Puigdemont e la scelta del Belgio

di Valeria Fraquelli 

Il presidente destituito della Generalitat catalana, Carles Puigdemont, nel suo attesissimo discorso a Bruxelles ha detto di non avere almeno per il momento intenzione di chiedere asilo politico in Belgio. La priorità di Puigdemont è portare le istanze del popolo catalano nel cuore dell’Europa, nei palazzi del potere di quell’Europa che fino ad adesso ha detto di considerare la questione catalana come un problema tutto interno alla Spagna. L’unico desiderio dell’ex presidente catalano, almeno per ora, è lavorare in sicurezza e tranquillità senza le pressioni del governo spagnolo ma, se il clima diventasse meno teso, non ha escluso di tornare a Barcellona e riprendere il contatto con la sua gente.

È la Spagna ad avere chiuso tutte le porte al dialogo senza nemmeno provare ad ascoltare le argomentazioni dei catalani, ha detto Puigdemont, ma il popolo catalano non ha dimenticato che durante il referendum del primo ottobre molti elettori sono stati pesantemente malmenati dalle forze di sicurezza mandate dal governo di Madrid. L’ex Presidente catalano si dice anche pronto ad andare in carcere se il processo sarà equo e non politicizzato e smentisce tutti coloro che lo accusano di aver lasciato la Catalogna solo per non incorrere nelle pene previste dalla giustizia spagnola. Puigdemont ha detto di avere lasciato la Spagna anche per evitare altri scontri violenti come quelli già visti il giorno del referendum.

 

Carles Puigdemont, presidente della Catalogna destituito dal suo incarico dal governo spagnolo

Per Puigdemont bisogna portare le richieste di indipendenza del popolo catalano a Bruxelles per evitare la repressione spagnola e spingere l’Unione Europea ad agire per salvare i legittimi rappresentanti dei catalani dalla giustizia spagnola politicizzata che punisce le idee contrarie al pensiero comune anche a costo di schiacciare i suoi stessi cittadini, come ha fatto con gli elettori catalani il primo ottobre. «L’Unione Europea deve agire perché la repressione spagnola metta in discussione gli stessi valori alla base del progetto di Europa unita», ha aggiunto il leader catalano.

In ogni caso la scelta del Belgio come palcoscenico per provare a reintrodurre le istanze catalane nell’agenda europea non è casuale per almeno due motivi. Bruxelles, capitale di quella che dovrebbe essere l’Europa unita, ospita le più grandi sale stampa del vecchio continente, l’ideale per porre i propri argomenti al centro dell’attenzione, e proprio in Belgio sono presenti due dei partiti indipendentisti più attivi a livello europeo che da sempre si battono per l’indipendenza della regione delle Fiandre: Alleanza neo fiamminga ed Interesse fiammingo. Anche la scelta dell’avvocato che lo dovrebbe proteggere dalle ricadute pesanti della giustizia spagnola in terra belga non è stata lasciata a caso. Puigdemont ha, infatti, scelto Bekaert, avvocato specializzato nella difesa dei diritti umani che in passato ha già difeso dall’estradizione alcuni membri dell’organizzazione terroristica basca ETA scappati in Belgio.

Che Puigdemont stia pensando di collegare la causa indipendentista catalana a quella fiamminga? Se così fosse, tanti tasselli di questo complicato puzzle internazionale andrebbero al loro posto ma il collegamento non è così scontato. Il governo belga al suo interno è diviso tra chi considera il leader catalano come un perseguitato bisognoso di asilo e chi lo rimanderebbe volentieri in Spagna, senza contare che i partiti indipendentisti fiamminghi, pur continuando la loro battaglia storica, fanno parte del governo e ne condividono tutte le responsabilità. A differenza degli indipendentisti catalani che hanno scelto la via della proclamazione unilaterale dell’indipendenza, i fiamminghi sfruttano il sistema di governo per portare avanti le loro istanze.
La storia catalana e quella fiamminga sono troppo diverse per essere paragonate ed è molto difficile che Puigdemont possa trovare amici pronti a sostenere la sua battaglia negli ambienti dell’indipendentismo belga.

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