Di Alexandre Berthier
Palermo. Carlo Alberto dalla Chiesa (Saluzzo, 27 settembre 1920 – Palermo, 3 settembre 1982): un grande Uomo per un paese piccolo, piccolo.
Un grande Soldato per un Paese che non vuole combattere.
Un Eroe per un Paese che non vuole eroi! Un Piemontese che finì i suoi giorni in una Sicilia che per i piemontesi ha coltivato sin dai tempi dell’unità nazionale un odio insopprimibile.
Figlio e fratello di Ufficiali dei Carabinieri, a ventuno anni, Sottotenente di Fanteria, fu in guerra nel Montenegro ottenendo ben due Croci di Guerra.
Rientrato in Italia, nel 1942 transitò nei ranghi dei Reali Carabinieri e nel suo nuovo ruolo – in linea con la tradizione militare piemontese e di famiglia – si trovò a operare spericolatamente nella Resistenza e nella Guerra di Liberazione, conseguendo per i suoi meriti il Distintivo di Volontario della Guerra di Liberazione e grazie ad esso il transito nei ruoli effettivi dell’Arma.
Destinato in Campania, si distinse nella lotta al banditismo, venendo poi inviato nel 1949 in Sicilia col Comando Forze repressione del banditismo, del Colonnello Ugo Luca.
Per i risultati che conseguì, ricevette una medaglia d’argento al valore militare e, da allora, ormai ben noto e affermato per le sue indiscusse capacità di comandante, combattente indomito ed investigatore divenne indiscutibilmente una preziosa risorsa cui lo Stato italiano – in momenti sempre più travagliati ed inquietanti – fece continuamente ricorso.
Dopo aver ricoperto diversi incarichi a Roma e a Milano, da Colonnello tornò in Sicilia conseguendo importanti risultati nella lotta alla Mafia e ottenendo persino di far confinare esponenti mafiosi di cui non si riusciva ad ottenere l’arresto – allora come oggi – nelle isole di Asinara, Linosa e Lampedusa, anziché nelle periferie delle città del nord Italia.
Promosso Generale, nel 1974 fu destinato a Torino con giurisdizione sul Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria, trovandosi a dover affrontare la stagione del terrorismo, radicatosi soprattutto nella classe operaia.
Anche in questo caso, come già fatto a Palermo per la mafia, iniziò ad infiltrare suoi uomini tra i terroristi.
Per fronteggiare la nuova emergenza, Dalla Chiesa creò nel maggio del 1974 il Nucleo Speciale Antiterrorismo, con sede nella Caserma “Cernaia” di Torino, conseguendo risultati eccezionali e catturando elementi di primissimo piano delle Brigate Rosse.
Però nel 1976, nonostante i brillanti risultati, il Nucleo venne sciolto, perché secondo alcuni le metodologie di intervento dello specialissimo reparto non sarebbero state troppo ortodosse.
Nel 1977, allorquando i detenuti in Italia evadevano dalle carceri semplicemente aprendone le porte, Dalla Chiesa fu nominato Coordinatore del servizio di sicurezza degli istituti di prevenzione e pena.
Anche in questo incarico il Generale intervenne energicamente, individuando subito le carceri di Favignana, Asinara, Cuneo, Fossombrone e Trani, cui poi si aggiungeranno Novara, Termini Imerese, Nuoro e Pianosa, quali sedi per i detenuti più pericolosi, dove gli agenti di custodia vigilavano sui detenuti e i Carabinieri, all’esterno degli istituti, vigilavano sugli agenti!
Nel 1978, dopo il rapimento e la morte di Aldo Moro, il Governo sempre più disorientato e spaventato, dovette nominarlo Coordinatore delle Forze di Polizia e degli Agenti informativi per la lotta contro il terrorismo, alle dirette dipendenze del ministro dell’Interno, Virginio Rognoni.
Ma, ancora una volta, alcuni – di allora, come quelli di oggi, ma sempre gli stessi – censurarono i poteri speciali del Generale, come pericolosi e impropri!
Nel 1979, tornò Generale dell’Arma a tempo pieno e assunse, a Milano, il comando della prestigiosa Divisione “Pastrengo” con giurisdizione su tutto il Nord Italia, venendo infine nominato Vice Comandante Generale dell’Arma – ai tempi il massimo incarico cui poteva aspirare un ufficiale dei Carabinieri, il cui Comandante Generale proveniva esclusivamente dai Generali di Corpo d’Armata dell’Esercito, di cui l’Arma era parte integrante – il 16 dicembre 1981.
Lasciò anticipatamente l’incarico nel 1982 perché l’Italia, almeno qualcuno di quella Italia, aveva bisogno ancora una volta dell’Uomo – per alcuni della speranza, per altri della Provvidenza – che da tanti pericoli aveva già salvato il Paese.
Si, perché senza Dalla Chiesa, non si può avere idea di come sarebbe potuto andare a finire.
Così, il 6 aprile 1982 il Governo lo nominò Prefetto e il Generale, lasciata la sua uniforme, memore della ingratitudine più volte riservatagli dallo Stato in passato, si fece convincere ancora una volta da Virginio Rognoni ad affrontare l’ennesima prova della sua vita di indomito combattente.
Cioè, ottenere gli stessi successi conseguiti con le Brigate Rosse nella lotta a Cosa Nostra, la cui guerra tra le varie cosche insanguinava come non mai l’Isola.
All’insistente richiesta di accettare la nomina a Prefetto di Palermo, il ministro Rognoni accompagnò la promessa poi non mantenuta – per mancanza di accordo politico – di poteri straordinari, che però non arrivarono in tempo.
Il resto è cronaca rievocata, credo abbastanza inutilmente, ogni anno, in questo giorno. Il 3 settembre 1982 alle 21.15 alcune raffiche di Kalashnikov uccisero il Prefetto e la giovane moglie, Emanuela Setti Carraro.
I funerali vennero celebrati in fretta e furia alle ore 15.00 dell’indomani, alla presenza di una folla inferocita, che non risparmiò insulti e aggressioni a tutti i rappresentanti delle istituzioni e della politica, unica eccezione il Presidente Pertini.
Dell’evento, al fine di trarne le conclusioni – circa l’inutilità assoluta di quel sacrificio a favore di un Paese tuttora ingrato e senza memoria – restano le parole del Cardinale, siciliano, di Palermo, Salvatore Pappalardo: “Mentre a Roma si pensa sul da fare, la città di Sagunto viene espugnata dai nemici . . . ma questa volta non è Sagunto, ma Palermo. Povera la nostra Palermo”.
Dodici giorni dopo il mortale agguato mafioso, il 15 settembre, per le ferite riportate la sera del 3, morì anche il trentaduenne agente di Polizia Domenico Russo, unica, umile e coraggiosa scorta al Prefetto ed alla consorte.
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