Di Vincenzo Santo*
Mosca. Sempre con la crisi ucraina nei “nostri pensieri”, Mosca attende una risposta formale da Washington in merito alla richiesta russa di avere garanzie riguardanti la sicurezza in Europa.
Una nuova Yalta, qualcuno lamenta. È vero, ma non credo che ci siano altre strade.
Lo ripeto, l’ho scritto più volte in passato, i tempi sono cambiati e nel mondo di oggi, pur continuando a vedere una sola superpotenza globale, almeno per il momento, ci deve riconoscere una decisa distribuzione di potenza, capacità e determinazione, che fa la differenza a livello regionale.
Nello scacchiere europeo e nella contrapposizione con Mosca per le sue intenzioni rabbiose contro Kiev, e contro l’Occidente, come già accaduto in Georgia e per la Crimea, e questa in sistema con il Donbass, la nostra debolezza è evidente, in termini di capacità di risposta e di determinazione collettiva.
La debolezza, e forse lo disse Henry Kissinger, ma potrei sbagliarmi, “è provocante”, cioè incita all’azione aggressiva.
Per comprendere bene che cosa mai accadrà dovremo attendere la reazione “verbale” di Mosca.
Ma non illudiamoci che potranno esserci ulteriori colloqui. A meno che i russi non calchino ulteriormente la mano.
La visita del ministro degli Esteri tedesco, Annalena Baerbock, a Mosca, domani, la ritengo inutile.
Non è pane per i suoi denti. Nel frattempo, perché prevedere è potere, il Dipartimento di Stato americano avrebbe concordato con alcune Compagnie energetiche americane dei piani di emergenza per l’approvvigionamento di gas naturale per gli alleati europei, nel caso in cui la Russia dovesse cessare ogni fornitura.
È il GNL americano, che costa non poco, dato che deve essere liquefatto, trasportato via nave e rigassificato.
E, come noto, noi “abbondiamo” in rigassificatori. Ne abbiamo tre funzionanti, 2 di questi sono in mare aperto (Livorno e Rovigo) e uno è situato a terra nei pressi di Panigaglia (La Spezia).
Parliamoci chiaro, l’Europa dipende per circa un terzo del proprio fabbisogno dalle forniture russe che quindi rappresentano un’importante mezzo di pressione nelle mani del Cremlino.
Possiamo accusare e insultare Mosca fin quanto vogliamo, ma la domanda è: noi che cosa faremmo?
Invece di inveire e prendersela con il Presidente russo Vladimir Putin perché il costo del gas vola, anche con buona fortuna per Washington, sia chiaro, dovremmo urgentemente provvedere a riprendere le nostre trivellazioni e iniziare a pensare a una strategia energetica seria e pragmatica, riprendendo anche il discorso sul nucleare.
Cosa che, leggendo o rileggendo i quesiti del 1987 o pur accettando l’abrogazione dei comma 1 e 8 dell’articolo 5 del Decreto legge numero 34 del 31 marzo 2011, non implica che sia cosa “vietata” riprendere in Italia, con buona pace per la fitta schiera dei “signor-no-a-tutto”, l’utilizzo del nucleare.
Perfettamente banale che il direttore dell’Agenzia internazionale per l’Energia, Fatih Birol, abbia accusato il governo russo e Gazprom della crisi energetica in Europa.
È certo che Mosca sta giocando su questo piano e trattenendo almeno un terzo se non più della sua produzione.
Del resto, la Russia sa che, dall’altra parte del mondo, c’è chi del gas ha parimenti bisogno: Pechino.
Situazione ancora più critica in Europa per via della decisa ripresa economica, pur se immersi nella crisi della variante COVID denominata “Omicron”.
E Putin lo sa! In questo sta la differenza: loro hanno un Lavrov!
Quindi, da una dipendenza russa passeremo a una dipendenza americana, peraltro con gas di scisto, la cui estrazione poi tanto ecosostenibile non è.
C’è chi sostiene che nell’ultimo decennio le importazioni di gas europee si sono spostate per la maggior parte da contratti a medio e lungo termine a forniture contrattate di mese in mese, in regime concorrenziale, su quello che viene chiamato “spot market”.
Questo sistema ha permesso di sganciare via via il prezzo del gas naturale da quello del petrolio, facendolo fluttuare in base alle logiche della domanda e dell’offerta e mettendo in competizione tra di loro i vari fornitori, riducendo l’influenza dei grandi produttori, inserendone di altri nel mercato, quindi diversificandone l’offerta con grande vantaggio per i consumatori stessi.
L’Agenzia Internazionale dell’Energia, infatti, ha calcolato che tra il 2010 ed il 2020 i consumatori europei abbiano risparmiato circa 70 miliardi di dollari grazie allo spot market.
Un “beneficio” che oggi stiamo pagando per l’insipienza e l’inettitudine di chi mandiamo a legiferare e governare.
Tutto è ormai inevitabilmente connesso in questo mondo. Come disse Edward Lorenz, il pioniere della teoria del caos, è il famoso battito d’ali di una farfalla che può provocare un uragano dall’altra parte del mondo.
Nell’analisi geopolitica, che conduce alla formulazione delle strategie, non possono più esistere esperti settoriali, figuriamoci bibitari dell’ultima ora illuminati sulla via del click per l’Ucraina?
Chissà, vedremo. Magari Putin aspetta il 27 gennaio, una ricorrenza storica: la liberazione di Auschwitz.
*Generale di Corpo d’Armata Esercito (ris)
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