Port Sudan: la base navale è un tassello della strategia russa dal Mediterraneo al Mar Rosso

Di Antonella Roberta La Fortezza

Khartoum (nostro servizio particolare). I leader della giunta militare al potere in Sudan, nelle scorse settimane. hanno approvato il testo dell’accordo, raggiunto nel 2017 da Mosca e dall’allora Presidente sudanese Omar al-Bashir.

L’ex Presidente sudanese Omar al-Bashir

L’intesa stabilisce una base logistica per la Marina militare russa a Port Sudan. In cambio di tale concessione, Mosca si è impegnata a fornire a Khartoum armi e attrezzature per le Sudan Armed Forces (SAF) e a rafforzare la cooperazione economica tra i due Paesi.

Le installazioni di Port Sudan

Secondo le dichiarazioni pubbliche dei funzionari militari sudanesi, tuttavia, la ratifica e dunque l’entrata in vigore dell’accordo potranno avvenire soltanto dopo la formazione di un governo civile e di un Parlamento.

Sussistono seri dubbi circa la possibilità che il Sudan possa vedere, nel breve periodo, la creazione di un governo civile e l’avvio di una reale transizione democratica; in un simile contesto politico, non può escludersi, pertanto, la possibilità che la giunta militare al potere possa procedere autonomamente, a prescindere dagli sviluppi della transizione democratica, a una ratifica dell’accordo con Mosca.

Al momento, il principale limite alla concretizzazione dell’accordo raggiunto nel 2017, non sembra realisticamente essere la mancanza di un governo civile, quanto piuttosto le implicazioni che la realizzazione di una base navale russa a Port Sudan avrebbero sui rapporti tra la giunta militare di Khartoum e i Paesi del blocco occidentale, primi fra tutti gli Stati Uniti.

D’altro canto, a prescindere dagli sviluppi nel breve periodo delle dichiarazioni sulla base di Port Sudan, la ripresa pubblica del discorso relativo a tale accordo segnala, chiaramente, l’interesse da parte sia di Khartoum che di Mosca a riaprire un canale di dialogo che possa rispondere alle esigenze strategiche di ambo le parti.

Il negoziato per la base di Port Sudan, tra Khartoum e Mosca, ha infatti avuto un percorso non del tutto lineare, ciò anche in ragione delle vicende politiche interne sudanesi.

I primi riferimenti all’accordo risalgono, come detto, al 2017.

Il colpo di Stato del 2019 ai danni di al-Bashir non ha provocato la rottura di quei contatti negoziali, tanto che nel novembre del 2020 il Presidente Vladimir Putin ha ufficialmente approvato la creazione di una base russa in Sudan, pubblicando anche il testo del presunto accordo con le autorità sudanesi.

Il Presidente russo Vladimir Putin

Proprio in quell’occasione, tuttavia, le dichiarazioni delle autorità di Khartoum sembrarono frenare le aspirazioni russe; tra la fine del 2020 e il 2021 l’accordo per la base a Port Sudan è sembrato, infatti, quasi del tutto abbandonato dalla linea strategica sudanese.

In quello stesso periodo il governo transizionale civile sudanese guidato da Abdalla Hamdok si era avvicinato in maniera crescente ai Paesi Occidentali.

Tale processo di avvicinamento tra Khartoum e Washington, in particolare, è stato emblematicamente segnato dalla firma, da parte del Sudan, degli Accordi di Abramo con Israele, nel gennaio del 2021, in cambio della quale gli USA hanno rimosso il Sudan dalla lista degli Stati sponsor del terrorismo internazionale.

L’accordo per la base navale di Port Sudan è tornato, però, alla ribalta in seguito al colpo di Stato del 25 ottobre 2021, guidato dal Generale Abdel Fattah al-Burhane ai danni del governo civile di transizione di Hamdok e tramite il quale si è assistito al completo ritorno al potere dei militari.

Il Generale Abdel Fattah al-Burhane

Subito dopo questo secondo colpo di Stato, il Sudan è apparso nuovamente isolato.

Stati Uniti, Unione Europea e Banca Mondiale, infatti, hanno immediatamente congelato gli aiuti finanziari al Paese.

Per rispondere a questo isolamento, ma anche in ragione di una tradizione bilaterale già solida tra le élite militari sudanesi e Mosca, la giunta golpista al potere ha rivisto la linea di politica estera del Sudan e ricalibrato progressivamente i propri rapporti bilaterali.

Della relazione privilegiata tra le élite militari sudanesi e la Russia è stato emblematico il viaggio del leader delle Rapid Support Forces (RFS), Mohamed Hamdan Dogolo, detto Hemetti, a Mosca, proprio il giorno prima dell’inizio delle operazioni militari russe in Ucraina (benché tale contestualità sia stata definita dalle autorità come del tutto casuale).

Così come emblematiche della ricalibrazione della politica estera sudanese sono state le molteplici astensioni del Sudan alle votazioni, in sede di Assemblea Generale delle Nazioni Unite, sulle risoluzioni di condanna dell’operato russo in Ucraina.

Mohamed Hamdan Dogolo

La prospettiva di rinnovati negoziati in corso tra Mosca e i nuovi vertici militari sudanesi sulla base a Port Sudan è emersa dallo stesso richiamo che si fa a una base sul Mar Rosso nella nuova dottrina navale russa presentata a luglio del 2022.

Se la precedente dottrina navale russa, quella del 2015, sembrava concentrarsi proprio sul Mediterraneo, la dottrina del 2022 sembra andare oltre il Mare Nostrum.

