Di Chiara Cavalieri*
TEL AVIV. Una nuova e delicata disputa diplomatica si è accesa tra Egitto e Israele riguardo alla proposta egiziana di dispiegare una forza multinazionale nella Striscia di Gaza, composta da contingenti di quattro Paesi: Egitto, Turchia, Azerbaigian e Indonesia.
Secondo un’inchiesta pubblicata dal quotidiano israeliano Israel Hayom, Tel Aviv si oppone con decisione al piano egiziano, in particolare alla presenza di truppe turche nei pressi dei suoi confini.
Netanyahu invia un messaggio fermo a Washington: “La Turchia è una linea rossa”
Il quotidiano Maariv ha riferito che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha inviato un messaggio ufficiale all’amministrazione statunitense, esprimendo un rifiuto categorico di qualsiasi presenza turca a Gaza.

Questa posizione è stata ribadita durante una serie di incontri con alti funzionari americani incaricati di monitorare la seconda fase del piano del Presidente Donald Trump per porre fine alla guerra nella Striscia.
Fonti diplomatiche citate dal giornale hanno riferito che Netanyahu, parlando con l’inviato presidenziale Steve Witkoff e con il consigliere e genero di Trump Jared Kushner, ha dichiarato: “Qualsiasi tentativo di coinvolgere la Turchia nel conflitto di Gaza rappresenta un superamento della linea rossa israeliana”.

Netanyahu considera la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan un attore ostile, accusandola di aver fornito sostegno politico e finanziario ad Hamas negli ultimi anni.
Di conseguenza, Israele ritiene inaccettabile qualsiasi partecipazione turca – anche a livello umanitario o civile – a un’eventuale forza internazionale.
Queste dichiarazioni arrivano in un momento di intensi contatti tra Washington, Tel Aviv e capitali arabe e occidentali per delineare il quadro post-bellico, che include la creazione di una forza multinazionale incaricata di supervisionare la sicurezza e gestire temporaneamente i valichi di frontiera. Secondo Maariv, il veto israeliano alla Turchia rappresenta “un nuovo ostacolo politico” agli sforzi diplomatici statunitensi.
La proposta egiziana: una forza di 4 mila soldati
Secondo quanto riportato dal giornalista Danny Ziken, l’Egitto intende guidare una forza internazionale di circa 4 mila militari che dovrebbe fungere da cuscinetto tra le forze israeliane e quelle di Hamas nella Striscia di Gaza.

