Siria: La base russa di Maaten al-Sarra, posizione e infrastrutture strategiche. Rapporti di intelligence e analisi satellitari indicano che personale di Mosca e alleato ha avviato lavori di ripristino delle infrastrutture

Di Giuseppe Gagliano 

DAMASCO. La Base aerea di Maaten al-Sarra (nota anche come Mutan al-Sara) è un impianto militare situato nell’estremo Sud della Libia, nei pressi dell’oasi Ma’tan as-Sarra al confine con Ciad e Sudan.

Un’immagine della Base aerea di Maaten al-Sarr

 

Costruita durante il regime di Gheddafi, fu la principale base libica nel conflitto contro il Ciad negli anni ’80, dotata all’epoca di tre piste d’atterraggio e capacità di ospitare oltre 100 aeromobili da combattimento.

La sua collocazione geografica è estremamente remota – circa 60 miglia a Nord del confine ciadiano – ma strategica: controlla l’accesso al Sahel e alle rotte desertiche che collegano la Libia all’Africa subsahariana.

Dopo anni di abbandono in seguito alla guerra civile libica del 2011, la base è recentemente tornata al centro dell’attenzione per un importante potenziamento ad opera della Russia.

Rapporti di intelligence e analisi satellitari indicano che personale russo e alleato ha avviato lavori di ripristino delle infrastrutture: la pista principale è in fase di riasfaltatura e sono in costruzione nuovi depositi e installazioni logistiche. Secondo fonti aperte, technici russi e truppe siriane fedeli a Mosca si sono insediate a Maaten al-Sarra a partire da dicembre 2024 con l’obiettivo di rendere operativa la base.

I lavori in corso comprendono riparazioni delle piste, la riattivazione di hangar e magazzini, nonché la predisposizione di alloggiamenti e sistemi di sicurezza per proteggere l’avamposto. Ciò suggerisce la volontà russa di trasformare Maaten al-Sarra in una base aerea pienamente funzionale, capace di accogliere aerei da trasporto pesante e forse velivoli da combattimento o droni a lungo raggio.

In parallelo, le forze del Generale libico Khalifa Haftar – che controlla la Cirenaica e il Fezzan – hanno rafforzato la sicurezza attorno alla base. Un convoglio militare della Brigata Tariq bin Ziyad, guidata da Saddam Haftar (figlio di Khalifa), è stato inviato a Maaten al-Sarra per mettere in sicurezza l’area e le vie di accesso verso il Sudan, segno del coordinamento con Mosca.

Il Generale Khalifa Haftar

Inoltre, emissari russi hanno cercato e ottenuto l’alleanza delle tribù locali del Sud della Libia, per garantire che l’insediamento non incontri resistenza interna.

Queste misure indicano che la Russia intende stabilizzare il controllo del sito a lungo termine, prevenendo minacce sia esterne (infiltrazioni dal vicino Ciad o dal Sudan instabile) sia interne (rivalità tribali o attacchi di milizie libiche concorrenti).

Ruolo strategico nel riposizionamento russo post-Siria

La riattivazione di Maaten al-Sarra si inserisce nel contesto più ampio del riposizionamento geopolitico russo dopo la campagna in Siria.

Negli ultimi anni Mosca ha mantenuto basi militari in Siria (Hmeimim e il Porto di Tartus) che le hanno garantito proiezione nel Mediterraneo orientale e un corridoio logistico verso l’Africa.

Tuttavia, gli sviluppi recenti – inclusa l’ipotetica caduta del regime di Bashar al-Assad sul finire del 2024 – hanno sollevato dubbi sulla tenuta a lungo termine di queste posizioni. In tale scenario, la perdita (o riduzione) delle basi siriane rappresenterebbe per Mosca un grave vulnus strategico, interrompendo di colpo la capacità di rifornire le operazioni russe fuori area e di monitorare la presenza della NATO nel Mediterraneo.

L’ex Presidente siriano, Bashar Al Assad.

Di fronte a questa prospettiva, la Russia ha avviato un trasferimento di risorse dalla Siria alla Libia, mirando a compensare sul fianco Sud del Mediterraneo ciò che potrebbe perdere a Oriente.

A cavallo tra la fine del 2024 e l’inizio di quest’anno, numerosi voli militari cargo (Antonov An-124 e Ilyushin Il-76) sono stati registrati in partenza dalla base russa di Hmeimim in Siria con destinazione la base di al-Khadim nell’Est della Libia.

