Di Fabrizio Scarinci
WASHINGTON D.C. La cosiddetta “operazione militare speciale” lanciata dai russi nei confronti dell’Ucraina rappresenterebbe, a quasi un anno dal suo inizio, un vero e proprio fallimento strategico. Oltre a subire pesanti perdite sul campo, infatti, le forze del Cremlino non sarebbero riuscite né a spezzare la volontà di resistere degli ucraini, che, fatta eccezione per la Crimea (persa nel 2014) e per le regioni del Donbass, risultano ancora in possesso di tutto il proprio territorio, né ad indebolire l’Alleanza Atlantica, che sembrerebbe essere più unità oggi di quanto non sia mai stata in passato.
È questo, in sostanza, il concetto di fondo emerso durante la conferenza stampa tenutasi a margine dell’incontro di ieri a Washington tra il Segretario di Stato americano Antony Blinken e il Segretario Generale della NATO Jens Stoltenberg, che hanno ribadito l’intenzione dell’Alleanza di continuare a supportare Kiev finché sarà necessario, calibrando la propria assistenza al fine di soddisfare nel modo più efficace possibile le mutevoli esigenze dello strumento militare ucraino.
Tra i numerosi sistemi forniti finora figurano, come noto, armi anti-carro, veicoli blindati, artiglierie di vario tipo, batterie antiaeree e strumentazioni utili per lo svolgimento di missioni di sorveglianza e di ricognizione.
Negli ultimi pacchetti di aiuti sarebbero, inoltre, inclusi diversi sistemi anti-drone (strumenti rivelatisi fondamentali nel corso di questo conflitto) ed alcune centinaia di carri armati (soprattutto di tipo, Leopard 1, Leopard 2, M1 “Abrams” e Challenger 2), unanimemente ritenuti fondamentali (anche se, forse, non ancora sufficienti) al fine di far sì che Kiev possa riuscire ad opporsi in modo efficace alla prossima grande offensiva russa, che, peraltro, diversi analisti credono abbia già avuto inizio con i recenti attacchi nell’area di Bakhmut.
Come specificato dal Segretario di Stato Blinken, lo scopo finale di tale azione di supporto dovrebbe essere quello di “inclinare le dinamiche dello scontro il più possibile in favore dell’Ucraina”, in modo da dare al suo governo maggiori chances nell’ambito di eventuali trattative e costringere Vladimir Putin a un atteggiamento maggiormente accomodante; cosa che, finora, certamente non sembrerebbe intravvedersi, considerando che, ancora poche settimane fa, avrebbe ribadito, durante un suo discorso, che senza la disponibilità di Kiev ad accettare la nuova realtà territoriale, non vi sarebbe nulla di cui discutere.
La minaccia cinese
Ma a preoccupare i vertici del mondo euro-atlantico non vi è solo la sfida posta dalla Russia di Putin.
Come noto, infatti, proprio in questa fase, nella regione Indo-pacifica, si sta giocando tra Stati Uniti e Cina una partita che, per le sorti degli equilibri globali, risulta anche più determinante di quella giocata in Ucraina, sulla quale potrebbe, peraltro, anche esercitare una certa influenza.
A tal proposito, l’enfasi posta da Blinken e Stoltenberg sulla scarsa trasparenza con cui i cinesi starebbero ampliando il proprio arsenale nucleare, sull’aggressività con cui Pechino starebbe portando avanti le sue “relazioni” con Taiwan (di cui viola costantemente sia lo spazio aereo che le acque territoriali) e, non da ultimo, sulla grave violazione compiuta nei giorni scorsi dall’aerostato-spia della Repubblica Popolare che avrebbe sorvolato il territorio americano (e, con esso, la Malmstrom Air Force Base, dove risultano schierate decine di ICBM di tipo Minuteman III), sembrerebbe preludere ad una maggiore attenzione dell’Alleanza anche per ciò che concerne le dinamiche strategiche dell’Estremo oriente; obiettivo sul quale gli USA (cercando di coinvolgere anche i maggiori Paesi dell’Europa occidentale) spingono da ormai diverso tempo attraverso il perseguimento di legami sempre più stretti fra la NATO e alcuni dei loro partner più importanti nell’ambito della regione Indo-pacifica, come, ad esempio, Giappone, Australia e Corea del Sud.
Il terremoto in Turchia e in Siria (e tutte le altre vicende che, indirettamente, riguardano Ankara)
Per il Segretario di Stato, la conferenza stampa è stata, naturalmente, anche un’ottima occasione per aggiornare i presenti sull’andamento delle attività intraprese dal governo statunitense al fine di portare soccorso alle popolazioni di Siria e Turchia duramente colpite dal devastante terremoto di pochi giorni fa. In particolare, stando alle sue parole, al momento si parlerebbe di un certo numero di elicotteri e circa 150 soccorritori impegnati in Turchia e di alcune ONG finanziate da Washington che si starebbero attivando al fine di portare soccorso alla popolazione siriana.
Lo spinoso argomento “Turchia” è stato, però, trattato anche in altri momenti della conferenza, soprattutto con riferimento al mancato ingresso nell’Alleanza Atlantica di Svezia e Finlandia.
Nel corso degli ultimi mesi, infatti, proprio Ankara si è distinta per aver ostacolato l’adesione dei due Paesi scandinavi (cosa che, in quanto membro, rientra tra le sue facoltà) al fine di ottenere vantaggi quali l’estradizione di alcuni rifugiati politici da essa considerati terroristi e la possibilità di acquistare un certo numero F 16C Blck 70 dagli USA in sostituzione degli F 35 (che non riceverà a causa dell’acquisto di alcune batterie antiaeree e antimissile S 400 di fabbricazione russa incompatibili con la presenza dei sistemi NATO più avanzati).
Riguardo all’incresciosa vicenda, sia Blinken che Stoltenberg hanno specificato come, pur non essendo ancora riuscite ad aderire, Svezia e Finlandia starebbero già integrando le proprie strutture civili e militari con quelle dell’Alleanza e che, nel caso fossero minacciate, diversi alleati interverrebbero in loro aiuto già in presenza dell’attuale regime di collaborazione.
In ogni caso, però, ci si aspetta che, nel prossimo futuro, sia gli USA che gli altri Paesi del Blocco euroatlantico aumentino le proprie pressioni su Ankara al fine di facilitare la completa formalizzazione del loro ingresso definitivo.
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