Di Fabrizio Scarinci
L’AIA. Un’Alleanza Atlantica più esigente, determinata, ma anche più pragmatica.
Il summit NATO che si è appena concluso all’Aia segna un momento di svolta per l’organizzazione transatlantica: meno retorica sull’allargamento e più attenzione alla spesa, alla deterrenza e alla capacità di reazione. Due giorni intensi di incontri, conclusisi con una dichiarazione finale breve ma significativa.

Logo del summit NATO 2025. Credit – Ministerie van Buitenlandse Zaken – https://www.flickr.com/photos/ministeriebz/54350086250/
Un summit “di transizione” in una fase incerta
Convocato a pochi mesi dalle elezioni presidenziali statunitensi e a un anno dall’inizio del nuovo mandato europeo, il summit di L’Aia ha avuto il compito non secondario di rassicurare, all’interno e all’esterno, riguardo alla solidità della NATO.
L’evento ha rappresentato anche il debutto ufficiale dell’olandese Mark Rutte come nuovo Segretario Generale dell’Alleanza, ruolo assunto dopo l’uscita di scena del norvegese Jens Stoltenberg.
Il clima che ha accompagnato i lavori è stato più sobrio rispetto a quello dei precedenti summit, meno permeato da slanci concernenti l’allargamento e maggiormente ancorato alla realtà di una guerra in corso in Ucraina, a un’Europa esposta e a una Russia sempre più assertiva sul piano militare e nucleare.

Il Segretario Generale della NATO Mark Rutte
Il cuore del summit: 5% del PIL per la difesa
Il tema centrale, e politicamente più incisivo, è certamente rappresentato dall’accordo per un aumento significativo della spesa militare: entro il 2035, ogni Paese membro dovrà destinare almeno il 5% del proprio PIL alla sicurezza nazionale, con una revisione intermedia nel 2029.
Tale quota, su cui ha insistito soprattutto il governo statunitense, include spesa diretta per difesa, resilienza, infrastrutture strategiche, cyberdifesa e supporto ai partner.
Si tratta di un cambiamento epocale rispetto all’ormai storico obiettivo del 2%, fissato nel 2014.
Alcuni paesi, come Polonia, Stati Uniti, Regno Unito e i Baltici, hanno spinto fortemente per questo nuovo traguardo, mentre altri, come Belgio, Slovacchia e Spagna (che risulta perfino essere stata esentata) hanno espresso dubbi sulla sostenibilità dell’impegno.
Il segretario Rutte ha definito l’accordo «un passo trasformativo per la sicurezza dell’Alleanza in un’era di minacce permanenti e complesse». Non è un caso che questo punto abbia occupato la parte principale della dichiarazione finale, un documento sintetico ma netto, redatto in uno stile volutamente sobrio e operativo.
Il focus sulle minacce esterne
Il summit ha inoltre riaffermato come la Federazione Russia, non solo per via della guerra in Ucraina, ma anche per le esercitazioni missilistiche al confine con i Paesi della NATO e il crescente ricorso alla retorica nucleare, rappresenti, ad oggi, la più grave e diretta minaccia alla sicurezza dell’area euro-atlantica.
Forte preoccupazione è stata, inoltre, espressa per il crescente coinvolgimento dell’Iran nel conflitto ucraino.
Da anni, infatti, la Repubblica Islamica fornisce droni e altri sistemi alla Russia, che li utilizza spesso contro obiettivi civili.
Nella dichiarazione finale si è, poi, condannato anche il supporto iraniano a gruppi terroristici come Hezbollah e Houthi, a cui l’Iran ha fornito missili e armi per moltissimo tempo.
Nel documento finale viene quindi espresso tutto l’allarme suscitato in Occidente dal ruolo destabilizzante che Teheran gioca nella regione mediorientale e dalle ambizioni nucleari degli Ayatollah, con la richiesta, a pochi giorni dall’azione americana dei giorni scorsi sui siti di Fordow, Natanz e Isfahan, di una collaborazione più soddisfacente, da parte del regime, con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (IAEA).

B-2 Spirit dell’USAF coinvolto nell’operazione MIdnight Hammer
Nel comunicato di quest’anno, inoltre, anche Pechino, da sempre identificata solo come “competitor” e non come minaccia diretta, viene menzionata per la prima volta in toni particolarmente severi.
La Cina viene, infatti, accusata di sostenere militarmente lo sforzo bellico russo, di “fornire componenti essenziali a Mosca” e di condurre operazioni ibride contro alcuni dei Paesi membri.
Per tale ragione, gli alleati, quindi, chiesto ai vertici della Repubblica Popolare “di interrompere immediatamente ogni forma di assistenza militare indiretta”.
L’Ucraina: sostegno fermo, ma linguaggio più cauto
Se nel summit di Vilnius 2023 il tema dell’adesione dell’Ucraina era stato centrale, pur senza produrre una roadmap concreta, stavolta il documento finale non menziona nemmeno l’ingresso del Paese nell’Alleanza.
Una scelta lessicale tutt’altro che casuale.
Ciononostante, resta comunque pienamente confermato il sostegno militare e politico a Kiev, ragion per cui, gli aiuti ad essa inviati saranno inclusi nell’ambito del 5% che si chiede di spendere agli Stati membri.
Ribadita l’importanza dell’Articolo 5
Un altro elemento chiave è stato il rinnovato impegno all’Articolo 5 del Trattato di Washington: “Un attacco a uno è un attacco a tutti”. Il concetto è stato ribadito in modo esplicito per controbilanciare le recenti dichiarazioni dell’ex presidente Donald Trump, che aveva messo in dubbio la volontà di difendere membri che “non pagano abbastanza”.
A tal proposito, tutti i leader hanno riaffermato l’impegno comune alla difesa reciproca, sottolineando come la NATO rappresenti un pilastro irrinunciabile della sicurezza occidentale.
Conclusione: una NATO più strategica e meno simbolica
In generale, è certamente possibile affermare come il summit dell’Aia abbia rappresentato un momento di “sano” realismo strategico per l’Alleanza.
Senza grandi proclami, ma con decisioni concrete, i leader della NATO sembrerebbero aver scelto di affrontare il futuro con una postura più solida e, soprattutto, più finanziata.
La sfida sarà ora quella di tradurre gli impegni presi in politiche nazionali, in un contesto economico e politico che appare ancora incerto.
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