Parallelamente, satelliti e tracciatori navali hanno rilevato un ponte navale: navi da trasporto russe classe Sparta hanno lasciato il porto di Tartus cariche di equipaggiamenti e, dopo aver attraversato il Mediterraneo, hanno scaricato materiale militare in Cirenaica.

In un episodio emblematico, un cargo russo (la Ursa Major) è persino esploso e affondato a fine dicembre 2024 al largo di Gibilterra, sollevando ipotesi su operazioni segrete di trasferimento di armamenti verso la Libia.

Il ministro della Difesa italiano Guido Crosetto ha paragonato questa ridislocazione russa dalla Siria alla Libia alla crisi dei missili di Cuba, evidenziando come avere navi e sommergibili russi “a due passi da noi invece che a mille chilometri” rappresenti per l’Italia e la NATO una minaccia diretta alla sicurezza mediterranea.

In questo contesto, Maaten al-Sarra assume un significato strategico cruciale.

Secondo fonti dell’intelligence italiana, la base libica potrà sostituire almeno in parte la funzione logistica di Tartus e Hmeimim, fungendo da nuovo perno per le attività militari russe nella regione allargata.

La posizione di Maaten al-Sarra, nell’entroterra libico lontano dal raggio d’azione immediato delle forze NATO, offre a Mosca un punto d’appoggio relativamente sicuro dal quale riorganizzare la propria presenza militare.

La riattivazione della base rientra infatti in un ridispiegamento strategico verso Sud: di fronte all’incertezza sul futuro in Siria, Mosca sembra puntare a consolidare una testa di ponte nel Mediterraneo centrale, da usare come piattaforma operativa alternativa in caso di perdita (totale o parziale) delle installazioni siriane.

Va sottolineato che questa manovra russa non avviene nel vuoto, ma si collega a una strategia di lungo termine. Fin dall’intervento in Siria nel 2015, il Cremlino ha mostrato di voler espandere la propria influenza militare oltre i confini tradizionali, riassertandosi come attore di peso nel Mediterraneo.

L’eventuale arretramento dal Levante non significa abbandono della regione: al contrario, Mosca intende preservare la capacità di proiezione ridislocando uomini e mezzi dove le condizioni lo permettono.

La Libia, in questo senso, rappresenta una continuità più che una rottura: dalle rovine di Damasco alla sabbia del Fezzan, la Russia cerca di mantenere il filo della sua presenza geopolitica, adattandosi al mutare delle circostanze pur di contenere l’influenza occidentale e assicurarsi basi per i propri interessi.

Maaten al-Sarra come hub logistico per l’Africa subsahariana

Oltre al teatro libico in sé, il rilancio di Maaten al-Sarra risponde alla necessità russa di sostenere le operazioni in Africa subsahariana.

Negli ultimi anni, la Russia (spesso attraverso il gruppo mercenario Wagner, ora riorganizzato come cosiddetto “Africa Corps“) ha esteso la sua presenza militare o paramilitare in diversi paesi africani, dal Mali alla Repubblica Centrafricana, dal Sudan al Burkina Faso. Mantenere questi avamposti lontani richiede linee di rifornimento robuste: finora le basi in Siria hanno funto da ponte logistico, consentendo di inviare uomini e materiali in Africa con scali intermedi.

La base di Tartus, ad esempio, era un nodo di transito per le spedizioni dalla Russia verso la Libia e il resto del continente.

Con l’incognita siriana, la Russia vede in Maaten al-Sarra l’opportunità di creare un nuovo hub logistico direttamente sul suolo africano.

Già a fine 2024, fonti di stampa riportavano che aerei cargo russi provenienti dalla Siria atterravano regolarmente nelle basi controllate da Haftar (tra cui al-Khadim e al-Jufra) con carichi molto più consistenti del consueto, segno di un massiccio ponte aereo verso la Libia.

L’idea strategica è che da Maaten al-Sarra Mosca possa ridistribuire rifornimenti militari direttamente ai suoi alleati nel Sahel e oltre.

Secondo l‘Agenzia Nova, la base potrà servire come punto di partenza per supportare in modo diretto Teatri come Mali, Burkina Faso e forse Sudan, rifornendoli di armi, munizioni e equipaggiamenti senza dover transitare da porti o basi medio-orientali. Ciò costituirebbe una novità: per la prima volta la Russia disporrebbe di un’infrastruttura logistica avanzata sul continente africano, riducendo la dipendenza dai suoi avamposti in Medio Oriente.

