Di Daniela Lombardi
Gerusalemme. Una zona che ha un potenziale agricolo ed energetico enorme, che attira turisti da tutto il mondo ma che, soprattutto, è considerata da Israele una barriera naturale verso est – quindi una protezione irrinunciabile nei confronti dell’Iraq e dell’odiato nemico Iran – e dunque un’area di interesse strategico essenziale.
La Valle del Giordano rischia di trasformarsi, a luglio, in un terreno di scontro tra israeliani e palestinesi ancora più aspro e violento del solito.
Fin dal momento delle elezioni, infatti, Netanyahu aveva messo sul tavolo il progetto di annettere allo Stato di Israele la Valle più contesa del Medio Oriente, ma non si sapeva fino a che punto il piano fosse una provocazione per “spingere” verso la riconferma elettorale e fino a che livello fosse invece tutto da considerarsi vero.
Da poco si è avuta la conferma che il premier israeliano intende fare sul serio. Netanyahu ha, infatti, dichiarato che darà il via, alla Kessnet, all’iter legislativo per l’annessione della Valle del Giordano e di alcune altre porzioni di Cisgiordania.
In realtà il territorio, che va dal Lago di Tiberiade fino al Mar Morto e che rappresenta, allo stato attuale, almeno il 30% della West Bank, è già sotto il controllo di Israele, anche se formalmente appartiene all’autorità palestinese.
L’annessione anche formale sarebbe un duro colpo ai rapporti tra le parti e provocherebbe di certo reazioni piuttosto forti.
Il piano di annessione, secondo il premier israeliano, dovrebbe essere concretizzato già a luglio.
Ovviamente non sono poche le implicazioni geopolitiche che comporterebbe questa idea avversata non solo, come è scontato, dai palestinesi, ma anche da chi, tradizionalmente, condivide le azioni di Israele in merito alle questioni di sicurezza, cioè la Giordania, che quindi da alleato potrebbe trasformarsi in un ostacolo alla realizzazione del piano.

Il confine Israele-Giordania nel fiume Giordano (foto dell’autrice)
La Giordania, da sempre, appoggia l’idea della costituzione di uno Stato palestinese, piccolo ma sovrano. Non lo fa certo per magnanimità ma per paura che, nel caso in cui questa nuova entità non si realizzi in territorio israeliano, le aspirazioni all’indipendenza della popolazione palestinese si rivolgano verso la Giordania, dove il numero dei rifugiati provenienti dalla Palestina è enorme.
Insomma, le mosse di Netanyahu, supportate dall’amministrazione Usa di Donald Trump che le aveva caldeggiate nell’ultimo piano di pace presentato, spaventano i vicini di casa, che fanno sentire la loro voce attraverso il Re Abdallah II.

L’incontro tra Nethanyau e Trump, nel 2017
La posizione della Giordania ha un suo grosso peso e, non a caso, gli Usa nonostante il disegno iniziale in tal senso, al momento stanno mantenendo una posizione un po’ ondivaga, senza esporsi con un via libera esplicito al processo di annessione.
Del resto, il crollo dell’autorità nazionale palestinese, a seguito delle azioni israeliane, determinerebbe il caos nella regione del Giordano, con conseguenze in parte prevedibili e in parte, ovviamente, tutte da valutare.
La Giordania lo sa bene e sa anche come un’eventuale annessione potrebbe restituire forza all’estremismo, con i Fratelli musulmani pronti a cavalcare il malcontento di una decisione così estrema.
I profughi palestinesi presenti in Giordania, infatti, hanno trovato la loro collocazione politica nel Fronte d’Azione islamico, braccio politico della Fratellanza musulmana in Giordania, che non esiterebbe a fare della Valle del Giordano il vessillo da sventolare per una rivolta verso Israele.
Lo Stato israeliano, come si diceva, ha già in realtà il controllo effettivo della Valle, pur appartenendo questa all’autorità palestinese, ma un’annessione avrebbe un valore simbolico che non potrebbe passare inosservato e che genererebbe un malcontento troppo difficile da controllare.
Se la Giordania, dunque, cerca di far leva sul pericolo terrorismo e sulla possibilità di far saltare gli accordi di pace con Israele per impedire tali progetti, l’autorità palestinese solleva analoghi argomenti, minacciando di porre una pietra tombale sulle intese per la soluzione dei due Stati e dichiarando di non essere in grado di gestire l’eventuale escalation di violenza che dovesse esplodere contro i gesti di sopraffazione da parte di Israele. Anche perché, come si accennava, i palestinesi, nella soluzione a due Stati, rivendicano proprio la Valle del Giordano come confine orientale della futura Palestina.
La Palestina “agita”, inoltre, i numeri a difesa delle sue tesi: nella zona vivono più di 65 mila palestinesi e 11 mila coloni israeliani.
C’è da dire anche che la maggior parte dei 65 mila vivono nella città di Gerico, che resterebbe esclusa dai piani di annessione ma che si ritroverebbe, a quel punto, totalmente isolata e circondata da insediamenti israeliani.

La città di Gerico resterebbe esclusa dalle annessioni (foto dell’autrice)
Contro il piano di Netanyahu si schierano anche l’Europa, definendolo “un atto unilaterale contrario al diritto internazionale” e il Consiglio di sicurezza dell’ONU, che esorta l’esecutivo israeliano “a rispettare i confini tracciati dopo la guerra del 1967 e a riprendere i negoziati per la soluzione a due Stati”.
Non si deve pensare, infine, che il fronte interno israeliano sia compatto.
Cresce infatti la protesta delle opposizioni contro le decisioni di Netanyahu eanche le comunità ebraiche di tutto il mondo, raccolte nella Global Jewish Coalition, dichiarano di opporsi “all’annessione unilaterale e all’occupazione permanente”.
Gli elementi per supporre che a luglio l’estate israeliana si infuocherà, ci sono tutti.
© RIPRODUZIONE RISERVATA