Sicurezza, a Roma un convegno alla Scuola ufficiali Carabinieri. Riflettori accesi sull’Africa, sul jihadismo ma anche sul disagio sociale

Roma (dal nostro inviato). Riflettori accesi sull’Africa. La crescita demografica allarma l’Occidente così come la situazione politica, le infiltrazioni jihadiste, la presenza di foreign fighters, l’immigrazione senza regole.

Temi che tutti noi di Report Difesa ben conosciamo ma che però non trovano ancora una soluzione seria.

Nel corso, ieri nella Scuola ufficiali Carabinieri di Roma, dei lavori del convegno dal titolo “La globalizzazione e le nuove frontiere della (in)sicurezza”, organizzato dall’EURISPES, dalla Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo (DNA) e dalla stessa Scuola dell’Arma, il Continente è stato portato al centro dell’attenzione del confronto degli analisti.

Un momento del convegno, ieri a Roma (foto credit by Maurizio Riccardi)

In Africa sembra che tutto sia diventato importante, cruciale. Dei 54 Stati che compongono il Continente i problemi maggiori continuiamo a riscontrarli nel Nord, nell’area del Sahel, nel Corno ed in altri.

Alcuni Paesi dell’Africa come Teatro Operativo presente e futuro

Ma di fronte a Paesi in crisi di sicurezza ce ne sono altri che come Angola, Nigeria, Etiopia, Ciad, Mozambico e Ruanda sono stimati in crescita. Tanto che la Banca Mondiale prevede che tra il 2020 e il 2030 la sua classe media raddoppierà, oltrepassando quella indiana.

La narrativa quotidiana scritta per un’opinione pubblica poco attenta ai particolari è spostata solo sugli scenari di crisi. Su quello che potremmo definire il “Teatro operativo africano” presente e futuro.

Basti pensare alla questione libica dove dopo l’uccisione di Muhammar Gheddafi (20 ottobre 2011) si è creata un’instabilità ormai cronica.

L’omicidio di Gheddafi

Il tema della partenza e dell’arrivo di migranti nel nostro Paese ha occupato e continua ad occupare il dibattito politico e l’opinione pubblica. Con diversi schieramenti che fanno felici i conduttori di talk show televisivi (per i quali si aumentano gli ascolti) e gruppi politici.

Il contrasto al traffico di esseri umani, ieri nel convegno romano è emerso più volte, è un’attività che deve essere fatta, secondo noi, in modo più incisivo. Se veramente si vogliono sconfiggere i trafficanti ed si vuole porre fine al loro turpe guadagno economico occorre che tutti gli Stati europei facciano fronte comune. Investendo in una forza militare?

Anche perché questo del traffico di esseri umani (e del suo lungo corollario) così come quello dell’immigrazione illegale non riguarda solo il nostro Paese ma anche altri dell’Unione. E’ vero che l’Italia per la sua collocazione geografica, dalla notte dei tempi, ha fatto da punto di approdo di varie migrazioni, però ora sembra essere giunto il momento cheti lascino da parte il proprio “particolare” e si agisca.

Prendiamo a prestito, a questo proposito, una frase dell’ambasciatore Gianpiero Massolo (presidente dell’Istituto per gli Studi di Politica internazionale – ISPI) che ha detto: “Sulla sicurezza ci vuole un sano sovranismo in Europa”.

Ora alla parola sovranismo viene data un’accezione negativa. In verità, l’Unione europea, se tra gli organismi internazionali intende recuperare i giusti spazi, deve mettere da parte le divisioni tra Stati che la compongono e trovare una linea comune.

In molti confidano nella nuova presidente della Commissione europea, la tedesca Ursula Von der Leyen, che ha nel suo curriculum un incarico di ministro della Difesa tedesco.

La presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen

La lotta al traffico di esseri umani, agli stupefacenti, al terrorismo islamico e ai radicalismi non è solo una questione nazionale ma internazionale. E ha bisogno della collaborazione di tutti.

Non cessa il traffico di esseri umani

E’ vero che il nostro Paese ha i giusti “anticorpi” nati con le esperienze fatte negli anni di piombo ma oggi il terrorismo cambia pelle quotidianamente. E quello che era ieri non è più oggi e non lo sarà domani.

Per questo ha bisogno di un network di informazioni. A questo proposito vogliamo citare quanto è stato raccontato, sempre ieri, nel corso del convegno,

La FBI (la Polizia federale americana) ha trasmesso ad EUROPOL i nomi di 2.700 jihadisti da attenzionare e registrare. E’ stata fatta una riunione con tutti i rappresentanti, tra cui quello italiano, nella quale non si è riusciti a decidere quale Paese dovesse inserire i nomi in un database condiviso. Alla fine il nostro Paese ha deciso di fare da solo e inserire in un suo database i nomi di quelli che provengono dal bacino del Mediterraneo per evitare che possano entrare in un territorio Schengen.

La minaccia jihadista è un altro tema che chiaramente preoccupa gli Stati. Come ha spiegato il Generale di Brigata e comandante del Raggruppamento Operativo Speciale (ROS) dei Carabinieri, Pasquale Angelosanto essa “è più subdola”.