Le analisi suggeriscono inoltre che Maaten al-Sarra potrebbe integrarsi in un corridoio commerciale e militare dalla sponda sud del Mediterraneo al cuore dell’Africa.

In coordinamento con le autorità locali alleate – come la giunta militare del Niger e il governo di transizione in Ciad – Mosca punta a creare una rete di collegamenti che attraversi il deserto. Già nel 2024 Khalifa Haftar avrebbe stretto accordi con Niger e Ciad per sgomberare le frontiere da ribelli e contrabbandieri, così da aprire zone franche di libero scambio che permettano transito di risorse: petrolio libico verso il Niger e armi verso la Libia, in violazione dell’embargo ONU. Operativizzare Maaten al-Sarra rafforzerebbe questi legami transfrontalieri, fornendo supporto aereo-logistico alle intese tra Haftar e i regimi saheliani filo-russi, e consolidando l’influenza collettiva su traffici e rotte nel Sahara. In pratica, la base fungerebbe da cerniera tra il Mediterraneo e l’Africa subsahariana, consentendo alla Russia e ai suoi partner locali di proiettare potenza attraverso il vasto spazio desertico.

La prospettiva di un tale hub è vista con preoccupazione dagli osservatori occidentali.

È opinione diffusa che senza porti e basi aeree di appoggio, la recente espansione russa in Africa sarebbe logisticamente insostenibile.

Le operazioni di Wagner (o suoi successori) in paesi privi di sbocco sul mare dipendono da flussi continui di rifornimenti esterni – flussi che diventano complicati se non esiste un punto di ingresso accessibile. Maaten al-Sarra colmerebbe proprio questa lacuna, garantendo un punto di proiezione avanzato per sostenere truppe, mercenari e clienti africani di Mosca.

Senza di esso, la “missione imperiale” russa in Africa rischierebbe di subire la stessa sorte fallimentare dell’intervento in Siria, una volta tagliate le linee logistiche. Non a caso, un’analisi del think tank CEPA afferma che *”con la perdita delle basi siriane, la Libia rimane l’unico snodo di transito fattibile per rifornire le unità mercenarie russe in tutta l’Africa”*.

Implicazioni geopolitiche: la presenza russa e gli attori regionali

L’attivismo russo in Libia attraverso basi e mercenari si inserisce in un contesto geopolitico già affollato.

Diverse potenze regionali e internazionali hanno interessi in gioco in Libia, e la crescente presenza di Mosca solleva reazioni contrastanti:

