Perù: dichiarati 30 giorni di emergenza nazionale. L’ex Presidente Castillo resta carcere fino al 6 giugno 2024 Corte Suprema

LIMA. Dovrà restare in carcere fino al 6 giugno 2024 l’ex Presidente peruviano, Pedro Castillo. Lo ha deciso la magistratura del Paese andino.

L’ex Presidente del Perù, Pedro Castillo

La difesa ha annunciato un immediato ricorso.

Castillo è accusato di ribellione e di tentato di colpo di Stato.

Dopo aver ascoltato gli interventi dell’accusa e della difesa, il giudice Juan Carlos Checkley Soria ha letto per quasi due ore gli argomenti a sostegno della sua decisione di accettare nei confronti di Castillo la richiesta della Procura generale aveva formulato la sua accusa sulla base di un un tentativo di colpo di Stato rche, per l’accusa, è stato realizzato da Castillo con il suo discorso alla Nazione lo scorso 7 dicembre, quando annunciò lo scioglimento del Parlamento, l’avvio di un processo di riforma della Costituzione e un sostanziale commissariamento di tutti gli organi giudiziari peruviani.

Intanto, sono stati dichiarati 30 giorni di stato di emergenza nazionale.

Si intende così tentare di fermare le proteste di piazza scoppiate una settimana fa dopo la messa in stato di accusa da parte del Congresso e il successivo arresto dell’ex Presidente Pedro Castillo.

Un momento delle proteste (Foto tratta da Internet)

Il suo posto è stato preso dalla vice presidente Dina Boluarte.

La dichiarazione di emergenza nazionale stabilisce l’impiego delle Forze Armate in ordine pubblico, a fianco delle Polizia nazionale e la sospensione del diritto a riunirsi.

L’ex capo dello Stato peruviano resta ancora in carcere fino al giorno della prima udienza davanti alla Corte Suprema.

E’ accusato, insieme all’ex primo ministro, Aníbal Torres, al momento latitante, di ribellione e di cospirazione. E rischia 18 mesi di carcere.

Tra i maggiori organizzatori delle proteste pro Castillo ci sono i movimenti dei contadini e dei minatori.

Castillo è un ex maestro e sindacalista ed è nato nella regione rurale della Cajamarca.

Ma ci sono stati anche alcuni movimenti di lavoratori delle aree rurali che però si sono schierati contro.

I dimostranti sono tutti uniti nella contestazione dell’operato del Congresso, per la richiesta di rinuncia del vice presidente Boluarte e l’organizzazione di elezioni anticipate.

Restano, intanto, ancora chiusi gli aeroporti di Arequipa, seconda città del Paese, di Ica, di Apurimac e di Cuzco, tra i principali centri turistici di tutto il Sud America.

 

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