Il Cairo – sempre secondo il rapporto – si prepara a presentare una bozza di risoluzione al Consiglio di Sicurezza dell’ONU per formalizzare il dispiegamento della forza, che includerebbe una consistente componente turca.
L’opposizione israeliana: “Mai soldati di Erdogan sul confine”
Israele respinge fermamente questa iniziativa per due motivi:
- La volontà egiziana di far approvare la risoluzione ONU senza coordinamento con Tel Aviv
- La partecipazione della Turchia, considerata da Israele un Paese ostile.
Funzionari israeliani citati dal quotidiano dichiarano: “Sebbene la Turchia possa aver svolto un ruolo nel fare pressione su Hamas affinché accettasse il piano Trump, non permetteremo ai soldati di Erdogan di mettere piede sul nostro confine, né tantomeno di assumersi la responsabilità della sicurezza nella Striscia”.
Secondo Israele, la presenza turca è inaccettabile poiché Ankara ospita la leadership e le istituzioni finanziarie di Hamas ed è ideologicamente legata alla Fratellanza Musulmana.
Tensioni anche tra alleati arabi
La proposta egiziana rischia di creare fratture tra i Paesi arabi coinvolti nel processo di ricostruzione di Gaza.
Fonti diplomatiche hanno rivelato che Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita, due attori centrali previsti nella ricostruzione e nel sostegno finanziario, stanno valutando di ridurre o sospendere completamente la loro partecipazione.
Dietro questa minaccia c’è la crescente influenza del Qatar nella scena politica di Gaza e l’assenza – per ora – di un piano credibile per il disarmo di Hamas.
Una fonte saudita ha dichiarato a Israel Hayom: “Non parteciperemo in alcun modo – finanziariamente, militarmente o politicamente – a meno che il piano Trump non venga attuato così com’è stato presentato, il che significa che Hamas verrà rimosso dal potere e disarmato. Questo non perché Israele lo richieda, ma perché la presenza di Hamas significa che tutti i miliardi andranno sprecati e tutti gli edifici saranno demoliti nella prossima guerra”.
Il nodo dei tempi: disarmo prima o dopo?
La disputa tra Egitto e Israele non riguarda solo la composizione della forza multinazionale, ma anche la sequenza operativa.
- Posizione egiziana: istituire immediatamente una forza multinazionale di sicurezza, anche se composta inizialmente solo da truppe egiziane e da una parte di personale di sicurezza palestinese addestrato.
- Posizione israeliana: l’ingresso di forze straniere deve essere subordinato a un accordo chiaro sul disarmo di Hamas e sul trasferimento del potere.
Una fonte di sicurezza israeliana avverte: “Una volta che tali forze entreranno, la capacità delle IDF di impedire ad Hamas di pianificare attacchi terroristici sarà significativamente limitata”.
Washington cerca di mediare: incontri intensivi
Nel frattempo, alti funzionari statunitensi si trovano in Israele per tentare di accelerare i colloqui e contenere le tensioni.
La delegazione americana è guidata dal vicepresidente J. D. Vance, dall’inviato speciale per il Medio Oriente Steve Witkoff e dal consigliere Jared Kushner.
Il premier Benjamin Netanyahu e il ministro degli Affari Strategici Ron Dermer hanno incontrato Witkoff e Kushner, ricevendo un messaggio secondo cui l’incidente di Rafah, costato la vita a due soldati israeliani, non è stato coordinato da Hamas.
Gli Stati Uniti hanno apprezzato la scelta israeliana di non rispondere militarmente e di mantenere aperti i canali di aiuto umanitario, anche se il valico di Rafah rimane chiuso per il transito di persone.
Preparativi per la Fase II: governance e disarmo
Il cuore della Fase II del piano Trump riguarda la creazione di un nuovo organo di governo civile per Gaza, il disarmo di Hamas e il successivo ingresso della forza multinazionale.
Il Presidente Trump – secondo fonti americane – ha espresso scetticismo sulle promesse di Hamas, dichiarando: “Israele entrerebbe a Gaza in due minuti se glielo chiedessi. Stiamo dando ad Hamas più tempo. Se non si comportano in modo appropriato, saranno distrutti”.
Sul fronte operativo, il comandante del Comando Centrale USA, Ammiraglio Bradley Cooper, è atteso in Israele per definire i dettagli del coordinamento militare.
Una forza americana di circa 200 soldati è già dispiegata in Israele con compiti di monitoraggio del cessate il fuoco.
Il vice presidente Vance incontrerà Netanyahu per coordinare l’attuazione della fase successiva del piano Trump, discutere con i mediatori arabi ed europei e valutare l’estensione degli Accordi di Abramo.
La proposta egiziana di creare una forza multinazionale a Gaza ha aperto un fronte diplomatico complesso che intreccia rivalità regionali, diffidenze storiche e obiettivi strategici divergenti.
- Israele respinge con fermezza la presenza turca.
- Arabia Saudita ed Emirati minacciano di ritirarsi.
- Gli Stati Uniti tentano di mediare e accelerare la transizione.
Tutto ruota attorno a una questione centrale: chi controllerà la sicurezza di Gaza dopo Hamas e quali Paesi avranno voce in capitolo nella fase postbellica.
*Presidente della associazioneItalo-Egiziana Eridanus e vice presidente del Centro Studi UCOI-UCOIM.
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