Il potenziale russo nel Mediterraneo, infatti, è notevolmente aumentato dal 2015, soprattutto utilizzando la testa di ponte siriana ma anche sfruttando le dinamiche geopolitiche regionali e i vuoti creatisi.

In questo panorama, la finalizzazione dell’accordo tra Sudan e Russia sulla base navale di Port Sudan sarebbe per Mosca il naturale prolungamento della strategia già adottata nel Mediterraneo orientale (definito nella stessa dottrina navale del 2022 come zona “importante”, categoria subito dopo le zone “vitali”) poiché consentirebbe alla Russia l’accesso alle acque “calde” del Mar Rosso e, soprattutto, al chokepoint di Bab el-Mandeb, espandendo potenzialmente l’influenza della Russia ben oltre l’Africa, fino cioè all’Oceano Indiano, e collegando contestualmente tutti i Paesi africani senza sbocco sul mare con il Mar Rosso (bypassando il piccolo Gibuti, in cui i russi non sono mai riusciti a stabilire una loro base militare).

Dal punto di vista geo-strategico, poi, la base di Port Sudan consentirebbe a Mosca di avere due centri nevralgici delle proprie forze navali, a Nord e Sud del Canale di Suez, ovvero a Tartus in Siria e appunto a Port Sudan in Sudan.

Infine, dal punto di vista logistico, la base di Port Sudan rappresenta una hub di sosta fondamentale per le unità russe nella prospettiva di rafforzamento della presenza moscovita verso l’Oceano Indiano.

Ma la base di Port Sudan avrebbe anche un forte effetto simbolico che andrebbe a rafforzare quel fenomeno a cui si è assistito anche in sede di votazione delle Nazioni Unite sulla guerra in Ucraina: circa 40 Paesi, di cui circa 20 africani, su un totale di 180 si sono astenuti o hanno votato contro le risoluzioni di condanna alla Russia.

L’apertura di una base navale a Port Sudan consegnerebbe all’opinione pubblica dei Paesi cosiddetti “in via di sviluppo” l’immagine di una Russia vincente nella sua strategia africana.

Una Russia che avendo ben chiari gli obiettivi di questa strategia è riuscita a muoversi e a operare concretamente per il suo raggiungimento.

Sfruttando anche la storica retorica che fu già dell’Unione Sovietica, di una potenza anticoloniale che si oppone alle logiche neocolonialiste dei Paesi europei e dell’Occidente in generale, l’immagine di una Russia affidabile nelle sue politiche strategiche potrebbe ulteriormente rafforzare la già importante presenza russa nel continente africano.

Questa stessa retorica, poi, funzionerebbe anche a livello globale, consegnando l’immagine di una Russia capace di muoversi al di fuori del proprio continente, soprattutto in un momento in cui si trova in aperto conflitto sul fronte ucraino e sotto un pesante regime sanzionatorio.

Gli Stati Uniti, primi fra tutti, hanno più volte ribadito le preoccupazioni per un simile accordo tramite il quale la Russia finirebbe per avere una base navale sul Mar Rosso e conseguentemente l’accesso a una via d’acqua strategica, tanto più in un momento, come quello attuale, di tensione con l’Occidente per la guerra in Ucraina.

Tutto questo potrà ovviamente realizzarsi soltanto nel caso in cui le autorità di Khartoum dovessero realmente concedere a Mosca la base di Port Sudan.

Sebbene continuerà a essere trainato soprattutto dalle strette relazioni che esistono ormai da anni tra compagnie private ricollegabili a Mosca e le élite militari sudanesi, il rapporto tra Khartoum e Mosca dovrà più realisticamente adattarsi anche alle vicende politiche interne sudanesi.

Durante il governo a guida civile, ad esempio, il Sudan ha rafforzato le proprie relazioni con l’Occidente, piuttosto che proseguire sulla strada verso Mosca: sebbene tale prospettiva appaia remota, la formazione di un eventuale governo civile potrebbe dunque rimodulare nuovamente la politica estera sudanese. Inoltre, anche qualora l’attuale giunta dovesse restare al potere, bisognerà valutare i reali vantaggi economici di un rapporto più stretto con Mosca, piuttosto che con l’Occidente.

La valutazione da parte degli attori interni sudanesi circa gli interessi economici personali da perseguire potrebbe, inoltre, comportare un allargamento delle crepe già esistenti tra le SAF e il Presidente del Consiglio Sovrano di transizione, Abdel Fattah al-Burhan, da un alto, e le RSF e il loro leader, Hemetti, dall’altro.

La contropartita prevista per l’accordo sulla base di Port Sudan, cioè l’impegno di Mosca a fornire armi e attrezzature alle SAF, potrebbe essere il segnale di una negoziazione in corso tra Mosca e al-Burhan, mediata da Hemetti, figura quest’ultima che sembrerebbe maggiormente propensa a seguire la strada di un più stretto rapporto con la Russia.

Se si ricostruisce la presenza di Mosca in Sudan, infatti, è possibile evidenziare un rapporto privilegiato tra le società russe, in particolare la Wagner, e il leader delle RSF, rapporto instaurato e poi cresciuto soprattutto alla luce della loro collaborazione nel settore dell’estrazione e del commercio dell’oro.

Il dossier della collaborazione diretta con Mosca, di cui la concessione della base di Port Sudan segnerebbe il punto massimo, se non ben gestito soprattutto nel suo bilanciamento di vantaggi nei confronti delle SAF, potrebbe comportare un aggravamento della frattura tra le due principali componenti delle élite militari sudanesi.

Questo finirebbe per rimettere in discussione l’intero impianto strategico delle relazioni bilaterali del Sudan poiché, potenzialmente, potrebbe condurre il Sudan verso una ulteriore crescente instabilità politica e sociale.

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