Russia-Ucraina, in attesa che si rinnovi l’accordo sul gas almeno per cinque anni proseguirà la distribuzione

Di Mario Alfonzo

Mosca. In medio stat virtus, con queste poche parole si potrebbe sintetizzare l’esito dei negoziati tra Mosca e Kiev per il rinnovo dell’accordo relativo al transito del gas attraverso il territorio ucraino.

Il percorso del gas con il North Stream 1

Partendo da posizioni diametralmente opposte, Russia e Ucraina, con la mediazione dell’Unione Europea, hanno quindi deciso di venire incontro alle rispettive esigenze, dando il via libera ai loro colossi dell’energia, Gazprom e Naftogaz, per il perfezionamento di una nuova intesa.

L’accordo è stato concluso a pochissimi giorni dalla scadenza del precedente, prevista per lo scorso 31 dicembre.

In questo modo, è stato scongiurato anche il pericolo di un’interruzione, a tempo indefinito, delle forniture di gas russo verso l’Europa, le cui conseguenze si sarebbero fatte sentire in Italia, attualmente dipendente per il 39,5% del proprio fabbisogno dalle importazioni dalla Russia.

Con la nuova intesa Gazprom si impegna a immettere nella rete ucraina 65 miliardi di metri cubi (billion cubic meters – bcm) di gas nel corso del 2020 e 40 negli anni a seguire, fino al 2024.

Secondo quanto dichiarato dal ministro dell’Energia ucraino, Oleksiy Orzhel, l’accordo prevede un’opzione per un’ulteriore estensione fino al 2029, senza tuttavia precisarne le condizioni.

Il ministro dell’Energia ucraino, Oleksiy Orzhel

Come, del resto, non sono stati resi ufficialmente noti i dettagli riguardanti le royalties che il governo ucraino percepirà anche se ne può valutare un importo pari a circa 7 miliardi di dollari per anno.

Importante da sottolineare è come, a margine dell’accordo, Gazprom si sia impegnata al pagamento di 2,9 miliardi di dollari, quale risarcimento riconosciuto alla controparte ucraina dall’Arbitration Institute della Camera di Commercio di Stoccolma (SCC), noto per le controversie che coinvolgono gli stati post-sovietici, nell’ambito di un contenzioso avente ad oggetto proprio le forniture di gas tra i due Paesi.

Kiev, da parte sua, ha fatto cadere ogni altra pretesa risarcitoria, rinunciando, nello specifico, a far valere i propri diritti in altre controversie con Mosca dal valore complessivo stimato tra i dodici e i venti miliardi di dollari.

Sono stati superati, in tal modo, alcuni degli ostacoli che avevano prodotto un lungo periodo di stallo nelle trattative, iniziate a metà del 2018, che lasciava presagire, appena pochi mesi fa, un fallimento delle negoziazioni.

D’altronde, al di là dei contenziosi in essere, gli interessi dei due Paesi apparivano difficilmente conciliabili.

Da un lato, a condizionare la posizione assunta da Mosca in sede negoziale, vi erano ragioni di ordine sia geopolitico che di stretta opportunità commerciale.

In primo luogo, infatti, è noto come, a partire dal 2014, in seguito all’annessione della Crimea e allo scoppio del conflitto nel Donbass, il Cremlino abbia iniziato a ridisegnare le proprie rotte di esportazione del gas verso l’Europa con l’obiettivo di tagliare fuori Kiev, mirando così ad indebolire un Paese ormai considerato ostile e a eliminare un fattore di rischio per la sicurezza delle proprie esportazioni.

Forze ucraine nel Donbass

É in questo contesto che, tra il 2014 e il 2015, sono nati i progetti dei nuovi gasdotti Turk Stream e Nord Stream 2 che, collegando direttamente il territorio russo rispettivamente con Turchia e Germania, una volta attivi, costituiranno per Mosca valide e più sicure alternative alle attuali rotte passanti per l’Ucraina.

