Mosca. Da diversi giorni fonti del Governo americano, sotto la garanzia dell’anonimato, hanno reso noto che la Russia sta intraprendendo una operazione di recupero di un proprio missile da crociera sperimentale disperso nel mare di Barents nel 2017.
Il missile è un prototipo del modello Burevestnik ed è capace di trasportare testate nucleari: quello che però è particolarmente interessante è la tecnologia di propulsione del missile, basata su un reattore nucleare.
La corsa al recupero sta quindi diventando fondamentale per evitare che altre nazioni, gli USA in primis, possano a loro volta appropriarsi del relitto e studiarne il funzionamento.
Secondo la CNBC (https://www.cnbc.com/world/?region=world) , la prima emittente di news a parlare della spedizione di recupero russa, alcune fonti americane, che sono venute in possesso di documenti di intelligence del 21 agosto, parlano di 3 navi russe spedite a tentare il recupero: una di queste sarebbe attrezzata specificatamente per il recupero del reattore nucleare del missile.
Il missile è stato “svelato” dal Presidente russo Vladimir Putin in persona a marzo 2018, sollevando diverse preoccupazioni sull’equilibrio strategico tra le superpotenze. Infatti, un missile a propulsione nucleare potrebbe teoricamente viaggiare per mesi circumnavigando all’infinito la Terra, pronto a lanciare le testate nucleari in qualsiasi momento e risultando praticamente impossibile da tracciare.
“Il missile è capace di volare a bassa quota, senza essere intercettato, con una autonomia praticamente infinita, adotta un percorso non lineare e non rilevabile ed è invulnerabile a qualsiasi tipo di difesa attuale e futura”, dichiarò Putin.
Nonostante la retorica della propaganda, il missile è ben lontano dall’essere operativo ed anche i test finora effettuati sono risultati fallimentari: la Russia ha sperimentato quattro missili da novembre 2017 a febbraio 2018 e sono tutti andati distrutti.
Secondo l’intelligence USA il volo più lungo non è durato che un paio di minuti, con il missile che è rimasto in volo per non più di 22 miglia prima di cadere a terra. Il test più corto è durato solo quattro secondi, con il missile che ha volato per cinque miglia. La Russia ha sempre negato il fallimento di ogni test.
Non è al momento chiaro se e quanti siano i missili dispersi in mare, non ci sono naturalmente informazioni su possibili inquinamenti nucleari dovuti alla rottura del reattore di propulsione.
Il funzionamento è teoricamente abbastanza semplice e noto da tempo, dato che tali missili vengono sviluppati sin dai primi anni 2000 e due esemplari russi dovrebbero essere funzionanti per il 2020: il missile decolla grazie ad un motore interno a combustile tradizionale, per poi azionare il reattore nucleare una volta in quota.
Il reattore nucleare di bordo scalda l’aria, che espandendosi all’uscita dal motore genera la reazione di spinta necessaria alla propulsione. Naturalmente un motore del genere pone grossi problemi tecnologici, in quanto il reattore non può essere confinato come tradizionalmente accade tra spesse pareti di cemento: la necessità di avere un reattore leggero da sistemare su un missile che contemporaneamente sia anche in grado di contenere le radiazioni e il calore generato risulta essere particolarmente difficile da realizzare.
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