Il comandante dei ROS, Pasquale Angelosanto

Il rientro dei combattenti islamici nei loro Paesi di origine, dopo essere fuggiti dalle guerre in Siria ed Iraq, dei cosiddetti “attori solitari” ovvero di chi non ha legami con organizzazioni terroristiche sono al centro del lavoro quotidiano di analisti e investigatori.

Tutti gli attacchi di questi ultimi anni in Europa e fuori di essa sono studiati per vedere come mutano le azioni terroristiche. Basti pensare a quanto avvenuto a Parigi nel 2015 o a Bruxelles nel 2016. O ancora a Londra dei giorni scorsi.

Spesso le azioni terroristiche avvengono in pochi secondi. Sono fulminee. E dunque come fare? Rafforzare la prevenzione, l’analisi e l’intelligence. Lo studio continuo dell’evolversi del jihadismo e delle sue reazioni violente che sfociano in attacchi, omicidi, ferimenti è, dunque, fondamentale.

Carpire informazioni e capire la sua evoluzione, la capacità di confondersi nella società e nelle stesse comunità islamiche al fine di fare proselitismo per un’esaltazione della violenza sono tutte azioni fondamentali per ogni analista, per ogni investigatore.

Al Qaeda e la sua evoluzione ha fatto da “formatrice” per i terroristi di oggi. Dove l’azione militare la fa da padrona, dove si colpisce e si sparisce.

Militanti di Al Qaeda

Oggi però c’è’ un nemico in più per gli investigatori e per le nostre Agenzie di intelligence: il Web e le sue continue ramificazioni.

Da qui le organizzazioni terroristiche hanno cambiato strategia. Dalla rete fanno proseliti, fanno propaganda, si scambiano informazioni nascosti nel mare magnum internettiano.

Si è anche ridotta l’età media del jihadista. Ormai il futuro del terrorista islamico è giovane. Prima si parlava di un’eta media over 40 anni, oggi questa età si è ridotta di molto.

Un aspetto che gli investigatori non trascurano nelle loro analisi è anche quello psicopatologico e socio-economico. Così come lo studio di profili social aiutano gli analisti ad “entrare” nella psiche di chi ha deciso di radicalizzarsi e di compiere atti violenti.

Vengono inoltre analizzate le famiglie di provenienza, anche per capire che ruolo esse svolgono specialmente tra le seconde generazioni cresciute in Occidente con stimoli, amicizie, culture diverse da quelli della loro comunità di origine. E quanto tutto questo possa costituire un disinteresse al radicalismo o quanto, di contro, possa essere motivo di rifiuto, di scontro, di vendetta.

Nel sistema di intelligence un ruolo fondamentale viene svolto dalla Direzione dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) e dalla Polizia Penitenziaria all’interno delle carceri.

Le carceri sono monitorate per evitare forme di radicalismo

Corsi di formazione ad altissimo livello hanno fatto sì che l’Italia abbia personale specializzato in attività di monitoraggio tra i reclusi di religione islamica che per lo più provengono dal Nord Africa. Al 31 ottobre scorso sono 20.154 i detenuti stranieri, di questi una buon numero sono islamici.

E per i quali all’interno degli istituti di pena, viene garantita un’assistenza religiosa. Come evidenzia il DAP l’IIslam non ha un’organizzazione unitaria e per l’accesso degli imam negli istituti penitenziari si segue la stessa procedura prevista per i ministri di culto di confessioni religiose, richiedendo il nulla osta del Ministero dell’Interno.

Ed ad esempio, ogni anno, per la ricorrenza del Ramadan, il DAP impartisce specifiche disposizioni che consentono ai detenuti islamici di celebrare la ricorrenza nel rispetto delle norme di sicurezza.

Ove possibile, le Direzioni degli istituti mettono a disposizione sale destinate alla preghiera.

Il 5 novembre 2015 è stato siglato un protocollo d’intesa tra il Dipartimento e l’UCOII (Unione delle Comunità ed Organizzazioni Islamiche in Italia).

Esso però non ha carattere di esclusività nell’ambito dei rapporti con i ministri del culto islamico, vi sono infatti imam autorizzati dal Ministero dell’Interno che non aderiscono all’UCOII.

Infine, in un’analisi del rischio per la nostra sicurezza nazionale, è stato esaminato nel corso del convegno di ieri la questione del disagio sociale.

Ha detto Mario Caligiuri, docente e direttore del Master in intelligence dell’Università della Calabria e presidente della Società italiana di intelligence: “Il disagio sociale è un problema di sicurezza nazionale. Se prossimi 20 anni si diminuirà il potere di acquisto, quanto questo inciderà nel Sud? I precari saranno la classe esplosiva del futuro. Così come l’evolversi dell’intelligenza artificiale che porterà con sé numerosi problemi”.

Premesso che abbiamo il triste primato di giovani che non lavorano né studiano, con molti disoccupati a spasso (e per i quali neppure il tanto decantato, specchietto per le allodole elettorale reddito di cittadinanza ha fatto molto), un quinto di italiani nel 2018 ha avuto difficoltà a pagarsi le cure mediche, sta venendo meno la partecipazione politica attiva quale potrà essere il futuro per il nostro Paese?

Chi sarà capace di fare sintesi e avrà la capacità di governare questi disagi prima che diventino “farina per il pane” della criminalità organizzata e di radicalismi ideologici nostrani?

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