale sconfitta di Hamas nel territorio della Striscia consentirebbe ad Israele di scoprire le “deboli” carte di Teheran, che non potendo far nulla al fine di tutelare il suo piccolo alleato palestinese potrebbe perdere molta della sua credibilità anche nei confronti dei suoi altri satelliti regionali.
In ragione di questa prospettiva (che, in fondo, non dispiacerebbe troppo neppure agli USA e a diversi Paesi arabi), è quindi lecito ritenere che Tel Aviv voglia davvero arrivare fino in fondo come dichiarato dal Premier Benjamin Netanyahu.
Quanto alla futura sistemazione di Gaza si vedrà in seguito, e non è da escludersi l’apertura di spazi importanti anche per l’Europa, che, se solo si lasciasse definitivamente alle spalle il torpore politico-strategico degli ultimi due decenni, potrebbe stabilire con Tel Aviv una proficua collaborazione nella regione del Levante allo scopo di bilanciare i ben noti progetti neo-imperiali di Mosca, Ankara e Pechino.
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