Di Giuseppe Gagliano*
La sospensione da parte del Regno Unito della condivisione di informazioni di intelligence con gli Stati Uniti sulle imbarcazioni sospette nei Caraibi non è un semplice incidente diplomatico. È un segnale politico pesante, che tocca il cuore della cooperazione tra due Paesi che, per decenni, hanno fatto dell’intelligence condivisa la base del proprio rapporto strategico. Londra teme di diventare complice di operazioni letali condotte dall’amministrazione statunitense contro presunti trafficanti e ritiene che quei metodi violino apertamente il diritto internazionale. È una rottura silenziosa, ma dalle implicazioni enormi.
Dalla polizia internazionale alla guerra contro “nemici armati”
Fino a poche settimane fa la lotta al narcotraffico nei Caraibi funzionava come un’operazione di polizia marittima: individuazione delle imbarcazioni, interdizione, arresto degli equipaggi e processi davanti a tribunali civili. Era una prassi consolidata, sostenuta sia da Londra sia da Ottawa, Bogotá e vari Paesi della regione. Ma gli Stati Uniti hanno deciso di cambiare registro: alcune barche sospette sono state distrutte con attacchi letali che hanno provocato settantasei morti. Washington sostiene che i trafficanti rappresentano una minaccia armata e possono essere considerati combattenti nemici. È un salto concettuale: dal crimine al conflitto armato, dal tribunale alla forza militare.

La linea rossa del diritto internazionale
Il Regno Unito, facendo eco alle parole dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, considera queste operazioni come esecuzioni extragiudiziali. Non si tratta solo di una disputa terminologica: se un Paese qualifica un’operazione come guerra, ma gli altri la considerano polizia marittima, tutto il quadro giuridico cambia. Londra, che controlla territori nell’area e dispone di una rete di sorveglianza essenziale, teme che la propria intelligence venga usata per selezionare bersagli da eliminare. E se quel rischio esiste, la sospensione diventa obbligatoria, non solo consigliabile.
Le tensioni dentro l’apparato statunitense
Il cambio di dottrina non ha convinto neppure tutti gli apparati americani. L’ammiraglio Alvin Holsey, comandante del Comando Sud, ha espresso forti obiezioni durante un incontro con il Segretario alla Difesa. Avrebbe persino offerto le dimissioni, segno della frattura interna che questa decisione sta provocando. Anche avvocati militari ed esperti di diritto dei conflitti armati avrebbero manifestato dubbi sulla solidità giuridica delle operazioni, una presa di posizione rara per strutture solitamente allineate al potere esecutivo.
Gli alleati si sfilano: il Canada e la Colombia
Londra non è rimasta sola. Il Canada, partner storico dell’Operazione Caraibi, ha dichiarato che non intende permettere che la propria intelligence venga utilizzata per attacchi letali. Bogotá ha fatto un passo ancora più netto: Gustavo Petro ha ordinato lo stop alla condivisione delle informazioni fino alla fine delle operazioni letali, affermando che la lotta alla droga deve essere subordinata al rispetto dei diritti umani delle popolazioni locali. È la prima volta che tre Paesi così vicini a Washington — per geografia, storia e cooperazione — contestano apertamente la strategia americana nel mare che circonda l’America Centrale.
Una frattura che potrebbe allargarsi
Sul piano geopolitico, la vicenda rivela un cambiamento più profondo. La guerra alla droga, per decenni usata da Washington per esercitare un potere capillare nelle Americhe, si sta trasformando in un terreno di scontro tra legalità internazionale e approccio militare unilaterale. Gli Stati Uniti possono sostenere che la minaccia dei cartelli sia paragonabile a un conflitto armato, ma se gli alleati rifiutano questa narrativa, il fondamento della coalizione transatlantica nella regione si indebolisce. Il vero pericolo è che la cooperazione si frammenti proprio mentre cresce il peso di attori extra-regionali, dalla Cina alla Russia, pronti a inserirsi nei vuoti lasciati dall’Occidente.

Un precedente che pesa sull’Alleanza Atlantica
La sospensione britannica non riguarda solo i Caraibi: riguarda il rapporto tra alleati di lungo corso, il limite della solidarietà nella lotta al narcotraffico e il confine tra sicurezza e legalità. Se Londra stabilisce che esiste un punto oltre il quale non è disposta ad andare, quel limite diventa un precedente per altri partner della NATO. E quando anche all’interno degli Stati Uniti si levano dubbi e dimissioni, significa che il terreno sotto i piedi dell’alleanza occidentale non è così stabile come appare.
Conclusione: la crepa nel legame più stabile dell’Occidente
Regno Unito e Stati Uniti hanno attraversato guerre, crisi e cambi di leadership restando sempre allineati su intelligence e sicurezza. La decisione di Londra, invece, mostra che anche quel pilastro può incrinarsi se la strategia americana oltrepassa ciò che gli alleati ritengono accettabile. È un segnale che la “special relationship” entra in una fase nuova: meno automatica, più condizionata dalla legalità internazionale e dal peso politico delle opinioni pubbliche. In un mondo dove la cooperazione si misura sui dettagli più sensibili, anche un flusso di informazioni può diventare il punto in cui un’alleanza si mette in discussione.
*Presidente Centro studi strategici (Cestudec)
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