Russia: Breaking the Chain: Roma chiama l’Europa alla guerra contro la flotta ombra di Mosca

Di Cristina Di Silvio*

ROMA. Mercoledì prossimo Roma sarà l’epicentro di una battaglia strategica che l’Europa non può più rimandare.

Una battaglia che non si combatte con missili o truppe, ma con radar, droni, leggi, trattati e soprattutto volontà politica.

L’evento “Breaking the Chain: Countering Shadow Fleet Operations in Europe’s Strategic Waterways”, organizzato sotto la presidenza polacca del Consiglio dell’UE, radunerà una coalizione senza precedenti di Governi, organismi militari, autorità marittime e strutture d’intelligence per fronteggiare una minaccia tanto silenziosa quanto sistemica: la flotta ombra russa.

La locandina dell’evento

La posta in gioco è chiara. Centinaia di navi cisterna, molte delle quali vetuste, prive di assicurazioni regolari e registrate sotto bandiere di comodo, attraversano ogni giorno le arterie marittime dell’Europa – Øresund, la Manica, il Golfo di Finlandia – trasportando greggio russo in violazione del price cap del G7 e dei pacchetti sanzionatori UE (Regolamenti UE 833/2014 e successive modifiche, in particolare il Regolamento 2022/879 e il 2023/1214).

Navi che disattivano i transponder, falsificano i documenti di carico, aggirano i controlli con il supporto di una rete opaca di intermediari, broker assicurativi offshore e società di comodo. Il vertice del 9 luglio segna un punto di non ritorno: l’Europa sa, e ora deve agire.

La presenza annunciata di rappresentanti dei Governi, delle Forze navali NATO, della Joint Expeditionary Force (JEF), dell’EMSA, dell’IMO, della Commissione europea, degli Stati Uniti, del Regno Unito e dei Paesi del blocco NB8++ dimostra che si sta formando una coalizione tecnico-politica determinata a “rompere la catena” – quella delle complicità, del silenzio, dell’impunità sistemica.

I lavori si articoleranno in cinque direttrici operative.

La prima riguarda la sorveglianza avanzata, con l’integrazione tra tracciamento AIS, i satelliti Sentinel, droni marini e modelli predittivi basati sull’intelligenza artificiale, come il sistema britannico “Nordic Warden”, già in funzione nel Mare del Nord.

La seconda linea d’azione è quella sanzionatoria: oltre 340 navi sono già inserite nella blacklist UE, ma ora si punta ad aggredire l’intero ecosistema che alimenta la shadow fleet, colpendo armatori, broker finanziari e assicuratori nei paradisi legali internazionali. La terza direttrice è più concreta che mai: deterrenza e interdizione navale.

Sono in discussione regole d’ingaggio aggiornate, compatibili con la UNCLOS ma orientate a un’interpretazione attiva della sicurezza collettiva. Ispezioni congiunte, boarding, sequestri in acque grigie stanno già diventando pratica sperimentata, come dimostra il caso della MV Eagle S, intercettata nel Baltico con un carico sospetto.

Navi commerciali nel Mar Baltico

Il quarto ambito operativo riguarda la difesa delle infrastrutture sottomarine.

Dopo il sabotaggio del Nord Stream, cresce l’urgenza di proteggere cavi dati, oleodotti e dorsali energetiche. Droni autonomi e pattugliamenti specializzati sono al centro dei nuovi protocolli condivisi. Infine, il nodo normativo: diplomazia coercitiva. L’Unione Europea, con il supporto di Polonia e Paesi Baltici, punta a un accordo multilaterale vincolante con l’IMO per porre fine all’anonimato delle bandiere di comodo.

Si lavora all’estensione del principio di “due diligence marittima” (già abbozzato nella Strategia Marittima dell’UE 2023), affinché l’assenza di tracciabilità diventi automaticamente criterio di interdizione e sanzione. Roma, dunque, non si limita a ospitare: lancia una sfida. Perché oltre il dato tecnico, il dossier Shadow Fleet è una questione di credibilità geopolitica.

Le informazioni esistono. Le tecnologie sono operative. Ma ogni giorno che passa senza un’azione concreta è un giorno in cui il sistema delle sanzioni si svuota di significato, e in cui l’Europa – inconsapevolmente o no – alimenta economicamente la guerra che dichiara di voler fermare.

È questo il punto critico. Fermare una nave comporta rischi: giuridici, diplomatici, perfino militari.

Ma se il costo percepito dell’intervento è “troppo alto”, allora il regime sanzionatorio non è altro che una dichiarazione di principio senza applicazione. Una formula di facciata. Parlare di deterrenza, resilienza energetica, autonomia strategica ha senso solo se si è disposti a mettere in discussione i flussi che finanziano il conflitto.

Ed è proprio per questo che si sta delineando, nei fatti, un blocco navale ibrido.

Non dichiarato, ma operativo. Una coalizione di Stati e agenzie che combina tecnologie ISR, interdizione legale, diplomazia economica e pattugliamenti marittimi coordinati. L’obiettivo: rendere insostenibile, imprevedibile e rischiosa ogni attività commerciale legata alla flotta ombra.

Mercoledì Roma non chiederà se agire. Chiederà quando, come, dove e con quali strumenti.

E, soprattutto, chi sarà disposto a farlo davvero. Perché la domanda che rimbalza da mesi nei corridoi delle Cancellerie europee è questa: chi ha paura di sequestrare una nave?

Alla fine, tutto si riduce a interrogativi che nessuno può più ignorare. Chi sono i veri beneficiari di queste rotte oscure?

Perché un Continente con il più sofisticato sistema di sorveglianza navale al mondo tollera il passaggio di navi opache? Perché il dibattito pubblico è assente, mentre la posta in gioco è altissima? Ogni giorno che passa, il greggio russo attraversa le acque europee.

Invisibile, illegale, impunito.

Ogni giorno che passa, la coerenza strategica dell’Occidente vacilla. “Breaking the Chain” non è solo un titolo.

È un ultimatum. Roma parlerà. Il mondo ascolterà. Ma l’unica domanda che conterà sarà: chi agirà?

*Esperta Relazioni internazionali, istituzioni e diritti umani (ONU)

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Torna in alto