Palestina: l’Asse tra Parigi e Riad per la Palestina è un ritorno della diplomazia o illusione geopolitica?

Di Giuseppe Gagliano*

NEW YORK .Nel cuore delle cancellerie occidentali e arabe si muove silenziosa una nuova offensiva diplomatica: Arabia Saudita e Francia, in un tandem inedito ma strategicamente calcolato, guidano i preparativi per una conferenza delle Nazioni Unite destinata a rilanciare l’annosa e irrisolta questione della “soluzione a due Stati”.

Il Palazzo di Vetro di Ne York

La sede sarà New York, le date sono fissate: 17-20 giugno. Il quadro, tuttavia, è quello di un mondo multipolare, frammentato, in cui la diplomazia sembra più spesso rincorrere le crisi che prevenirle.

A Parigi, il ministro degli Esteri Jean-Noël Barrot ha riunito i suoi omologhi di Arabia Saudita, Egitto e Giordania per costruire un consenso arabo che abbia il volto della moderazione sunnita e l’ambizione di restituire legittimità a una causa palestinese ormai marginalizzata da anni di guerra, fratture interne e accordi bilaterali tra Israele e monarchie del Golfo.

Il ministro degli Esteri francese Jean-Noël Barrot

 

Il peso politico della Francia in questo contesto è in bilico: erede di una diplomazia un tempo autonoma e oggi oscillante tra ambizioni di leadership europea e il vincolo atlantico, Parigi prova a ritagliarsi un ruolo di mediazione internazionale.

Il coinvolgimento saudita, invece, risponde a logiche più complesse: rientro nella scena diplomatica post-Khashoggi, consolidamento dell’immagine riformista di MBS e, forse, tentativo di raffreddare le tensioni con Teheran sulla scacchiera medio-orientale.

A New York intanto, otto Task Force ONU lavorano su dossier concreti: sicurezza, aiuti umanitari, governance palestinese e disarmo di Hamas.

La promessa è ambiziosa è di presentare una “roadmap attuabile”, non l’ennesima dichiarazione d’intenti.

I diplomatici francesi insistono: niente revisioni delle vecchie risoluzioni, ma un cambio di paradigma verso una pace possibile.

Ma il nodo resta politico, anzi geopolitico.

La Francia spinge per il riconoscimento internazionale dello Stato palestinese: una mossa che potrebbe rompere l’immobilismo europeo e provocare l’ira di Israele, dove Netanyahu minaccia “rappresaglie radicali”. Macron ha già lasciato intendere di essere pronto.

Ma il vero ostacolo resta la posizione degli Stati Uniti, riluttanti ad appoggiare un riconoscimento unilaterale che potrebbe incrinare i rapporti con Tel Aviv e con la destra ebraica americana.

A Madrid, nel frattempo, il Principe saudita Faisal bin Farhan incontra i partner europei e islamici per ribadire la necessità di un’azione comune.

Il Golfo, dopo anni di ambiguità e accordi economici con Israele, torna ora a parlare di Palestina. Ma è una svolta reale o solo diplomazia cosmetica?

Abu Mazen, Presidente dell’ANP

 

Il cuore del dibattito è nella tenuta dell’Autorità Palestinese, logorata da decenni di corruzione e impasse politica.

Parigi vuole una riforma istituzionale, nuovi leader, nuove elezioni. Ma senza legittimazione popolare e senza il controllo di Gaza – ancora in mano a Hamas – ogni discorso sulla “soluzione dei due Stati” rischia di restare un esercizio retorico.

Alla base di tutto c’è una convinzione: che la pace possa venire solo dalla politica, non dalla guerra.

Ma in un Medio Oriente attraversato da guerre asimmetriche, pressioni regionali, equilibri fragili e strategie di potenza, il ritorno della politica rischia di essere solo l’ennesima tregua tra due fallimenti.

Presidente Cestudec  (Centro Studi Strategici)

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