Sicurezza alimentare, il ruolo della Slovenia per i programmi definiti nell’Agenda 2020 dell’ONU

Di Domenico Letizia*

Lubiana. La recente iniziativa della Repubblica di Slovenia di celebrare, ogni anno, la Giornata Mondiale delle Api si inserisce all’interno delle logiche della cooperazione internazionale nell’affrontare i problemi globali, come per esempio la sicurezza alimentare.

L’impegno della Slovenia per la sicurezza alimentare

In tal modo, il Paese tenta di dare un importante contributo agli obiettivi di sviluppo sostenibile definiti nell’Agenda 2030 dell’ONU per lo sviluppo sostenibile. La letteratura geopolitica dovrebbe informare il grande pubblico sul rapporto tra produzione, tecnologia e cibo, rimembrando che le grandi produzioni di alimenti base, a partire dal grano, fanno capo a poche multinazionali che stabiliscono prezzi e destinazioni del prodotto.

Ci sono interi Paesi devastati da colture intensive di un mono-prodotto particolarmente richiesto in un determinato momento. E per coltivare si sradicano alberi, si impoverisce il suolo, si distrugge. Poi quando il mercato cambia la domanda, indotta sempre dai medesimi gruppi, si abbandona tutto, si condannano le popolazioni alla povertà ed alla fame e ci si sposta a devastare altre zone geografiche. Quella del controllo e della distribuzione delle risorse agro-alimentari è infatti un’istanza fondamentale sulla scena mondiale, paragonabile soltanto a quella, parallela e convergente, delle risorse energetiche.

Un tema che riguarda le strategie delle potenze, e che comprende anche quello, annoso e troppo spesso letto con superficialità, della “fame nel mondo”, che, a sua volta, ci conduce a ragionare sulla redistribuzione delle risorse, nonché del problema, sempre più incombente, dei movimenti migratori che coinvolgono drammaticamente l’Italia.

Nell’Unione Europea, a giocare un ruolo decisivo, è un’industria del cibo fortemente orientata alla trasformazione delle materie prime che crea prodotti altamente lavorati e pubblicizzati e li immette sul mercato ad un prezzo finale gonfiato. L’aumento del costo delle materie prime invece è un fenomeno generalizzato: secondo la Banca Mondiale la bolla dei prezzi è causata per un 30% dall’aumento del costo dei carburanti e quindi dei fertilizzanti derivati da idrocarburi e per un 70% dal passaggio dei terreni dalla produzione alimentare a quella del biocombustibile.

Il caso più rappresentativo è negli Stati Uniti d’America, dove circa un terzo di tutto il grano coltivato è destinato alla produzione di idrocarburi. A questo rincaro fisiologico si aggiunge quello derivante dalla forte attitudine speculativa dei mercati finanziari: la volatilità dei mercati, legata a doppio filo al prezzo del petrolio, attira una grande quantità di operatori esterni che riversano un’ingentissima quota di capitali sui titoli del mercato agricolo, causando un aumento dei prezzi puramente finanziario. La sicurezza non dev’essere vista come una barriera, bensì come un valore aggiunto e una garanzia di qualità del prodotto alimentare.

Pertanto, è necessario stimolare azioni volte ad assicurare i consumatori riguardo ai prodotti che mangiano. In tale ottica la geopolitica e la comunicazione diventano elementi essenziali di approccio alla tematica poiché possono garantire informazioni sulla sicurezza alimentare, sollecitare le autorità a far fronte alle emergenze alimentari e rendere i sistemi alimentari equi ed accessibili per tutti.

Il diritto al cibo deve essere un diritto inalienabile dell’uomo. Il traguardo più importante fissato dai nuovi obiettivi del millennio, approvati il 25 settembre 2015 dall’Assemblea Generale dell’ONU a New York è Fame Zero entro il 2030.

Da non considerare secondaria anche la lotta al cambiamento climatico: l’impegno a contenere sotto i due gradi l’aumento della temperatura globale. D’altronde, va analizzato anche il rapporto tra istituzioni, mercati e accesso al cibo. Il ruolo dei Governi nel processo di acquisizione non è sempre lo stesso. In alcuni casi, sono aziende di proprietà statale a comprare le terre, in altri casi si tratta di privati che agiscono tramite la mediazione delle strutture diplomatiche governative che si occupano di negoziare un contratto favorevole per gli investitori.

Gli Stati che stanno comprando terra sono soprattutto quelli le cui popolazioni hanno esaurito, o stanno esaurendo, le proprie risorse di acqua e suolo. L’Arabia Saudita, ad esempio, ha negoziato l’acquisto e l’affitto di terre in almeno 11 Paesi, tra cui il Sudan, il Kazakistan, le Filippine, il Vietnam ed il Brasile. Le Nazioni che si stanno impegnando a vendere terre coltivabili sono a basso reddito, spesso, in zone ove la fame e la malnutrizione sono all’ordine del giorno.

Alcuni dipendono dal Programma Alimentare Mondiale (PAM; http://it1.wfp.org) per parte dei rifornimenti alimentari. La tematica necessita di approfondimenti specifici, possiamo auspicarci che il protagonismo europeo della Slovenia possa attirare attenzione e sollevare dubbi, curiosità e riflessioni.

*Presidente dell’Istituto di Ricerca di Economia e Politica Internazionale (IREPI)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Autore