    • Turchia: Ankara è stata il principale sponsor del governo di Tripoli (GNA/GNU) negli anni recenti, intervenendo militarmente nel 2019-2020 per bloccare l’avanzata di Haftar. La presenza russa, a fianco del suo nemico Haftar, rappresenta quindi per la Turchia una minaccia ai propri interessi. Dopo la tregua del 2020, turchi e russi hanno entrambi mantenuto un basso profilo militare in Libia, cercando di “rendere invisibile” la propria presenza per evitare frizioni dirette. Tuttavia, qualunque espansione russa (come basi permanenti o una flotta a Tobruk) sarebbe difficilmente tollerata da Ankara, che dispone di forze navali superiori nel Mediterraneo orientale e potrebbe controbilanciare il dispositivo di Mosca. In sostanza, la Russia per operare in Libia orientale deve tenere conto del potere di veto turco: alcune analisi notano che qualunque insediamento russo stabile dipenderebbe in parte dalla “benevolenza” della Turchia, data la capacità turca di sostenere militarmente il governo di Tripoli e mettere in difficoltà logistica un’eventuale base russa isolata in Cirenaica. Inoltre, il Presidente Erdoğan guarda con sospetto all’attivismo di Mosca nel Mediterraneo meridionale, tradizionalmente area d’influenza turca (sia per legami storici che per interessi energetici nel Mediterraneo e in Africa). La stampa turca filo-governativa descrive l’asse Haftar-Russia come un nuovo rischio sicurezza, sottolineando che Mosca sta cercando in Cirenaica ciò che Ankara considera un proprio “feudo” di influenza – una situazione che potrebbe riaccendere tensioni simili a quelle viste in Siria, ma a parti invertite.
    • Francia: Parigi ha interessi di lungo periodo in Libia, sia economici (petrolio) che di sicurezza (stabilità del Nord Africa e contrasto al terrorismo nel Sahel). Negli anni scorsi la Francia ha mantenuto un atteggiamento ambiguo, appoggiando tacitamente Haftar anche quando altri partner NATO sostenevano il governo di Tripoli. Questo l’ha portata de facto sullo stesso fronte della Russia nel 2019, quando entrambi supportavano l’offensiva di Haftar. Dopo il fallimento di quell’operazione, la Francia si è defilata, ma recentemente ha mostrato segnali di riavvicinamento: a febbraio 2025 Khalifa Haftar è stato ricevuto all’Eliseo dal presidente Emmanuel Macron, discutendo di processo politico libico e cooperazione bilaterale. È probabile che Parigi intenda tenere Haftar agganciato all’Occidente, per evitare che finisca interamente nella sfera russa. Allo stesso tempo, la Francia vede con allarme l’estensione dell’influenza di Mosca nel Sahel, area un tempo sotto forte presenza francese e oggi sempre più gravitante verso il blocco russo (Mali, Burkina Faso e ora Niger hanno governi militari filo-russi). Una base russa nel Fezzan – prossima a Ciad e Niger, dove la Francia ha interessi vitali – rappresenta per Parigi un potenziale fattore di ulteriore erosione della propria posizione. Non a caso, fonti francesi avrebbero fatto pressioni su Haftar perché liberasse un leader dell’opposizione nigerina detenuto in Libia, segno che la Francia teme una saldatura eccessiva tra LNA e giunte saheliane fuori dalla propria influenza. In sintesi, la Francia oscilla tra il coinvolgimento e il contenimento: da un lato cerca dialogo con Haftar per moderare l’abbraccio con Mosca, dall’altro guarda all’espansione russa in Libia come a un gioco a somma zero con i propri interessi regionali.
    • Egitto: Il Cairo considera la stabilità della Libia orientale un imperativo di sicurezza nazionale. Dal 2014 il presidente egiziano al-Sisi ha sostenuto militarmente e politicamente Haftar, vedendo in lui un baluardo contro i movimenti islamisti (in particolare la Fratellanza Musulmana) e un argine all’influenza turca a ovest. La Russia e l’Egitto hanno in larga misura condiviso l’obiettivo di rafforzare Haftar, coordinandosi anche nelle forniture belliche: ad esempio, già nel 2020 si riportava la presenza di forze speciali russe in basi egiziane vicine al confine libico per operazioni a sostegno dell’LNA. Per l’Egitto, l’intervento russo in Libia è quindi benvenuto finché aiuta a stabilizzare l’est del paese sotto un regime amico. L’avere Mosca come partner aggiuntivo offre a Sisi maggiore leva, bilanciando l’influenza di Turchia e Qatar sul fronte opposto. Tuttavia, Il Cairo è attento a che la Russia non oltrepassi certe linee: un eccessivo protagonismo russo potrebbe marginalizzare l’Egitto stesso nel proprio “cortile di casa”. Per ora, l’interesse egiziano e quello russo coincidono nel sostenere Haftar e nel mantenere la Libia divisa in sfere di influenza, ma nel lungo termine potrebbero emergere divergenze se, ad esempio, la Russia cercasse accordi diretti con attori (come le tribù del Fezzan) bypassando l’egida egiziana. In aggiunta, l’Egitto – pur cooperando con Mosca – resta formalmente alleato degli Stati Uniti: dovrà dunque bilanciare il rapporto con la Russia in Libia per non incrinare quello con Washington. Finora, comunque, il triangolo Il Cairo-Mosca-Haftar ha funzionato: l’Egitto ottiene sicurezza sul confine occidentale e partecipazione allo sfruttamento del petrolio libico, la Russia ottiene basi e accesso strategico, Haftar riceve armamenti e legittimazione internazionale multipla.
    • Stati Uniti e NATO: Per l’Alleanza Atlantica la prospettiva di una base russa permanente in Libia è motivo di seria preoccupazione, configurandosi come una minaccia sul fianco sud dell’Europa. L’Italia, in particolare, ha sollevato pubblicamente l’allarme – come visto con le dichiarazioni di Crosetto – temendo che la presenza militare russa a poche centinaia di chilometri dalle coste italiane possa alterare gli equilibri nel Mediterraneo centrale. La NATO nel suo complesso monitora l’evolversi della situazione: un consolidamento russo in Cirenaica potrebbe richiedere un ripensamento del posture difensivo nel Mediterraneo (ad esempio incrementando la sorveglianza marittima e aerea, o supportando maggiormente il governo di Tripoli). Gli Stati Uniti, dal canto loro, dopo l’intervento del 2011 hanno mantenuto un coinvolgimento limitato in Libia, focalizzato soprattutto sull’antiterrorismo. Tuttavia, negli ultimi mesi Washington sembra aver risvegliato l’attenzione: delegazioni militari statunitensi (AFRICOM) e britanniche hanno visitato Bengasi all’inizio del 2025 per incontrare Saddam Haftar e altri ufficiali dell’LNA, discutendo di cooperazione e riunificazione delle istituzioni di sicurezza libiche. Questo segnale indica un tentativo occidentale di riagganciare Haftar alla sfera di influenza USA/NATO, offrendo collaborazione e riconoscimento in cambio di una limitazione dei suoi rapporti con Mosca. Nelle dichiarazioni ufficiali, gli americani hanno lodato il ruolo dell’LNA nel combattere il terrorismo, cercando di instaurare un dialogo costruttivo. Ciò avviene mentre in parallelo il premier di Tripoli Abdulhamid Dbeibah lancia moniti contro l’ingresso di forze russe: Dbeibah ha dichiarato di non accettare “alcuna forza straniera” in Libia senza accordi ufficiali e di aver convocato l’ambasciatore russo per chiarimenti su notizie di trasferimenti di armi e truppe da Siria a Libia. In pratica gli USA e la NATO sembrano muoversi su due binari: contrastare diplomaticamente la presenza russa appoggiando il governo riconosciuto a ovest, ma al contempo dialogare con Haftar a est per ridurne la dipendenza da Mosca. Resta da vedere quanto successo avrà questa strategia, dato che – come notato dagli analisti – l’Occidente difficilmente potrà eguagliare il supporto militare e finanziario che la Russia garantisce ad Haftar, supporto su cui il generale ha costruito la sua sopravvivenza politica.

