Sindacati militari, una mina che occorre disinnescare

Di Vincenzo Santo*

Roma. Il danno è fatto, e grande pure! Purtroppo, non si torna indietro.

Tuttavia, è necessario limitare i danni. Questo sì.

Sto parlando della sentenza, di cui a suo tempo scrissi, secondo la quale la Corte Costituzionale ha fatto cadere il divieto per i militari di costituire associazioni sindacali.

I giudici della Consulta

La Consulta, in quella circostanza, etichettò come “parzialmente fondata” la norma del Codice dell’Ordinamento Militare che sanciva il divieto da parte dei militari di costituire associazioni a carattere sindacale.

Ma lo devono fare in proprio, ebbe a specificare, confermando il divieto di “aderire ad altre associazioni sindacali”.

Curioso come sono, chiesi allora che cosa l’Amministrazione, per il tramite dell’Avvocatura dello Stato, avesse mai presentato come controdeduzioni in sede dibattimentale.

La risposta della Presidenza del Consiglio dei Ministri rispose recitando con ottimo burocratese che la richiesta non poteva essere accolta “… avendo ad oggetto atti defensionali sottratti all’accesso ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. b), del DPCM 26 gennaio 1996, n. 200 …”.

Il tutto a mente del “Regolamento recante norme per la disciplina di categorie di documenti formati o comunque rientranti nell’ambito delle attribuzioni dell’Avvocatura dello Stato sottratti al diritto di accesso”.

Ma come? Io cittadino pago le tasse anche per tenere in piedi uno strumento che dovrebbe assicurarmi difesa e sicurezza e non posso andare a vedere in quale modo una decisione sia stata presa? Assurdo! Che cosa ne deduco? Che non c’è nulla che si sia mai fatto per impedire questa iattura.

Non ci sono state controdeduzioni convincenti e, soprattutto, convinte. Questo è il mio pensiero. Si è colpevolmente semplicemente ceduto a un becero populismo; ormai è moda. Tutto qui!

E per fortuna che l’articolo 11 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) e l’articolo 5 della Carta Sociale Europea, a cui comunque la Consulta inevitabilmente fa riferimento, fanno intendere la possibilità di “restrizioni” e misure nei riguardi del Comparto Difesa e Sicurezza. E meno male! Restrizioni e misure che vanno “legiferate”.

Ma siamo ancora in tempo per definirle? Lo spero. Io provo a fornire qualche spunto.

È da precisare, tuttavia, che nel comparto Sicurezza già esistono i sindacati delle polizie ad ordinamento civile, come il SIULP (ma ce ne sono altri) nella Polizia di Stato.

Agenti di Polizia a Milano

Organismi che io credo abbiano una tale forza da influenzare non poco le attività gestionali e operative. Osservazione che mi aspetto verrà criticata sì, ma non credo confutata.

Come ho già scritto in altra occasione, sarei pronto a scommettere su come non sia poi così facile per un dirigente cambiare un ordine di servizio per una pattuglia, financo i termini di come quel pattugliamento debba essere effettuato, senza il beneplacito dei rappresentanti sindacali.

E i Carabinieri, nel silenzio, credo abbiano subìto dei grossi cambiamenti all’indomani della smilitarizzazione della stessa Polizia, ai primi degli anni ‘80.

Avendo un piede nello stesso comparto, per molte cose essi hanno dovuto adeguarsi, tanto che i contratti collettivi di lavoro della Polizia di Stato ope legis si estendono a Carabinieri e Guardia di Finanza. A margine, sarà interessante vedere come l’Arma si muoverà tra due tipologie di sindacati e gli organi di Rappresentanza Militare.

Il controllo del territorio da parte dei Carabinieri

Ma, come dicevo, per le Forze Armate occorre correre ai ripari per salvaguardare i principi di coesione delle unità come organizzazioni combattenti, la loro prontezza operativa, l’operatività all’estero, il rapporto gerarchico e funzionale nonché i doveri attinenti all’obbedienza, quelli derivanti dalla subordinazione e quelli attinenti alla estraneità dalle competizioni politiche (neutralità e imparzialità politica). E chissà cos’altro!

Intanto, la rappresentatività, con relative soglie, è auspicabile sia assicurata a tutte le categorie, ma anche al personale in quiescenza, quindi anche a coloro passati in Ausiliaria e in Riserva.

E che sia ben rappresentativa ciascuna associazione; cioè, che abbia un minimo di iscritti perché possa ricevere e mantenere l’assenso ministeriale; la forza di un reggimento, diciamo almeno 800 persone? Solo un’idea.

