Di Giuseppe Gagliano*
MOSCA. Le cifre sulle forniture di petrolio russo alla Corea del Nord non lasciano spazio a interpretazioni.
Per quest’anno, Pyongyang ha già importato oltre un milione e trecentomila barili nei primi dieci mesi dell’anno, più del totale dell’intero 2024.

Non si tratta di scambi episodici, ma di un flusso costante e crescente che viola apertamente il limite fissato dalle Nazioni Unite, pari a mezzo milione di barili l’anno.
La soglia è stata infranta due, tre volte nel 2024 e ora viene superata con una disinvoltura che mostra quanto il sistema delle sanzioni internazionali sia ormai svuotato.
Lo scenario è cambiato nel marzo 2024, quando la Russia ha posto il veto al rinnovo del gruppo di esperti incaricato dalle Nazioni Unite di monitorare le violazioni. Da quel momento non esiste più un meccanismo ufficiale di controllo.
È un vuoto istituzionale che ha permesso a Mosca di rifornire Pyongyang alla luce del sole, lasciando che petroliere nordcoreane sanzionate attracchino nei porti dell’Estremo Oriente russo o che i convogli ferroviari attraversino la linea che collega il territorio russo al Porto di Rajin.
Tutto documentato da immagini satellitari, analisi indipendenti e fonti governative occidentali.
Il baratto del nuovo asse
Il cuore della questione non è solo economico. Siamo davanti a un baratto strategico che ha assunto dimensioni tali da ridisegnare gli equilibri della guerra in Ucraina e della sicurezza in Asia. Mosca fornisce carburante, alimenti e con ogni probabilità tecnologie sensibili.
Pyongyang restituisce in cambio ciò che alla Russia serve con urgenza: proiettili di artiglieria, missili balistici e contingenti di manodopera militare che, secondo varie fonti, sarebbero già impiegati sul fronte ucraino.
È una relazione che nasce da due debolezze complementari.

La Russia ha bisogno di munizioni a basso costo per sostenere una guerra lunga che consuma materiale bellico a ritmi senza precedenti.
La Corea del Nord, soffocata dalle sanzioni e da una economia bloccata, ha bisogno di carburante, cibo, valuta e appoggio politico.
I due regimi hanno trovato un equilibrio che permette loro di aggirare le restrizioni internazionali con facilità crescente.
La guerra lunga e il riarmo senza limiti
Il vero nodo è il significato strategico di questi scambi. Mosca sta costruendo, pezzo dopo pezzo, una rete di forniture alternative ai circuiti occidentali. La mancanza di controlli internazionali e lo smantellamento del sistema di monitoraggio delle sanzioni offrono alla Russia una libertà mai vista dall’inizio del conflitto.
Le armi nordcoreane, pur non essendo tecnologicamente avanzate, garantiscono volume, continuità e un’autonomia produttiva che l’industria russa oggi non può assicurare da sola.
Dal canto suo, Pyongyang ottiene la possibilità di rafforzare il proprio apparato militare proprio mentre la Peninsola vive un clima di tensione crescente.

Il flusso di petrolio consente a Kim Jong-un di mantenere attiva la sua macchina militare, testare nuovi missili e preservare un ruolo politico regionale.
E al tempo stesso gli consente di presentarsi come partner indispensabile di una potenza nucleare.
Il fallimento delle sanzioni e l’impasse dell’ONU
La dissoluzione del sistema di controllo delle sanzioni segna un punto di non ritorno.
Le Nazioni Unite si trovano ora nell’impossibilità di verificare ciò che accade.
Non esistono più report indipendenti, non esiste un quadro condiviso di dati, non esistono responsabilità tracciabili.
Le stime provenienti da governi occidentali e istituti di ricerca sono attendibili, ma non hanno il peso legale né l’efficacia diplomatica dei rapporti ufficiali. Questo fa sì che ogni violazione diventi di fatto irrilevante sul piano politico.
Siamo davanti a un precedente grave.
Se un Paese membro del Consiglio di Sicurezza può eliminare l’organo che monitora le sue stesse violazioni e poi procedere indisturbato, il sistema delle sanzioni perde la sua funzione di deterrenza. È un indebolimento che non riguarda solo la Corea del Nord, ma l’intero assetto internazionale.
La cooperazione militare come leva geopolitica
Il nuovo asse tra Mosca e Pyongyang ha implicazioni che vanno ben oltre il caso dei barili.
Negli ultimi mesi la cooperazione si è ampliata a settori sensibili, dalla formazione militare allo scambio di tecnologie.
Per la Russia significa aprire un canale di approvvigionamento alternativo alle difficoltà interne.
Per la Corea del Nord significa legittimarsi come attore rilevante in una guerra continentale, un ruolo che le consente di presentarsi come indispensabile anche di fronte a Pechino, con cui spesso esistono tensioni latenti.
In questo scenario, la Corea del Sud si trova esposta a un rischio crescente: un vicino che riceve carburante e mezzi sufficienti a sostenere una produzione militare continua e imprevedibile.
E l’Asia orientale vede rafforzarsi un asse autoritario che destabilizza il quadro regionale.
L’orizzonte del 2025 e ciò che viene dopo
Le stime indicano che entro la fine del 2025 la Corea del Nord avrà ricevuto quantità di petrolio tre o quattro volte superiori al limite imposto dall’ONU. Ma il dato quantitativo è solo una parte della storia. La vera novità è la trasformazione qualitativa del rapporto: siamo passati da una cooperazione clandestina a un partenariato strutturato, che risponde a una logica di lungo periodo.
È la normalizzazione di una relazione fondata su scambi militari e violazioni sistematiche del diritto internazionale.
Se questo asse continuerà a consolidarsi, avremo una guerra in Europa sostenuta da una dittatura asiatica e una potenza nucleare sempre più dipendente da forniture che arrivano da uno dei Paesi più isolati del pianeta.
È un segnale di quanto sia cambiato l’equilibrio globale.
*Presidente Centro studi strategici (Cestudec)
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