Il rapporto Russia-Haftar: convergenze e incognite

Il Generale Khalifa Haftar, leader de facto della Libia orientale, è la figura-chiave che ha aperto le porte del Paese alla Russia. La relazione tra Mosca e Haftar è basata su un calcolo reciproco di vantaggi, ma anche segnata da una certa diffidenza e da vincoli non formali.

Dal lato di Haftar, l’appoggio russo è stato ed è tuttora fondamentale per la sua posizione.

A partire dal 2018-2019, la Russia ha fornito ad Haftar mercenari (Wagner), armamenti, supporto aereo (inclusi caccia e droni ridipinti per mascherarne l’origine) e persino assistenza finanziaria stampando valuta libica contraffatta per l’Est (dinari prodotti in Russia).

Questo sostegno ha permesso ad Haftar di lanciare l’offensiva contro Tripoli nel 2019 e, dopo la sconfitta, di mantenere il controllo sulle sue roccaforti.

Secondo l’analista Emadeddin Badi, *”Haftar non è un attore libero in grado di cambiare alleanze a piacimento, men che meno abbandonare Mosca: la sua dipendenza militare e logistica dalla Russia lo tiene saldamente legato al Cremlino”*. In effetti, dopo il fallimento dell’assalto a Tripoli (bloccato dall’intervento turco), Haftar si è ritrovato isolato; ma la presenza dei mercenari russi gli ha evitato il collasso, consentendogli di sopprimere sul nascere dissidenze interne e di scoraggiare contrattacchi dei rivali. Grazie all’ombrello russo, Haftar ha potuto ristrutturare le proprie forze e consolidare il potere, persino preparando una successione dinastica (i figli, come Saddam Haftar, hanno assunto ruoli di primo piano). In breve, la sopravvivenza politica e militare di Haftar è legata a doppio filo al supporto russo.

Dal lato russo, Haftar rappresenta un veicolo per gli interessi del Cremlino in Libia e nel Mediterraneo.

A differenza di Assad in Siria, Haftar non è un alleato ideologico né totalmente dipendente da Mosca, bensì un partner opportunistico. Il Cremlino lo considera in parte uno strumento utile ma inaffidabile: documenti interni lo descrivono come un “tigrotto di carta poco affidabile”.

