Di Fabrizio Scarinci
NUOVA DELHI. Nelle scorse settimane, più o meno in concomitanza con la partecipazione del Premier indiano Nerendra Modi e di una rappresentanza delle Forze Armate di Nuova Delhi alle celebrazioni parigine per la presa della Bastiglia, l’Indian Navy ha annunciato la propria intenzione di dotarsi di tre nuovi sottomarini diesel-elettrici d’attacco classe “Kalvari” e di 26 caccia multiruolo di quarta generazione Dassault Rafale.
Per quanto riguarda, in particolare, le unità subacquee, si tratta di battelli appartenenti ad una variante da esportazione della classe “Scorpène” prodotta congiuntamente dalla francese Naval Group e dalla locale Mazagon Dock Shipbuilders Limited di cui la Marina Militare indiana possiede già cinque esemplari (più uno prossimo all’entrata in servizio).
Caratterizzati da un dislocamento di oltre 1.600 tonnellate, da un’autonomia di oltre 12.000 km in superficie e di circa mille in immersione, da un design a bassa osservabilità e, molto presto, anche da sistemi di propulsione “AIP” realizzati localmente, tali sottomarini hanno la loro principale ragion d’essere nella conduzione di operazioni anti-nave, anti-som, di sorveglianza e di “mine warfare”.
Tra i vari sistemi d’arma e di combattimento che sarebbero in grado di utilizzare figurerebbero i siluri di fabbricazione tedesca di tipo “SUT”, i missili antinave francesi di tipo SM. 39 “Exocet”, mine navali di forma e dimensioni compatibili con i loro tubi lanciasiluri da 533 mm, gli avanzati sistemi di contromisure anti-siluro di tipo C303/S e, secondo alcune fonti, anche la variante A3SM del missile aria-aria e superficie-aria MICA prodotto da MBDA France.
All’eventuale arrivo dei nuovi battelli dovrebbe, inoltre, accompagnarsi anche una fornitura di missili da crociera MdCN per la conduzione di attacchi contro obiettivi terrestri collocati in profondità nel territorio nemico, di cui, al momento, le prime sei unità risulterebbero sprovviste.
Per quanto riguarda, invece, i Rafale, si tratterebbe di 22 monoposto della variante M (come quelli presenti sulla portaerei francese Charles de Gaulle) e di quattro biposto da conversione operativa della non imbarcabile variante B (ricordiamo a tal proposito come del Rafale navalizzato non esistano versioni utilizzabili nei ruoli d’addestramento).
Chiamati ad incrementare le capacità di combattimento aeronavali dell’Indian Navy (attualmente incentrate su 45 MiG-29 K/KUB), i velivoli della variante M dovrebbero essere schierati a bordo della “nuova” portaerei “Vikrant”; un’unità di tipo STOBAR (non proprio il massimo, dunque, dal punto di vista della configurazione) da cui dovranno, per forza di cose, operare servendosi dello Ski Jump.
Francia e India: un rapporto che cresce
In generale, i propositi indiani riguardo all’acquisto dei mezzi appena menzionati costituiscono, insieme alla presenza nell’Indian Air Force di una cinquantina di Mirage 2000 recentemente modernizzati con il supporto di Dassault e di 36 Rafale della variante EH/DH, un’ulteriore dimostrazione di come, in questa fase, sia Parigi che Nuova Delhi stiano intensamente lavorando al fine di rafforzare il proprio storico rapporto di cooperazione tecnico-militare.
Un rapporto, ovviamente, non sempre idilliaco (basti pensare, tanto per fare un esempio, a tutto il materiale militare che i francesi hanno venduto al Pakistan nel corso di questi ultimi decenni), ma che ora entrambe sembrerebbero intenzionate a valorizzare in virtù della straordinaria convergenza tra le proprie rispettive strategie.
Con riferimento all’attuale contesto internazionale, infatti, se la Francia ambisce alla leadership di un’Europa strategicamente più autonoma dagli USA e ad ampliare (anche attraverso tali forme di cooperazione) il proprio margine di “manovra” nella cruciale regione Indopacifica, l’India sembrerebbe intenzionata a contenere il suo sempre più forte vicino cinese evitando, al contempo, di diventare anch’essa un semplice junior partner della superpotenza a stelle e strisce.
Nuova Delhi e suoi storici fornitori di armamenti in funzione anti-cinese
Com’è noto, malgrado la comune appartenenza al gruppo dei “BRICs” e alla “Shanghai Cooperation Organization”, Nuova Delhi e Pechino si configurano come due avversari sin dagli anni della Guerra fredda; ricordiamo tutti, a tal proposito, la breve guerra sino-indiana del 1962, gli scontri di Natu-La e Cho-La del 1967 e le diverse schermaglie di confine a cui si è avuto modo di assistere in tempi più recenti.
Nelle fasi inziali del confronto bipolare, al fine di acquisire gli armamenti necessari a bilanciare il superiore potenziale bellico del proprio vicino cinese, Nuova Delhi avrebbe scelto di rivolgersi tanto agli occidentali, che consideravano Pechino alla stregua di un vero e proprio nemico, quanto ai sovietici, per i quali la Repubblica Popolare (troppo grande per essere trattata da semplice satellite) rappresentava un partner infido e potenzialmente pericoloso per la stessa tenuta della loro sfera d’influenza.
Perfettamente in linea con la volontà del Paese di non allinearsi ai rigidi sistemi di alleanza di quel periodo, nonché con la sua necessità di evitare dipendenze esclusive in materia di approvvigionamento di materiale bellico, questa “pratica” non si sarebbe interrotta neppure in seguito al riavvicinamento sino-statunitense dei primi anni 70; anche se, ovviamente, da quel momento in avanti a fare la parte del leone in fatto di forniture militari sarebbero stati soprattutto i sovietici.