Quanto alle considerazioni di ordine commerciale, Putin ha sempre avuto ben chiaro che, proprio con la realizzazione di questi due progetti, la Russia sarebbe riuscita a garantire una capacità di esportazione tale da soddisfare il fabbisogno di un mercato già ampiamente rifornito, qual è quello europeo, rendendo così superfluo il passaggio per l’Ucraina.

Coerentemente con le strategie nazionali, Gazprom, durante l’intero arco dei negoziati, è stata quindi ferma nel proporre un accordo a breve termine, funzionale ad accompagnare la transizione verso una rete di esportazione imperniata sui due nuovi gasdotti.

Questo per la parte russa.

Per Kiev, invece, la conclusione di un accordo di lunga durata era di vitale importanza, avendo come obiettivo un flusso minimo di 65 bcm/anno per i prossimi dieci anni.

A conferma della volontà di mantenere un ruolo strategico in campo energetico, ma anche della necessità di assicurarsi le entrate economiche derivanti dai diritti di transito, che rappresentano il 5% del bilancio nazionale.

Una fetta importante per finanziare gli interventi infrastrutturali necessari per il rinnovamento della sempre più obsoleta rete gestita da Naftogaz.

Come detto, nei piani di Mosca, le future alternative alle rotte passanti per l’Ucraina sono rappresentate dal Turk Stream e dal Nord Stream 2. Mentre il primo, inaugurato in pompa magna da Putin e Erdogan appena dieci giorni fa, finora è stato un affare tra Russia e Turchia, a destare maggiori problemi, in Europa e oltreoceano, è il secondo, il Nord Stream 2.

Il Presidente russo Vladimir Putin

Fortemente voluto da Angela Merkel, intenzionata a rafforzare la posizione della Germania quale hub europeo del gas, il Nord Stream 2 collegherà i giacimenti russi di gas naturale della penisola di Yamal al territorio tedesco, attraverso 2450 chilometri di condotte passanti sui fondali del Mar Baltico.

Una volta completata, la nuova pipeline andrebbe, di fatto, a raddoppiare la capacità del già esistente Nord Stream. Il tutto, pertanto, con una portata totale pari a 110 bcm/anno.

Sin da subito, va detto, sono state sollevate perplessità da parte degli Stati dell’Europa centro-orientale, Polonia e la stessa Ucraina prime tra tutti, preoccupati dalle implicazioni economiche e geopolitiche del progetto. Ma anche tra i paesi direttamente coinvolti c’è stato chi, come la Danimarca, ha adottato un approccio piuttosto cauto.

Il via libera di Copenaghen, infatti, è arrivato soltanto alla fine dello scorso ottobre, dopo più di due anni di attesa. Troppi, si potrebbe aggiungere, per un atto almeno all’apparenza dovuto, come anche riconosciuto dalla stessa Danish Energy Agency (Energistyrelsen – l’Agenzia danese per l’energia) che l’ha emesso, in base a norme di diritto domestico e anche internazionale, dato il passaggio dell’infrastruttura, per un tratto di circa 150 chilometri, attraverso la piattaforma continentale danese.

Ad opporsi fermamente a Nord Stream 2 ci sono, poi, gli Stati Uniti, che vedono in questo progetto una minaccia per i propri interessi nella regione.

L’idea di un’Europa sempre più dipendente dal gas russo, spaventa non poco Washington che preferirebbe, da parte europea, una maggiore diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico. Magari aprendo il ricco mercato anche al proprio LNG (Liquefied Natural Gas).

Attualmente, infatti, i Paesi dell’UE fanno affidamento sulle importazioni di gas russo per il 40% del loro fabbisogno. E la quota potrebbe ulteriormente aumentare all’indomani del completamento della nuova pipeline e di quanto un domani potrebbe ricevere attraverso le connessioni con il Turk Stream.

Washington, in buona sostanza, teme che Mosca possa veder realizzato il proprio obiettivo di escludere dalla rotta di esportazione del gas l’amico ucraino, che a quel punto rischierebbe di essere troppo debole per potersi opporre alla politica estera muscolare del Cremlino.