Ciò nonostante, finora Haftar ha consegnato alla Russia ciò che questa maggiormente cercava: accesso strategico e basi. Ospitando Wagner e lasciando che Mosca sviluppi infrastrutture militari nelle sue zone (come al-Khadim, al-Jufra, Brak al-Shati, Qardabiya e ora Maaten al-Sarra), Haftar ha di fatto concesso alla Russia l’uso di porzioni di territorio libico senza che esista un trattato ufficiale o una presenza dichiarata.

Di fatto, esistono basi in cui i comandanti dell’LNA devono chiedere il permesso ai russi per accedere, segno di quanto Mosca abbia istituzionalizzato la propria presenza militare all’interno dell’apparato di Haftar. In cambio, il generale ottiene non solo assistenza bellica ma anche un aumento del proprio peso negoziale: avere l’appoggio di una grande potenza gli conferisce prestigio e timore reverenziale agli occhi di amici e nemici.

La Russia, dal canto suo, beneficia di un partner locale che baratta sovranità per sopravvivenza: simile ad Assad in questo (entrambi autocrati disposti a concedere basi pur di restare al potere), Haftar offre a Mosca la possibilità di espandere influenza senza dover gestire direttamente il Paese.

Inoltre, la presenza russa in Cirenaica permette di condizionare indirettamente il futuro della Libia: eventuali negoziati di pace o elezioni dovranno tenere conto del “peso militare” che Mosca avrà sul terreno, dando al Cremlino un seggio ufficioso al tavolo delle trattative.

Tuttavia, questa relazione presenta anche sfide e ambiguità. Anzitutto, Haftar non ha (finora) formalizzato alcuna concessione permanente ai russi: ufficialmente nega di aver autorizzato basi straniere e in passato avrebbe persino rifiutato un aumento eccessivo di personale russo nei suoi territori.

Il suo supporto a Mosca è pragmatico, ma potrebbe venire meno se gli equilibri cambiassero (ad esempio, se ottenesse ciò che vuole – il potere su tutta la Libia – potrebbe ridurre la dipendenza dai russi, oppure, al contrario, se ritenesse l’appoggio russo insufficiente potrebbe cercare altre sponde).

La Russia, dal canto suo, è consapevole di questa volatilità e ha diversificato i contatti: mantiene dialogo anche con figure dell’Ovest (ufficialmente con il governo di Tripoli, almeno a livello diplomatico) e con attori regionali come l’Egitto, in modo da non legarsi esclusivamente al destino di Haftar.

Inoltre, Mosca ha adattato il proprio coinvolgimento modulandolo attraverso Wagner e consiglieri “ombra”, proprio per poter negare responsabilità e calibrarlo con flessibilità.

Un esempio è l’episodio del 2019-2020: quando Haftar lanciò l’offensiva finale su Tripoli, i mercenari Wagner inizialmente spinsero l’azione, ma all’arrivo dei turchi si ritirarono tatticamente, lasciando l’LNA esposto alla sconfitta.

Ciò ha dimostrato che la priorità russa non era la vittoria di Haftar a ogni costo, bensì assicurarsi un ruolo nel paese: ritirandosi in tempo, i russi hanno evitato perdite dirette, conservando il loro contingente per difendere la Cirenaica e proseguire il “gioco lungo”.

Questa mossa, pur umiliante per Haftar, ha fatto sì che egli dipendesse ancor più da Mosca per la propria sicurezza dopo la ritirata. In sostanza, il Cremlino tiene Haftar in bilico: abbastanza aiuto da farlo sopravvivere (e tenerlo sotto influenza), ma non abbastanza da renderlo autosufficiente o trionfante senza Mosca.

Le opportunità per la Russia restano comunque notevoli. Haftar controlla le maggiori riserve petrolifere libiche e grandi terminal (es. Sirte, “mezzaluna petrolifera”), e la Russia ha già mostrato interesse economico: Rosneft ha firmato accordi per commercializzare greggio libico.

Un Haftar sempre più dipendente potrebbe agevolare l’ingresso di compagnie russe nel settore energetico libico, a scapito delle occidentali.

Inoltre, se Haftar riuscisse un giorno a entrare in un Governo unitario libico o a far eleggere un suo alleato alla presidenza, Mosca avrebbe voce in capitolo in un paese del Nord Africa cruciale, espandendo la sua sfera d’influenza al Mediterraneo meridionale.

