BETLEMME (dal nostro inviato). Una ventina di minuti di bus, al costo di poco più di due euro ed eccovi arrivati a Betlemme, capitale dell’omonimo Governatorato sotto controllo dell’Autorità nazionale palestinese (ANP).

Sono solo una decina di chilometri quello che separa Gerusalemme dalla città dove, come per i credenti cristiani è nato Gesù.
L’evangelista Luca la definisce “la città di David” perché qui sarebbe nato anche Davide, il secondo Re di Giuda e Israele.
Qui vi sorge paleocristiana basilica della Natività.
Passiamo i tornelli del check point della Tomba di Rachele. Fuori tantissimi taxi gialli in attesa di un cliente.
La parola d’ordine di ogni tassista palestinese è “my brother” (mio fratello) oppure, appena sanno che si proviene dall’Italia, subito tendono ad evidenziare che tra italiani e palestinesi c’è una grande amicizia. Appunto quasi una “fratellanza”.
Parlano volentieri contro Hamas e contro quanto avvenuto il 7 ottobre 2023. Seriamente o per captatio benevolentiae, ovvero per catturare la simpatia e l’amicizia dell’interlocutore?
Il dubbio rimane. Quello che è certo che mentre prima tassisti, venditori di souvenir, guide turistiche più o meno regolari facevano un bel po’ di soldi, oggi dopo il 7 ottobre la crisi si fa sentire.
Visto che i gruppi organizzati di pellegrini che provenivano da tutto il mondo non ci sono più (uno di brasiliani viaggiava, tra l’altro, sul nostro stesso aereo che, questa mattina, ci ha portato a Tel Aviv) appena un occidentale supera il check point può fare qualsiasi mestiere nella vita ma resta sempre un turista e, quindi, ipoteticamente una persona che ha tanti soldi in tasca. E di conseguenza è disponibile a spendere.
La capacità tutta medio orientale, oseremo dire mediterranea (anche perché nel nostro Meridione è un’arte che a non ci difetta) di sapere convincere, vendere qualcosa non manca certo ai palestinesi.
Anche percepire poi inseriscono sempre gli elementi famiglia, bambini, mancanza di lavoro. Che dopo un po’ diventano stucchevoli.

Ma poi basta stare qualche ora qui e vedi auto di grossa cilindrata scorrazzare a tutta velocità (in modo molto spaccone) per le vie della città oppure edifici in costruzione che ti poni la classica domanda dell’uomo della strada: ma come vivono?
Sembra di arrivare in una realtà sì ricca di storia, di cultura, religione, tradizione ma che in questi ultimi due anni attende qualcosa: una pace con Israele, una tranquillità economica fatta sempre con il ritorno di un turismo più intenso?
Ma Trump è definito “pazzo”. Quelli cui con cui abbiamo parlato, giovani e meno giovani, imputano alla politica palestinese (ma anche internazionale) di fare tante parole e poche cose concrete.
A leggere i dati economici (fonte Patriarcato latino) 162 famiglie cristiane hanno lasciato la Cisgiordania negli ultimi due anni.
I giovani con titoli di studio esprimono in modo schiacciante il desiderio di emigrare, citando la mancanza di prospettive e il timore della violenza dei coloni.
Sempre secondo la stessa fonte anche i cristiani palestinesi che vivono in Israele, in possesso del passaporto israeliano, non si sentono particolarmente felici.
Un sondaggio del Rossing Center, condotto nel 2024, ha rivelato che il 37% dei cristiani sta prendendo in considerazione l’idea di lasciare il Paese.
Il 48% di chi ha meno di 30 anni e il 52% di quelli tra i 30 e i 44 anni se ne.vogliono andare.
Le ragioni sono diverse: insicurezza a Gerusalemme Est, violenza criminale nelle aree arabe di Israele (come Nazaret), difficoltà economiche e mancanza di accesso agli alloggi.
Una netta maggioranza degli intervistati (64,8%) ritiene inoltre che la Legge sullo Stato-Nazione del 2018 confermi che i cristiani sono considerati cittadini di seconda classe nello Stato ebraico.
Questi dati mostrano che la partenza dei cristiani non è legata all’Autorità Nazionale Palestinese in sé, ma a un contesto di occupazione, restrizioni e crisi prolungata.
Insomma è la politica che deve fare il suo gioco.
Ma se Hamas, in questa comunità fatta di arabi cristiani e arabi mussulmani (questi in maggioranza) è visto come “fumo negli occhi” perché sostenuto dall’Iran, – e cone sappiamo tutti sciiti e sunniti si odiano dai tempi di Ali e di Maometto e da tutta la storia della discendenza dopo la morte di quest’ultimo – e l’ANP non riesce a dare un colpo di reni per riconquistare un potere importante come ai tempi di Yasser Arafat, sarà l’accordo per Gaza voluto da Trump e Netanyhau a sistemare le cose?

Quello che appare qui è scettisismo. In fondo di accordi ne sono stati firnati tanti da quando Israele è nato. Un altro potrà solo servire a finire sui libri di storia o sarà realtà?
Per dirla all’araba: in šāʾ Allāh (se Dio vuole). Ma la politica è in mano agli uomini e non a Dio e quindi la volontà appartiene solo ai primi.
Vedremo con quali risultati.
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