Qatar: la capacità della diplomazia segreta dei funzionari di Doha nel cuore della mediazione internazionale

Di Giuseppe Gagliano*

DOHA. Qatar, un piccolo Stato del Golfo con una popolazione di appena 2,7 milioni di abitanti, si è affermato come un attore cruciale nella diplomazia globale, grazie alla sua capacità di mediare complessi accordi di cessate il fuoco e scambi di prigionieri.

L’emiro del Qatar Sheikh Tamim bin Hamad Al-Thani

Il primo ministro qatariota, Sheikh Mohammed bin Abdulrahman Al Thani, si avvale di consulenti esterni per gestire le delicate operazioni di diplomazia segreta, un dettaglio che aggiunge una nuova dimensione alla strategia di mediazione di Doha.

Questo approccio, unito alla posizione unica del Qatar come ponte tra attori spesso in conflitto, come Israele e Hamas, rafforza il suo ruolo di mediatore indispensabile nel Medio Oriente e oltre, ma solleva interrogativi sulle dinamiche di potere e sulle implicazioni geopolitiche di queste scelte.

Un hub diplomatico nel deserto

Negli ultimi decenni, il Qatar ha sfruttato la sua ricchezza derivante dal gas naturale e la sua posizione strategica per costruire una rete di relazioni che gli consente di dialogare con attori che raramente si parlano direttamente.

La capitale Doha è diventata un crocevia per negoziati delicati, ospitando leader di Hamas, rappresentanti israeliani, delegazioni taliban e funzionari iraniani.

Questa capacità di mantenere canali aperti con parti in conflitto è stata fondamentale per successi come il cessate il fuoco tra Israele e Hamas del novembre 2023, che ha permesso la liberazione di oltre 100 ostaggi in cambio di prigionieri palestinesi, e l’accordo di scambio di prigionieri tra Stati Uniti e Iran nel 2023, che ha coinvolto il trasferimento di fondi iraniani per scopi umanitari.

Il primo ministro Sheikh Mohammed si affida a consulenti esterni per orchestrare la diplomazia segreta.

Questi esperti, spesso operanti al di fuori delle strutture ufficiali del Ministero degli Affari Esteri o dell’Amiri Diwan, forniscono competenze specializzate e discrezione assoluta, essenziali per navigare le complessità di negoziati tra parti con “zero fiducia reciproca”, come descritto da un funzionario statunitense.

La loro identità rimane riservata, ma si ritiene che includano ex diplomatici, analisti di intelligence e specialisti in risoluzione dei conflitti, selezionati per la loro esperienza in contesti di crisi.

Il metodo qatariota e il ruolo dei consulenti

Il successo di Doha come mediatore deriva dal suo approccio proattivo, definito da alcuni osservatori come “muscolare”.

A differenza della mediazione tradizionale, che si limita a trasmettere messaggi tra le parti, il Qatar interviene attivamente per colmare le distanze, proponendo soluzioni creative e sfruttando la sua influenza economica e politica.

Ad esempio, durante le trattative per il cessate il fuoco di Gaza del 2023, il primo ministro qatariota ha annullato viaggi a Mosca e Londra per concentrarsi sui negoziati, lavorando a stretto contatto con il capo del Mossad, David Barnea, e funzionari egiziani in sessioni notturne a Doha.

Un’immagine dei bombardamenti israeliani a Gaza

I consulenti esterni giocano un ruolo chiave in queste operazioni, fornendo analisi strategiche e suggerendo compromessi che tengono conto delle sensibilità culturali e politiche delle parti coinvolte.

Questi esperti hanno aiutato a chiarire dettagli critici, come la definizione di termini ambigui negli accordi, ad esempio cosa significasse per Israele “parcheggiare” i carri armati a Gaza durante il cessate il fuoco.

Questo livello di precisione è essenziale quando le parti, come Israele e Hamas, non condividono nemmeno un linguaggio comune per la negoziazione.

Implicazioni geopolitiche: opportunità e rischi

Il ricorso a consulenti esterni consente al Qatar di mantenere una certa flessibilità e di distanziarsi ufficialmente da alcune decisioni controverse, ma solleva anche interrogativi sulla trasparenza e sulla sostenibilità di questa strategia.

Da un lato, l’uso di esperti esterni permette a Doha di affrontare crisi complesse senza impegnare direttamente le sue istituzioni, preservando la neutralità percepita del Qatar.

Dall’altro, questa pratica potrebbe alimentare critiche, soprattutto da parte di chi, come alcuni politici occidentali, accusa Doha di avere legami troppo stretti con gruppi come Hamas, considerato un’organizzazione terroristica da Stati Uniti ed Europa.

Il Qatar, che ospita la leadership politica di Hamas dal 2012 su richiesta degli Stati Uniti, si trova in una posizione delicata.

I pick-up di Hamas distutti dai caccia israeliani

 

La sua capacità di dialogare con Hamas è stata cruciale per negoziati come quello del 2023, ma ha attirato accuse di “finanziare il terrorismo”.

I funzionari qatarioti respingono queste critiche, sottolineando che ogni aiuto a Gaza è stato canalizzato attraverso banche e valichi israeliani, e che la loro mediazione è motivata da un mandato religioso e morale, come espresso nel Corano: “Se due gruppi di musulmani combattono tra loro, riconciliateli”.

Sfide future e il peso della diplomazia qatariota

Nonostante i successi, il ruolo del Qatar come mediatore non è privo di ostacoli.

La competizione regionale con l’Egitto, che vanta una lunga tradizione di mediazione tra Israele e Hamas, rappresenta una sfida significativa.

Inoltre, la dipendenza da consulenti esterni potrebbe esporre Doha a rischi di fughe di informazioni o a critiche interne, soprattutto se i negoziati dovessero fallire.

La sospensione temporanea della mediazione qatariota nel novembre 2024, in risposta alle difficoltà nei negoziati su Gaza, ha dimostrato che anche Doha ha i suoi limiti.

Tuttavia, il Qatar continua a essere un attore indispensabile.

La sua capacità di ospitare dialoghi tra parti inconciliabili, come dimostrato anche nelle trattative USA-Taliban del 2020 e nello scambio di prigionieri USA-Iran, lo rende un unicum nel panorama internazionale.

Immagine della firma dell’accordo dei talebani, a Doha

 

Conclusione: un equilibrio precario

L’approccio del Qatar, che combina diplomazia ufficiale e consulenza esterna, ha permesso a un piccolo stato del Golfo di esercitare un’influenza sproporzionata rispetto alle sue dimensioni.

Tuttavia, il suo ruolo di mediatore è un gioco di equilibrio tra neutralità e coinvolgimento, tra pragmatismo e idealismo.

Mentre Doha continua a navigare le complessità geopolitiche del Medio Oriente, la sua capacità di mantenere la fiducia di tutte le parti – e di gestire le critiche – sarà cruciale per il suo futuro come ponte diplomatico.

In un mondo sempre più polarizzato, il Qatar dimostra che la diplomazia, anche quella segreta, può essere un’arma potente quanto gli Eserciti.

* Presidente Centro Studi Cestudec

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