D’altro canto, le incognite non mancano: la salute e l’età di Haftar (è sui 80 anni) pongono la questione della successione – se subentrassero i figli, Mosca dovrebbe ricostruire rapporti di fiducia; inoltre, un eventuale riavvicinamento di Haftar all’Occidente (attraverso promesse francesi o americane) potrebbe limitare le opportunità russe.

In definitiva, il rapporto Russia-Haftar è un matrimonio di convenienza dove Mosca deve continuamente bilanciare sostegno e pressione per assicurarsi che il generale rimanga un alleato utile e non diventi un ostacolo o un investimento perdente.

Confronto con l’esperienza russa in Siria

L’intervento russo in Libia, sebbene meno plateale di quello in Siria, presenta sia analogie che differenze significative rispetto alla campagna siriana:

  • Approccio diretto vs. indiretto: In Siria la Russia è intervenuta apertamente nel 2015 a sostegno del governo di Assad, schierando forze regolari (aeronautica, difesa aerea, forze speciali) e dichiarando basi permanenti (Hmeimim, Tartus) sotto accordi ufficiali con Damasco. In Libia, invece, Mosca ha adottato un approccio indiretto e semi-denegabile: ha impiegato mercenari privati (Wagner) e consiglieri militari senza mai riconoscere ufficialmente un coinvolgimento militare. Le sue basi in Cirenaica operano de facto, ma non sono sancite da trattati né sventolano la bandiera russa. Questa differenza riflette i differenti contesti legali (Assad era un governo riconosciuto che poteva invitare formalmente Mosca; Haftar no) e la volontà russa di evitare sanzioni o contraccolpi diplomatici più pesanti in Libia mantenendo un profilo più basso.
  • Obiettivi dichiarati: In Siria, l’obiettivo proclamato era combattere il terrorismo e salvare lo stato siriano dal collasso, garantendo allo stesso tempo una testa di ponte russa nel Medio Oriente. In Libia, ufficialmente la Russia appoggia i negoziati di pace ONU e nega di avere truppe sul terreno; ufficiosamente, punta a espandere la propria proiezione di potenza e a controllare risorse ed equilibri regionali. Si può dire che in Siria Mosca ha agito da guardiano di un regime alleato, mentre in Libia agisce da spoiler e da opportunista: non mira a far vincere completamente Haftar (che creerebbe forse imbarazzi internazionali), ma a mantenere uno stallo favorevole che le dia influenza a lungo termine. L’analogia sta nel fatto che in entrambi i casi la Russia sfrutta un conflitto civile per inserire un proprio cuneo geopolitico: Assad e Haftar, pur diversi, hanno svolto il ruolo di partner locali disposti a concedere basi in cambio di supporto.
  • Rischio vs. beneficio: In Siria, la Russia si è esposta al rischio militare di un intervento contro vari gruppi armati, perdendo anche alcuni uomini e mezzi, ma ha potuto testare sul campo nuove armi e tattiche (un beneficio collaterale) e soprattutto ha guadagnato prestigio internazionale come potenza decisiva. In Libia, il rischio per Mosca è stato contenuto poiché ha usato truppe proxy; tuttavia, vi è il pericolo di scontri indiretti con la Turchia (NATO) se la situazione degenerasse. Finora il costo dell’operazione libica per la Russia è stato limitato e in gran parte oscuro all’opinione pubblica (a differenza della Siria seguita dai media globali), mentre il potenziale beneficio – in caso di successo – sarebbe avere accesso alle maggiori risorse petrolifere africane e posizioni militari su una rotta migratoria e strategica per l’Europa. Si tratta di un guadagno strategico forse ancor più minaccioso per l’Occidente di quello siriano, poiché tocca il fianco sud dell’UE e l’Africa del Nord, come sottolineato anche da esponenti NATO.
  • Contesto diplomatico: In Siria, l’intervento russo è avvenuto in aperta contrapposizione agli Stati Uniti (che chiedevano le dimissioni di Assad) ma ha finito col coesistere con la presenza americana (limitata alla lotta all’ISIS) e soprattutto ha dovuto coordinarsi con la Turchia e Israele sul terreno per evitare incidenti. In Libia, la situazione diplomatica è più complessa: la Russia deve equilibrare rapporti con più attori (Egitto, Emirati – sponsor di Haftar – ma anche mantenere dialogo con Italia e Francia, e persino con Turchia con cui ha accordi su altri fronti). La divisione in seno alla NATO sulla Libia (ad esempio, Francia e Italia su sponde opposte nel 2019) ha offerto a Mosca spazi di manovra maggiori rispetto alla Siria, dove la NATO era più compatta nel condannare Assad. Inoltre, mentre in Siria la Russia è stata parte di un processo negoziale parallelo (Astana) insieme a Turchia e Iran, in Libia Mosca partecipa ufficialmente al processo di Berlino/ONU ma preferisce agire dietro le quinte, consapevole che il suo ruolo non è riconosciuto apertamente. Un parallelo interessante è che in entrambe le crisi Mosca ha sfruttato il disimpegno occidentale: in Siria l’esitazione di Obama nel 2013 e il focus degli USA solo su ISIS hanno lasciato campo a Putin; in Libia, il vuoto lasciato dopo il 2011 e la riluttanza occidentale a farsi coinvolgere di nuovo militarmente hanno permesso alla Russia di inserirsi gradualmente dal 2017 in poi.In definitiva, la Libia può essere vista come la “seconda edizione” dell’intervento russo all’estero, ma con un modus operandi adattato: meno rischi diretti, più uso di delegati, ma obiettivi strategici comparabili – proiettare influenza, assicurarsi basi, contrastare l’Occidente e guadagnare accesso a risorse.

