Di Giuseppe Gagliano*
PARIGI, Nel cuore di Parigi, l’Ambasciata algerina, con il suo elegante palazzo al numero 50 di Rue de Lisbonne, è diventata il simbolo di una crisi diplomatica che sembra non trovare pace.

È il 18 marzo scorso, e mentre il mondo guarda altrove, tra Algeri e Parigi si consuma l’ennesimo atto di una Guerra Fredda che mescola orgoglio nazionale, memorie coloniali e calcoli geopolitici.
L’ultimo capitolo vede la Francia ordinare l’espulsione di quattro funzionari algerini sprovvisti di visto, una rappresaglia diretta all’annuncio di Algeri di cacciare altri 15 funzionari francesi, tra cui due presunti agenti dell’intelligence con passaporti diplomatici falsi.
Ma questa non è solo una disputa burocratica: è il riflesso di un rapporto tormentato, dove ogni mossa è un messaggio, ogni espulsione un colpo sferrato in un duello che nessuno sembra voler vincere davvero.
La scintilla più recente risale al 11 maggio scorso, quando l’Algeria ha convocato il chargé d’affaires francese ad Algeri per notificare l’espulsione di 15 funzionari, accusati di aver violato le procedure diplomatiche. Secondo l’agenzia di stampa algerina APS, alcuni di questi, entrati con passaporti di servizio, avrebbero successivamente ottenuto passaporti diplomatici per eludere i controlli, una mossa definita “irregolare” e contraria alla Convenzione di Vienna.
Tra loro, due agenti della DGSI, il Servizio di intelligence interno francese, sarebbero stati smascherati mentre cercavano di sostituire i 12 diplomatici espulsi ad aprile. La risposta di Parigi non si è fatta attendere: il ministro degli Esteri Jean-Noël Barrot ha definito le accuse “ingiustificate” e ha annunciato l’espulsione di algerini con passaporti diplomatici ma senza visti, una misura che, secondo Le Figaro del 17 maggio, segna un’escalation senza precedenti.

Questa spirale di rappresaglie non è nata dal nulla.
Le tensioni tra Francia e Algeria, ex potenza coloniale e Nazione indipendente dopo una guerra sanguinosa (1954-1962), sono un groviglio di ferite storiche e interessi divergenti.
Tutto è iniziato a intensificarsi nell’aprile scorso, quando la Francia ha arrestato un funzionario consolare algerino nell’ambito di un’indagine sul rapimento di Amir Boukhors, un influencer critico del regime di Algeri.
L’Algeria ha risposto espellendo 12 diplomatici francesi, dichiarandoli persona non grata e accusando Parigi di voler “umiliare” la Nazione.
La Francia ha replicato con l’espulsione di 12 funzionari algerini e il richiamo del suo Ambasciatore, Stéphane Romatet, un gesto raro dall’indipendenza algerina.
Ma il cuore del conflitto va oltre il caso Boukhors.
Due questioni geopolitiche alimentano il fuoco.
La prima è il Sahara Occidentale: nel 2024, la decisione di Emmanuel Macron di riconoscere la sovranità marocchina su questo territorio conteso ha infuriato Algeri, che sostiene il Fronte Polisario e il diritto all’autodeterminazione dei saharawi.

Per l’Algeria, questa mossa è stata un tradimento, un segno che Parigi privilegia Rabat a scapito di un partner storico.
La seconda è la memoria coloniale: le parole di Macron del 2021, che accusavano l’Algeria di “strumentalizzare la storia”, hanno lasciato cicatrici profonde.
Recentemente, il Presidente dell’Assemblea Nazionale algerina ha annunciato una legge per criminalizzare il colonialismo francese, una risposta simbolica ma potente a quello che Algeri percepisce come un rifiuto di Parigi di fare i conti con il passato.
In questo contesto, la caccia ai passaporti diplomatici è più di una disputa amministrativa.
L’Algeria accusa la Francia di usare i passaporti diplomatici per infiltrare spie, mentre Parigi ribatte che Algeri viola accordi bilaterali, come quello del 2013 che regola l’accesso dei funzionari.
La decisione francese di richiedere visti ai titolari di passaporti diplomatici algerini, annunciata a gennaio scorso dal ministro dell’Interno Bruno Retailleau, è un colpo diretto: non solo complica la mobilità dei funzionari algerini, ma segnala la fine di una prassi che, per decenni, aveva facilitato i rapporti.

Algeri, in risposta, ha denunciato ritardi nella nomina di consoli a Parigi e Marsiglia, vedendo in queste mosse un tentativo di soffocare la sua presenza diplomatica.
C’è poi un aspetto meno visibile, ma cruciale: l’intelligence.
Entrambe le Nazioni si accusano di spionaggio.
L’Algeria sostiene che la Francia usi i suoi diplomatici per attività di intelligence, mentre Parigi ha intensificato la sorveglianza sugli agenti algerini della DGDSE, il servizio di intelligence estero.
Un caso emblematico è quello di un funzionario del Ministero delle Finanze francese, accusato di spiare per l’Algeria, e dell’arresto di un manager di Amarante International, una società di sicurezza algerina, detenuto da oltre un anno con l’accusa di spionaggio.
Questi episodi, uniti all’espulsione di presunti agenti sotto copertura, mostrano che la crisi non è solo diplomatica, ma una guerra ombra tra Servizi segreti.
Eppure, in questo scambio di colpi, nessuno sembra vincere.
La Francia, che dipende dall’Algeria per il gas (il 10% delle sue importazioni) e per la cooperazione contro il terrorismo nel Sahel, rischia di alienare un partner strategico.
L’Algeria, alle prese con una crisi economica e la necessità di diversificare la sua economia, non può permettersi un isolamento diplomatico.
Entrambi i Paesi, come dimostrato dalla telefonata tra Emmanuel Macron e il Presidente algerino Abdelmadjid Tebboune il 31 marzo scorso, sembrano voler mantenere un canale aperto, ma ogni gesto di distensione è seguito da una nuova provocazione.

La Corsica, curiosamente, potrebbe giocare un ruolo indiretto in questa vicenda. Sebbene non direttamente menzionata nel contesto delle espulsioni, l’isola è un punto sensibile per la Francia, con la sua storia di tensioni autonomiste e la recente presenza dei Night Wolves, il club motociclistico filorusso.
Qualsiasi espansione dell’influenza algerina in Europa, anche solo simbolica, potrebbe allarmare Parigi, che vede nel Mediterraneo un’arena di competizione non solo con l’Algeria, ma anche con potenze come la Russia. È un’ipotesi, ma in un gioco di specchi come questo, ogni dettaglio conta.
In definitiva, questa crisi è un riflesso di un passato che non passa.
La Francia, incapace di liberarsi dal peso del suo ruolo coloniale, e l’Algeria, aggrappata al suo orgoglio di nazione liberata, sono prigioniere di una danza che alterna dialogo e scontro.
Le espulsioni, i passaporti, le accuse di spionaggio non sono che i sintomi di una ferita più profonda, che né Parigi né Algeri sembrano pronte a curare.
E mentre i funzionari lasciano le ambasciate e i chargé d’affaires si scambiano note di protesta, il Mediterraneo, testimone silenzioso di questa storia, continua a separare e unire due nazioni che non riescono a lasciarsi andare.
*Presidente del Cestudec (Centro Studi Strategici)
©RIPRODUZIONE RISERVATA

