Di Giuseppe Gagliano*
MOSCA. La nuova edizione delle manovre navali congiunte tra Cina e Russia, battezzata “Joint Sea-2025”, non è solo un’esercitazione tecnica.

È la fotografia di un mondo che si sta spostando verso equilibri multipolari, dove il blocco occidentale, guidato dagli Stati Uniti, vede erodere la propria capacità di controllo.
Per tre giorni, al largo di Vladivostok, quattro navi da guerra cinesi – tra cui i potenti cacciatorpediniere Shaoxing e Urumqi – affiancheranno la flotta russa in operazioni che spaziano dalla difesa antimissile alla lotta anti-sommergibile. Nulla di nuovo, si potrebbe dire: dal 2012 queste esercitazioni sono una costante.
Eppure, il contesto geopolitico rende questo evento molto più di un semplice addestramento.
Un messaggio chiaro a Washington
Le manovre avvengono in un momento di frizioni globali crescenti: la guerra in Ucraina non si sblocca, le tensioni nello Stretto di Taiwan sono al massimo storico, e la presenza navale americana nell’Indo-Pacifico continua a intensificarsi. Mosca e Pechino, con “Joint Sea-2025”, vogliono mostrare che esiste un fronte compatto, capace di bilanciare la potenza navale statunitense.

Non è un caso che la data coincida con la vigilia del prossimo vertice dell’Organizzazione di Cooperazione di Shanghai e con la visita ufficiale di Vladimir Putin in Cina, prevista per fine agosto.
Le esercitazioni diventano così un preludio diplomatico, un avvertimento politico e un atto di sfida.
Un’alleanza basata su interessi concreti
Nonostante la differenza di interessi strategici, Cina e Russia hanno trovato una convergenza tattica: limitare il dominio americano.
Pechino non ha mai condannato l’invasione dell’Ucraina, e anzi ha rafforzato la propria cooperazione economica e militare con Mosca.
Le accuse di Volodymyr Zelensky sulla presunta fornitura indiretta di armamenti russi attraverso aziende cinesi non fanno che confermare la sensazione di un legame sempre più stretto.

Xi Jinping, dal canto suo, parla apertamente di “sostegno reciproco”, mentre gli apparati militari lavorano a scenari congiunti di deterrenza.

Il rischio di una nuova “guerra fredda marittima”
Queste esercitazioni in mare del Giappone hanno anche un valore simbolico, perché toccano un’area altamente strategica: i corridoi marittimi che collegano il Pacifico settentrionale al cuore dell’Asia orientale.
Washington e Tokyo vedono la mossa come una minaccia diretta agli equilibri regionali.
Il rischio è che la cooperazione sino-russa trasformi queste acque in un nuovo scenario di competizione permanente, una sorta di “guerra fredda navale” che ricorda la logica dei blocchi del secolo scorso.
Le fragilità dell’Occidente
Gli Stati Uniti, pur conservando la superiorità navale, devono fronteggiare un avversario che non combatte da solo.
Il rafforzamento dell’asse Mosca-Pechino complica la strategia di contenimento americana, basata su alleanze come il Quad (Stati Uniti, Giappone, Australia e India) e su nuove iniziative come AUKUS.
Tuttavia, questo approccio rischia di essere insufficiente se il fronte avversario si dimostra più coeso sul piano operativo e meno vincolato a logiche di mediazione politica.
Per l’Europa, già divisa e affaticata dal conflitto ucraino, la situazione si traduce in una crescente marginalità, relegandola a spettatrice di un confronto tra superpotenze.
Una partita che va oltre l’Ucraina
Il messaggio che emerge dalle manovre “Joint Sea-2025” è chiaro: Cina e Russia intendono affermarsi come polo alternativo al blocco occidentale, non solo in Eurasia, ma anche negli oceani.
La guerra in Ucraina, in questo senso, non è che un tassello di una competizione ben più ampia.
Washington teme che questa sinergia navale preluda a un coordinamento strategico su larga scala, che vada a colpire i punti deboli della catena di alleanze americana nel Pacifico.
Conclusione: il mare come nuovo campo di battaglia geopolitico
L’asse Mosca-Pechino, con le sue esercitazioni navali, non mira solo a impressionare l’Occidente.
Vuole dimostrare che l’era della supremazia marittima americana sta incontrando un serio contrappeso.
Nel mare del Giappone si combatte una partita che riguarda i futuri equilibri globali: rotte commerciali, approvvigionamenti energetici, sicurezza strategica.
Un gioco che, come spesso accade nella storia, si decide lontano dai riflettori, ma che finisce per ridefinire i rapporti di forza mondiali.
*Presidente Centro Studi Cestudec
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