Lo strettissimo rapporto di cooperazione sviluppatosi in quel frangente tra Mosca e Nuova Delhi, che avrebbe garantito a quest’ultima non solo la possibilità di acquistare ingenti quantitativi di aerei, elicotteri, carri armati e unità navali, ma anche di migliorare le proprie capacità realizzative attraverso la produzione su licenza di numerose tipologie di sistemi e piattaforme, sarebbe, poi, sopravvissuto anche al crollo dell’Unione Sovietica, arrivando, di fatto, fino ai giorni nostri.
Nel frattempo, il continente asiatico avrebbe sperimentato una formidabile stagione di crescita economica, che, se da un lato, avrebbe permesso a Pechino di ottenere risorse tecnico-industriali tali da immaginare l’egemonizzazione dell’Indopacifico e la messa in discussione del primato strategico statunitense a livello mondiale, dall’altro, sembrerebbe anche aver dato a Nuova Delhi (cresciuta molto meno a causa dei suoi numerosi problemi interni ma comunque sviluppatasi in modo significativo) qualche strumento in più al fine di contrastare tali progetti.
Nondimeno, al fine di far compiere alla propria base industriale il definitivo “salto di qualità”, gli indiani sembrerebbero ancora aver bisogno di numerose ed affidabili partnership internazionali.
Del resto, è proprio per tale ragione che, pur essendosi gradualmente riavvicinati al sistema di alleanze a guida statunitense, essi avrebbero entusiasticamente continuato a coltivare la “special relationship” di cui sopra con la declinante (e finanziariamente sempre più bisognosa) potenza russa che, almeno fino a qualche tempo fa, malgrado la sua incapacità di costruire un solido rapporto di cooperazione con l’Occidente e la sua scelta di co-fondare la Shanghai Cooperation Organization, appariva comunque abbastanza cauta anche nel relazionarsi con il suo sempre più ingombrante vicino cinese.
Un vicino che, tra le altre cose (vale certamente la pena di ricordarlo), sembrerebbe non vedere di buon occhio neppure la sovranità di Mosca sulla Siberia.
Tanto per avere un’idea di quanto i rapporti tra Mosca e Pechino potessero, talvolta, essere perfino più competitivi di quanto non fossero cooperativi, può essere sufficiente ricordare quanto lo stesso ingresso dell’India nella SCO (avvenuto nel 2017) sia stato voluto dai russi proprio al fine di bilanciare il crescente potere ricoperto al suo interno da parte dei cinesi, che, dal canto loro avrebbero, invece, imposto l’ingresso del Pakistan.
In ogni caso, però, il quadro appena descritto sarebbe progressivamente mutato con l’aggravarsi della crisi ucraina e, soprattutto nel corso dell’ultimo anno e mezzo, dopo aver perso ogni possibile “scommessa” riguardo alla capacità dell’Alleanza Atlantica di reagire al suo attacco su vasta scala nei confronti di Kiev, Mosca avrebbe finito per avvicinarsi alla Repubblica Popolare come mai prima d’ora.
Il riavvicinamento tra Mosca e Pechino e l’importanza del rapporto con Parigi
Sebbene sia apparsa agli occhi di molti come un’ennesima “spericolatezza” tattica posta in essere soprattutto al fine di ottenere un atteggiamento più conciliante da parte di Washington, la mossa del Cremlino di riavvicinarsi alla Cina avrebbe avuto, in ogni caso, l’effetto di rendere molto più realistica che in passato l’ipotesi di un solido blocco politico eurasiatico guidato da Pechino; un qualcosa di cui ben difficilmente Nuova Delhi potrebbe rallegrarsi.
Se a questo si aggiungono, poi, le non proprio eccellenti prestazioni dei mezzi militari russi in Ucraina, si può facilmente comprendere come, pur non desiderando una rottura definitiva con Mosca, i vertici politici e militari indiani si stiano progressivamente convincendo a spingere per accelerare il lento (e, finora, a dire il vero, anche piuttosto tortuoso) processo di riavvicinamento all’Occidente intrapreso dal Paese subito dopo la fine del confronto bipolare (ricordiamo, a tal proposito, il già menzionato partenariato strategico stabilito con Parigi nel 1998 e i numerosi accordi di cooperazione in materia di Difesa e Intelligence siglati a partire dai primi anni 2000 con gli USA e i loro maggiori partner asiatici).
Naturalmente, qualora tale eventualità si realizzasse, portando gli indiani a rafforzare ancor di più la propria cooperazione con il sistema di alleanze volto a contenere le aspirazioni cinesi nell’Indopacifico, alla lunga il loro principale partner di riferimento non potrà che essere Washington.
Nondimeno, soprattutto in campo tecnico-industriale, la loro volontà di diversificare i propri fornitori e di massimizzare i vantaggi per le proprie imprese potrebbe certamente far sì che essi continuino a privilegiare partnership di tipo più “paritario” con attori maggiormente disponibili a condividere le proprie tecnologie più avanzate, come, per l’appunto, la Francia e, per certi versi, anche il Giappone, gigante industriale tornato da poco ad esportare mezzi militari e chiaramente candidato a ricoprire il ruolo di principale bastione anti-cinese nello scacchiere del Pacifico.
In tal senso, il fatto che i Rafale M siano stati scelti dopo una gara aperta anche all’F/A-18 E/F “Super Hornet” di Boeing costituisce senz’altro un valido esempio di quale potrebbe essere, anche (e soprattutto) nel prossimo futuro, il modus operandi del governo indiano in materia di procurement.
Un modus operandi potenzialmente in grado di generare delle ghiotte opportunità che Parigi proverà certamente a non lasciarsi sfuggire.
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