Di Gianfranco Salvatori
PIACENZA. I soldati americani non avevano creduto ai loro occhi quando videro i paracadutisti che avevano aderito alla Repubblica Sociale italiana e quelli invece che combattevano per il Regno del Sud, con gli alleati.
Era il 6 maggio 1945.
La guerra in Italia era finita. I parà della Folgore, della Rsi, si erano arresi agli americani in Valle d’Aosta (ricevendo l’onore delle armi) ed erano diretti al campo di prigionia di Coltano (Pisa).
I paracadutisti della Divisione Nembo, che avevano partecipato alla liberazione di Bologna e alla mitica “Operazione Herring”, stavano viaggiando verso il Nord. Giunti sul Po, si dovettero fermare perché il ponte di barche consentiva il passaggio di una colonna alla volta.
I parà si riconobbero e subito scesero dai mezzi per salutarsi, lasciando esterrefatti i militari statunitensi. Si erano addestrati insieme, avevano combattuto insieme in Africa, si conoscevano bene. Nessun astio per aver scelto una parte. Il senso di onore, rispetto e lealtà ebbe il sopravvento. A
l termine si salutarono cantando l’inno dei parà: Come folgore dal cielo.
Il Grande fiume è stato così testimone, 80 anni fa, di uno dei primi atti di pacificazione.

Nei giorni scorsi, l’episodio – chiamato “Abbraccio sul Po” – è stato ricordato allo Scalo Pontieri del 2° Reggimento Genio, con una messa e la deposizione di una corona d’alloro in acqua, a ricordo dei Caduti, portata da alcuni pontieri a bordo di un gommone in mezzo al fiume.
E’ un evento rimasto sepolto nella storia, di cui si è parlato poco, ma che è riuscito a fare breccia nel tempo e rivedere la luce.
E le Associazioni dei paracadutisti stanno pensando ad altre iniziative per farlo conoscere di più.

Organizzata dall’Associazione nazionale paracadutisti d’Italia (Anpd’I), presente il presidente nazionale, il Generale di Corpo d’Armata, Marco Bertolini, la giornata ha visto la partecipazione di numerose autorità, amministratori, politici, associazioni combattentistiche e d’arma, rappresentanti delle Forze dell’ordine.
Vicino a un plotone di pontieri, erano schierati i labari delle varie specialità d’arma e dell’Associazione regionale Anpd’I con tutte le sezioni da Piacenza a Bologna.
La corona d’allora era tenuta da due parà in divisa d’epoca: uno indossava quella della Folgore, l’altra quella della Nembo, di foggia inglese.
Le Associazioni avevano anche esposto vicino alla riva un veicolo d’epoca, un mezzo anfibio americano.

Dopo la messa celebrata dal cappellano militare del 2° rRggimento Genio pontieri, don Massimo Gelmi, il presidente della sezione piacentina Anpd’I, Fabio Scrollavezza, ha ricordato l’episodio parlando di “un gesto di pacificazione” che andava oltre le divisioni e le appartenenze.

Il Comandante del 2° Reggimento Pontieri, il Colonnello Daniele Paradiso ha illustrato le caratteristiche del Reparto e le attività di questa specialità poi ha sottolineato come «questo evento avvenga in concomitanza con il 164° anniversario della fondazione dell’Esercito.
Il Comandante si è rivolto alle Associazioni evidenziando il loro ruolo di memoria e il loro impegno nel far conoscere la storia «perché non c’è futuro senza passato».

Il Generale di Corpo d’Armata, Bertolini (già Comandante della Brigata Folgore e del Comando operativo di vertice interforze) ha affermato che “quei soldati si riconobbero sul Po perché venivano dalla stessa famiglia, avevano frequentato la stessa scuola, condiviso la stessa buca a El Alamein. Dopo la guerra unirono le forze per ricostruire il Paese. Un’unità che è stata ritrovata grazie anche ai combattenti. Gridare Folgore significava gridare pace. Nonostante la sconfitta, l’Italia si rialzò e si avviò verso il boom economico». Per il generale «oggi servirebbe prendere ispirazione da questi episodi. Ma sarebbe possibile oggi, dato l’odio che si riversa sull’avversario? Sembra che il tempo non sia più capace di far dimenticare gli odi. Non possiamo permetterci una guerra civile continua”.

Il Generale Raffaele Campus, responsabile regionale dell’Associazioni di combattenti e reduci, ha ricordato che “sono stati diversi gli episodi di pace e rispetto tra i soldati durante e dopo la guerra. La pace va conquistata ogni giorno. La guerra è la malattia più pericolosa per l’uomo. Bisogna saper fare la pace con i nemici, nel nome del rispetto reciproco, che sta alla base della convivenza civile”.

L’Anpd’I di Piacenza aveva invitato anche l’associazione partigiani (Anpi) impegnata, però, nelle celebrazioni del partigiano Carlo Carini, fucilato a Piacenza, in cui erano presenti anche parenti giunti dalla Gran Bretagna.


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