Lamezia Terme (Catanzaro). Operazione dei Carabinieri del Gruppo di Lamezia Terme tra la stessa cittadina calabrese, Rosarno e Livorno.

Sette arrestati per tratta di esseri umani ed altri reati
I militari su disposizione della Procura Distrettuale Antimafia di Catanzaro hanno arrestato sette persone, tra cui una italiana e sei nigeriani. Tutti sono indagati, a vario titolo, per associazione per delinquere finalizzata alla tratta di esseri umani, acquisto e alienazione di schiavi, immigrazione clandestina, riduzione in schiavitù e sfruttamento della prostituzione con l’aggravante della transnazionalità.
Nei confronti degli arrestati è stato eseguito anche un sequestro preventivo di conti correnti e di altre utilità economiche.
Le indagini, iniziate nel gennaio 2017 a seguito della denuncia di una delle vittime, dirette dal sostituto procuratore Debora Rizza, dal procuratore aggiunto Giovanni Bombardieri e dal procuratore capo Nicola Gratteri della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro, hanno permesso di individuare un sodalizio criminale, operante nel territorio italiano e con ramificazioni in Nigeria e Libia.
Nello specifico, è emerso dalle indagini dei Carabinieri, i vertici dell’organizzazione “reclutavano” giovani donne africane adescandole con la promessa di un lavoro in Italia. Le stesse venivano sottoposte a rituali di magia nera “vodoo/juju”, per vincolarle al pagamento del debito contratto nell’effettuare il viaggio verso la penisola italiana, ammontante a circa 30 mila euro. Rompere il giuramento, nella loro cultura, avrebbe portato disonore e gravi conseguenze anche nei confronti dei familiari.
Da quel momento iniziava per loro un lungo e terrificante viaggio, durante il quale, attraverso il deserto del Niger, venivano trasferite in Libia, ove attendevano, fra violenze e abusi inauditi, di essere imbarcate per l’Italia. Nei frequenti casi in cui le donne, durante queste attese, venivano catturate e trattenute presso campi di prigionia, il gruppo criminale, grazie ai suoi ramificati contatti con soggetti chiamati “connection men”, riusciva a corrompere le guardie libiche e, previo pagamento di 5 mila dinar, a farle liberare.
Giunte finalmente sulle nostre coste, ad attenderle non vi era, però, la vita promessa. Rintracciate presso i centri di accoglienza, venivano trasferite in varie località e lì costrette alla prostituzione senza possibilità di ribellione, pena minacce e violenze.
L’unica priorità per le loro madam, hanno scoperto i Carabinieri, era che pagassero il debito contratto, tanto da costringerle ad abortire in casa e da privarle del cibo e dell’acqua se non avessero guadagnato abbastanza durante il giorno. Parte dei guadagni dell’attività di meretricio, inoltre, venivano investiti in una “contribution”, una cassa comune messa a disposizione delle madam per l’acquisto di nuove donne. L’attività ha così permesso di identificare le persone facenti parte dell’associazione e di disarticolare parte di una complessa organizzazione operativa fra Nigeria, Libia e Italia.
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