Di Vincenzo Santo*
Pechino. Sulla questione tra Italia e Cina facciamo un po’ di chiarezza. Lo scambio di idee da “Bar dello sport” sta caratterizzando, infatti, la discussione, dando all’argomento una connotazione calcistica impropria.
Intanto, diamo uno sguardo ai fatti.
Il principale è che la “Via della Seta” è già in Europa. Questo sia chiaro! Da ben cinque anni, 15 mila convogli merci hanno attraversato il Continente euroasiatico principalmente diretti per e da Duisburg ed Amburgo, in Germania.

Sempre più in crescita il potere economico della Cina sul mare
E la Germania, in particolare, con la Cina vanta ora un interscambio di circa 200 miliardi di euro, con una crescita del 100% circa in dieci anni. E con un surplus, forse unico caso al mondo degli interscambi commerciali con la Cina, di 80 miliardi!
In confronto, noi viaggiamo con un umile interscambio pari a 41 o 42 miliardi e con un deficit commerciale di 15 miliardi. E questo è un altro fatto.
Inoltre, ben 57 Paesi, incluso il nostro, ma anche Germania, Gran Bretagna, Francia, Olanda ed altri europei, hanno indirettamente aderito alla BRI (Belt and Road Initiative) cinese semplicemente divenendo soci fondatori della AIIB (Banca Asiatica d’Investimento per le infrastrutture) fondata a Pechino nel 2014. E questo è un altro fatto ancora.
Quindi, primo punto: nessuno venga a darci lezioni! Noi di certo non siamo il cavallo di Troia, altri forse lo sono e da ben prima di noi!
E cosa dire dell’iniziativa 16+1? L’anno passato al suo settimo summit, si presenta con 5 Stati balcanici, ben 11 Paesi dell’Unione Europea, di cui alcuni hanno già firmato dei Memorandum of Understanding (MOU) come la Polonia ed, ovviamente, la Cina.
E cosa dire ancora della “Three Seas Initiative” che con l’altra, secondo me, è in sistema? Nata del 2016, essa vede quegli 11 Stati che, con l’aggiunta dell’Austria, fanno combutta per un supposto dialogo regionale, da cui noi siamo esclusi, evidentemente volto a rendere profittevole la continuità territoriale e far tesoro di tutto quello che da quei tre mari (Baltico, Adriatico e Nero) e verso di essi potrà viaggiare.
Parliamo della parte meridionale. Quella di più immediato nostro interesse. I due “gruppi”, infatti, a Sud, si collegano alla Grecia, quindi al Pireo. E poi in futuro vedremo che cosa accadrà per altri approdi sul Mar Nero. Ma dal Pireo a risalire i Balcani non è cosa facile, né per via ordinaria né in treno.

La Cina è il secondo cliente nel mondo del Canale di Panama
Ma attenzione, già la ferrovia Belgrado-Budapest è finanziata dai cinesi. I Balcani, pertanto, ancora per un po’ saranno un territorio difficile. Magari la Croazia potrebbe offrire presto e con pochi interventi approdi migliori lungo le sue coste. Anticipandoci!
La Cina trasporta attraverso Suez il 60% del suo export e, sempre via mare, viaggia l’80% del traffico per e dall’Asia, principalmente facendo capo a Rotterdam, Anversa e Marsiglia. E questi sono altri tasselli importanti.
Domanda: perché in Europa ci si meraviglia tanto, quando nei fatti, a parte il greco Pireo, Marsiglia è al 49% cinese, Bilbao e Valencia lo sono al 51%, mentre Rotterdam lo è al 35% e Anversa lo è al 25%? E persino il nodo ferroviario di Saragozza presenta una forte presenza cinese?
Forse perché si teme la nostra concorrenza, in considerazione del nostro grande vantaggio, cioè la geografia? Geografia che consentirebbe ai nostri “hub” (Genova e/o Trieste o altro ancora, forse meglio l’area di Monfalcone per le sue capacità di espansione nell’entroterra) di garantire uno smistamento da e per l’Europa centrale e orientale e percorrenze marittime più vantaggiose. Ma facciamo presto, cioè prima che il passaggio polare divenga ancora più redditizio. E prima di qualche vicino più intraprendente.
Allora veniamo a un secondo punto: non facciamoci del male!
Quello possiamo offrire e su quello dobbiamo giocare. Noi non siamo l’Africa, non abbiamo risorse minerarie, né petrolio né altro che faccia gola. Abbiamo certo molta expertise e come seconda potenza industriale d’Europa dobbiamo tenercela stretta. Non deve essere parte della trattativa.
Pertanto, il paragone e la paura che attanaglia molti connazionali di finire per essere colonizzati come pare stiano facendo i cinesi in Africa, e altrove, non reggono e non hanno ragione di esistere.
La Cina, da quando ha avviato il progetto ha aumentato, è vero, il proprio export del 25% (a 2.400 miliardi di dollari) ma ha anche aumentato il proprio import dell’11% (a 1.540 miliardi di dollari). Sembra, pertanto, che da questa dannata Via della Seta abbiano tratto vantaggi non solo i cinesi.
Da qui, un ulteriore punto: la BRI ci può essere utile!