Per queste ragioni, la Casa Bianca ha deciso di intervenire in quella che, fino ad allora, sembrava essere una partita a tre tra Russia, Ucraina e UE, sparigliando le carte con l’approvazione, a negoziati in corso, delle sanzioni verso gli operatori economici coinvolti nella costruzione del nuovo gasdotto trans-baltico.

L’impatto, nell’immediato, è stato decisivo. Con questa mossa, infatti, Washington sarebbe riuscita a creare incertezza sulla realizzazione di un progetto, che è ormai in dirittura d’arrivo, facendo così guadagnare a Kiev il potere negoziale necessario per poter concludere un accordo a condizioni più vantaggiose.

Tuttavia, sembra difficile credere che le sanzioni riusciranno a mettere a rischio l’ultimazione di un progetto già realizzato per il 92%, anche se lo stesso potrà subire degli inevitabili rallentamenti.

Come del resto ammesso dallo stesso Vladimir Putin nei giorni scorsi, la data di consegna della pipeline, inizialmente prevista per i primi mesi di quest’anno, sarebbe già slittata di un anno, con la fine dei lavori ora programmata per gennaio 2021.

É in questo contesto che Russia e Ucraina hanno deciso, all’esito di lunghe trattative, di incontrarsi a metà strada, concludendo un accordo che, a quel punto, appariva conveniente a tutte le parti coinvolte.

Crisi risolta, dunque? Almeno per ora. Non è da escludere infatti che la stessa questione si possa riproporre tra qualche anno, magari in prossimità della nuova scadenza dell’accordo appena concluso. Molto dipenderà dal completamento del Nord Stream 2 e, soprattutto, dalla normalizzazione dei rapporti tra Mosca e Kiev.

Non è ancora chiaro, pertanto, quale potrà essere la portata reale delle sanzioni americane. Ma, quel che è certo, è che gli USA hanno intenzione di continuare a giocare un ruolo importante nella partita europea del gas.

C”è da attendersi, quindi, che gli USA useranno tutto il loro potere diplomatico ed economico per ostacolare il Nord Stream 2, e per favorire lo sviluppo di alternative, come il gasdotto East Med (che non piace alla Turchia) o, come detto, attraverso l’esportazione diretta di LNG, a condizioni più competitive di quelle attuali.

Sotto questo profilo, però, l’attivismo americano potrebbe trovare un’insolita opposizione da parte della Germania. Pienamente coinvolti nel progetto, da Berlino hanno reagito con durezza all’annuncio delle sanzioni, definite dal vice cancelliere tedesco Olaf Scholz “una grave interferenza negli affari interni della Germania e dell’Europa”.

Tuttavia, la variabile che più di tutte potrà condizionare il futuro delle relazioni energetiche tra Russia e Ucraina, è certamente quella legata alla risoluzione delle tensioni nel Donbass. Un eventuale riassetto dei rapporti tra i due, infatti, potrebbe portare a riconsiderare, da parte del Cremlino, il ruolo di Kiev nello scacchiere energetico.

Per questo motivo, bisogna osservare con particolare attenzione gli sviluppi che potranno esserci, a partire dai prossimi mesi, con il vertice che si terrà, probabilmente, in aprile tra Zelenskij e Putin.

Il Presidente ucraino, Zelenskij

I due si sono già incontrati a Parigi lo scorso 9 dicembre, nell’ambito di un bilaterale organizzato da Emmanuel Macron e Angela Merkel.

Incontro al quale ha fatto seguito un comunicato conciliante che prometteva l’impegno per un cessate il fuoco temporaneo per consentire l’arretramento delle parti combattenti dalla linea di contatto e lo scambio di tutti i prigionieri. Primi passi, si spera, verso un dialogo che in questi anni ha stentato a decollare.

Intanto, nell’attesa di capire se questo dialogo porterà a un definitivo disgelo, il gas, tra Mosca e Kiev dovrebbe continuare a fluire. Almeno per i prossimi cinque anni.

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