Nasce il Regno d’Italia con la sua Rete Ferroviaria Nazionale

Di Mario Pietrangeli*

Roma. Poche cose come il treno hanno cambiato la realtà e l’immaginario dell’Italia negli ultimi 150 anni.

La rete ferroviaria italiana nel 1868

Durante il Risorgimento e subito dopo il 1860 l’arrivo della strada ferrata e l’inaugurazione delle stazioni assursero a simbolo dell’unità nazionale: non solo si scambiavano merci e idee, ma soprattutto le diverse genti della penisola potevano entrare in contatto tra di loro, dando così inizio alla formazione di un popolo nuovo.

Alla sua costituzione, nel 1861, il Regno d’Italia si trovava in possesso di una rete ferroviaria dello sviluppo complessivo di km 2035 (2.189 secondo altri); di questa soltanto il 18% era di proprietà dello Stato ed il 25% in sua gestione diretta il restante 75% era ripartito in ben 22 società private delle quali un buon numero a capitale prevalentemente straniero.

L’insieme delle linee, per i motivi sopra esposti, non costituiva una rete organica e dal punto di vista della gestione versava in uno stato di reale confusione in quanto coesistevano ben 22 società private con regimi, regole e concessioni differenti; vi erano linee di proprietà statale, esercite dallo Stato stesso, linee di proprietà privata ed esercite da società a capitale privato e linee di proprietà privata ma con esercizio affidato allo Stato.

Nel suo breve periodo dittatoriale Giuseppe Garibaldi, a Napoli, aveva decretato anche la costruzione a spese dello Stato di linee ferroviarie per 987 km complessivi.

L’arrivo di Garibaldi a Napoli

Per congiungere l’ex rete pontificia alle ferrovie del vecchio regno borbonico, sia sul versante tirrenico che adriatico incaricò la “Società Adami e Lemmi”, la cui concessione era stata poi ratificata dal Governo d’Italia.

Poco tempo dopo, il neocostituito governo italiano revocò la convenzione, trasferendo l’atto concessorio alla Società Vittorio Emanuele (a capitale prevalentemente francese) contemporaneamente al riscatto da parte dello Stato della concessione della rete piemontese.

Alla fine del 1864 la situazione era la seguente: vi erano 566 km di linee esercite direttamente dallo Stato, 502 km ripartite tra 14 piccole società dell’Alta Italia, 743 km della Società Lombarda e dell’Italia Centrale, 293 km della Società Livornese, 224 km della Maremmana, 171 km della Centrale Toscana, 383 km delle ferrovie Romane, 482 km delle Meridionali e appena 32 km della Vittorio Emanuele per un totale di 3396 km con progetti per ulteriori 3281 km da costruire dei quali ben 1.127 km erano di competenza della Società Vittorio Emanuele che ne aveva la concessione per costruirli in Calabria e Sicilia.

Il 14 maggio 1865 venne emanata la legge n° 2279, detta la Legge dei grandi gruppi, voluta dall’allora ministro Stefano Jacini, dei Lavori Pubblici, e da Quintino Sella delle Finanze; con essa lo Stato si proponeva di porre ordine nel caotico sistema che fino ad allora aveva caratterizzato la costruzione e la gestione delle ferrovie.

Veniva innanzitutto definita la distinzione netta tra ferrovie pubbliche e ferrovie private analizzandone l’uso e la destinazione.

Quintino Sella, ministro delle Finanze

Venivano definite le norme per la costruzione e l’esercizio non prevedendo più sovvenzioni statali ma solo prestiti con interesse.

Le concessioni dovevano essere rilasciate per legge stabilendo i rapporti in caso di riscatto anticipato o di termine della concessione e infine la partecipazione dello Stato agli utili oltre una certa soglia base.

Ciò per favorire lo sviluppo ferroviario e industriale e per accorpare le numerose ma piccole società ferroviarie, esistenti soprattutto al nord ove la rete era più estesa.

Le linee principali furono affidate a cinque società concessionarie:

  • la Società per le Ferrovie dell’Alta Italia (SFAI) controllata dal ramo parigino di “Casa Rothschild”, alla quale facevano capo circa 2.200 km di linee
  • la Società per le strade ferrate romane (SFR) (ricostituzione della vecchia omonima società del 1861) con circa 2.060 km
  • la Società per le Strade Ferrate Meridionali (SFM) 1.771 km
  • la Società Vittorio Emanuele, 1.474 km;
  • la Compagnia Reale delle Ferrovie Sarde, 414 km.

In seguito a ciò i lavori di allacciamento tra i tronchi esistenti e la costruzione di nuove linee iniziarono a creare una caratteristica di rete in un certo qual modo organica, anche se oltremodo tortuosa e spesso palesemente irrazionale.

Nel 1870 erano in funzione poco più di 6.000 km di linee ferrate e iniziava l’allacciamento con alcune delle reti estere; nel settembre del 1871 il traforo del Cenisio rendeva possibile l’instradamento sul territorio italiano della “Valigia delle Indie” sottraendola all’itinerario di Marsiglia.

La Breccia di Porta Pia (20 settembre 1870)

Nello Stato Pontificio Roma era collegata con Frascati, Civitavecchia, Terni e Cassino (via Velletri), e modeste stazioni facevano da capolinea di queste linee.

Al 1872 esistevano, in Italia, poco meno di 7.000 km di linee ferroviarie complessivamente, il cui esercizio veniva assicurato da quattro Società principali per un complesso di 6.470 km:

  • Società per le Strade Ferrate dell’Alta Italia, km 3.006
  • Società per le strade ferrate romane, km 1.586
  • Società per le Strade Ferrate Meridionali, km 1.327;
  • Società per le Strade Ferrate Calabro-Sicule, km 551.

Altre linee erano divise tra varie Società minori, linee secondarie nelle quali il fine sociale era nettamente prevalente rispetto a quello economico.

L’introduzione delle ferrovie come mezzo generalizzato di trasporto per persone e merci comportò l’istituzione dell’ora nazionale.

In Italia nel 1866 erano sei le ore ferroviarie: Torino, Verona, Firenze, Roma, Napoli, Palermo.

In quell’anno fu deciso di unificarle adottando il “tempo medio” di Roma (Regio Decreto n° 3224 del 22 settembre 1866).

Inoltre non per legge, ma per libera iniziativa delle principali città italiane, con motivazioni legate ai vantaggi pratici derivanti dalla concordanza dell’ora ferroviaria con quella cittadina, venne deciso di estendere l’ora di Roma alla vita pubblica e privata, diventando in sostanza un’ora nazionale.

Milano regolò gli orologi pubblici sul tempo di Roma il 12 dicembre 1866, Torino e Bologna il 1° gennaio 1867, Venezia il 1 maggio 1880 e Cagliari nel 1886.

L’ora nazionale era stata precedentemente adottata in Gran Bretagna, poi in Svezia nel 1879, che fece una scelta rivoluzionaria adottando non l’ora di Stoccolma, ma quella del meridiano di Greenwich.

*Generale di Brigata (Ris)

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