La Via della Seta
Sempre che un accordo venga firmato alla pari e ci veda come commensali a quel tavolo e non, come ha detto Giulio Tremonti, come menu. La reciprocità è fondamentale. Mentre l’improvvisazione non paga. Così come non pagherebbe la volontà politica di fare cassetta vendendo debito in cambio di garantire la parte del padrone al dragone cinese sulle nostre infrastrutture, magari con una legge ad hoc come fatto dai greci per il Pireo.
Guai a chi si fosse accordato su uno scambio siffatto, pensando di farlo per coprire impegni di spesa irresponsabili. Forse al limite dell’alto tradimento.
Tuttavia, mi chiedo perché da un lato i pentastellati premano per questo accordo e dall’altro osteggino pervicacemente la TAV, in considerazione che se parliamo di punti di entrata in area triestina e/o genovese, queste due devono necessariamente collegarsi, nell’ambito del TEN-T europeo, con il corridoio “Mediterraneo” che, come forse non tutti sanno, è quello che arrivando dall’Est europeo giunge a Lione, per poi proseguire per la Spagna, passando per Torino e quindi, confluendo nella benedetta TAV. Inspiegabile!
E l’MOU assume pertanto un’importanza politica fondamentale, perché siamo i primi del G7 a farlo, ma soprattutto laddove ci consenta di precedere eventuali concorrenti contigui e di recuperare il ritardo comparato accumulato nei confronti di altri paesi europei che bazzicano commercialmente con Pechino da più tempo e, furbescamente, nel silenzio.
Deve poter essere un vero accordo, un qualcosa che metta in chiaro subito le reciproche posizioni. Non una “supercazzola” di “monicelliana” memoria. In definitiva, detto alla romana, dovrebbe essere un “famo a capisse”. Ne ho letto una bozza, non mi ha convinto!
Deve puntare alla cogestione di un progetto che non si limiti a semplici, ma pur sempre utili, accordi commerciali, ma che si alzi di livello, per mirare a realizzare delle vere e proprie “porte commerciali” verso e dall’Europa, un Hong Kong italiano, insomma.
Infrastrutture che intercettino il grosso di quegli scambi con l’Estremo Oriente, perché in grado di gestire il moderno traffico marittimo, offrendo tempi più brevi di navigazione, più veloce accesso al mercato europeo e, inoltre, tempi e costi di movimentazione e di smistamento ferroviario, navale ma anche per via ordinaria altamente competitivi.
Altro punto, quindi: dobbiamo investire anche noi per continuare a essere commensali!
Gli americani protestano? Hanno paura per la sicurezza dato che il controllo della rete da parte di Pechino con le sue Huawei o ZTE potrebbe compromettere le comunicazioni riservate delle basi NATO e USA in Italia? Sciocchezze! Le comunicazioni importanti di carattere classificato sfruttano altre strade. Perfino la grande alleata britannica si è smarcata dal dover escludere dalle gare per il 5G le compagnie cinesi.
E, suvvia! Trump non vuole che intrecciamo questo rapporto con Pechino? Perfetto, ultimo punto quindi, rispondiamogli: Ok, yankee, cosa mi dai in cambio se ci rinuncio? Ci si affidi un po’ alla geo-economia … e con un pizzico di cattiveria.
*Generale di Corpo d’Armata Esercito (Ris)
© RIPRODUZIONE RISERVATA