Inoltre, cosa fondamentale, vada ben canalizzato il campo d’azione che escluda tutto quanto concerne ordinamento, addestramento, operazioni, logistica-operativa, rapporto gerarchico-funzionale, impiego del personale. E neanche la sicurezza del lavoro, un ambito che, per valenza e sensibilità in ambito militare, non può essere oggetto di attenzione da parte di un sindacato esterno o di negoziazione, come non lo è del resto in altre realtà.

Inutile ribadire poi l’assoluto divieto di sciopero o di azioni “surrogate” nonché la necessità di disciplinare il diritto di assemblea, rendendolo esclusivo a livello di organizzazione centrale, allo scopo di salvaguardare l’operatività delle unità di impiego, e la condotta di attività sindacale al di fuori dell’orario di servizio e sempre con modalità e tempi coordinati con i rispettivi comandanti.

Ma allora, detto questo, che necessità c’è che continuino a esistere gli organi della Rappresentanza Militare (COBAR, COIR e COCER)? Oppure, dal momento che già esistono questi e operano con importanti limitazioni, che motivo c’era di inventarsi i sindacati? Mistero!

E attenzione ai risvolti disciplinari, d’impiego e amministrativi dei rappresentanti. Insomma, non se ne faccia una casta di intoccabili. Ecco, infine, la necessità che il loro mandato sia limitato nel tempo e non rinnovabile né ripetibile. Non “professionalizziamoli” in quel ruolo, insomma!

Limiti e restrizioni fondamentali che devono costituire condizioni da cui non si può prescindere, nel senso che, ove non venissero rispettati, postulerebbero la cancellazione dell’organismo stesso, cioè la perdita dell’assenso ministeriale.

Parlo di restrizioni vincoli e limiti che, ne sono certo, saranno difficili da digerire da parte di chi già si sente professionista sindacale con le stellette e che ritiene di essere in diritto, come già avvenuto, e in uniforme, di “dissacrare” sui social la figura del suo capo di Stato Maggiore dell’Esercito. Pazzesco e anche vergognoso.

Il mio rammarico è che la società italiana – inclusi i giudici costituzionali – sembra non abbia compreso la peculiarità del vero soldato. Tantomeno molti di quei politici che questa pericolosa deriva hanno inteso agevolare.

Militari dell’Esercito di pattuglia

Pochi, infatti, io temo abbiano realizzato che l’essere soldato si identifica in un ruolo sociale differente dagli altri, no di certo migliore degli altri né sicuramente peggiore.

Una diversità che è anche specificità e che richiama benefici, e non privilegi, proprio per via di un destino scritto nelle parole stesse del giuramento prestato.

Parole non vuote e che potrebbero invece implicare una destinazione d’uso ben chiara: il sacrificio personale non come conseguenza casuale del proprio operare ma come risultanza possibile e anche probabile nell’assolvimento del compito, persino necessaria per l’assolvimento del compito. Non può essere diversamente.

E non è retorica. È pratica della virtù. In una tale struttura, i diritti e i doveri sono già garantiti e vigilati con sincerità e lealtà lungo la catena di comando, secondo un rapporto gerarchico funzionale che non ha bisogno di surroghe di sorta che possono incidere sulla solidità, l’amalgama, lo spirito di corpo e, pertanto, su efficienza ed efficacia nelle operazioni. Tutte condizioni imprescindibili quando ci si trova nella foga, nella confusione e nei pericoli dell’azione.

Da vecchio comandante, non ho mai compreso che cosa potesse fare persino un COBAR che non lo potesse fare il rispettivo comandante.

Per me è stato ed è ancora un interrogativo. Figurarsi se riesco a comprendere e condividere la necessità di questi organismi aggiuntivi. E posso facilmente immaginare cosa potrebbe accadere, ove essi venissero lasciati liberi di muoversi come una “normale” sodalizio di lavoratori.

Per molti comandanti, e non credo di essere smentito, è già difficile esercitare il comando quando abbiano alle dipendenze personale civile con le relative strutture sindacali, e dove il rischio incombente è sempre quello di essere accusati di attività antisindacale, volendo soltanto far rispettare semplici regole. Un inferno!

E infatti, stiamo giocando con il fuoco. L’aver concesso tale possibilità, il sindacato, anche a chi porta le stellette, nell’erronea convinzione che già altri hanno tali organizzazioni – vero solo per i tedeschi per quello che la parola sindacato effettivamente evoca – significa non aver compreso il ruolo e la specificità militari.

In una Nazione “imbelle”, ahimè, ciò non rappresenta una sorpresa. Ma almeno, carissimi politici, limitiamo i danni!

*Generale di Corpo d’Armata Esercito (Ris)

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