Se in Siria la Russia ha agito da attore dominante e alla luce del sole, in Libia agisce da attore nell’ombra, sfruttando la frammentazione locale e i contrasti tra le potenze regionali per ritagliarsi una sfera di presenza.

Le analogie con la Siria aiutano a spiegare le mosse del Cremlino, ma le differenze di contesto significano che l’esito in Libia è tutt’altro che garantito: molto dipenderà dalla tenuta di Haftar, dalle mosse di Ankara e dalle contromisure occidentali nei mesi a venire.

Conclusioni

La crescente attività russa presso la base di Maaten al-Sarra segnala la volontà del Cremlino di ancorarsi stabilmente nel Mediterraneo centrale e nel Sahel, ridefinendo la propria postura geopolitica nell’era post-Siria. Questa base, per la sua posizione isolata ma strategica, funge da simbolo del nuovo orientamento: Mosca si spinge dove l’influenza occidentale è debole o divisa, colmando vuoti di potere a proprio vantaggio.

La zona del Sahel

 

Se riuscirà a consolidarla, la Russia otterrà un duplice risultato: colmare il gap logistico creato dall’incertezza in Medio Oriente e proiettare la propria ombra lunga sul Nord Africa.

Le implicazioni di ciò sono profonde.

Un avamposto russo logistico-operativo in Libia meridionale rafforzerebbe il ponte verso l’Africa subsahariana, cementando l’asse con le giunte militari filo-russe e minacciando di tagliare fuori l’Europa da un’area di importanza strategica (sia per l’energia che per la sicurezza, vista la rotta migratoria e terroristica saheliana). Allo stesso tempo, la presenza russa aggraverebbe le tensioni nel Mediterraneo: NATO e UE dovrebbero fronteggiare una nuova sfera d’influenza russa sulla sponda sud, con potenziali ripercussioni sul controllo dei flussi di armi e sulla stabilità di paesi chiave come l’Egitto e la Tunisia.

Attori regionali come la Turchia e l’Egitto continueranno a giocare la loro partita, rispettivamente ostacolando o assecondando (in parte) l’avanzata russa, mentre potenze europee come Francia e Italia cercheranno di proteggere i propri interessi (energia, sicurezza) negoziando con Haftar o sostenendo il fragile Governo di Tripoli.

Il rapporto con Haftar rimane l’ago della bilancia del successo russo in Libia.

Mosca dovrà investire con attenzione: troppo supporto potrebbe rendere Haftar abbastanza forte da sfuggirle, troppo poco rischia di farlo cedere alle lusinghe altrui. Finora il Cremlino è riuscito a tenerlo sulla corda, stringendo gradualmente la sua presa – come mostra la crescente presenza in basi libiche e il controllo di fatto su infrastrutture militari dell’LNA.

Ma la storia insegna che affidarsi a un uomo forte locale comporta sempre incertezze; la traiettoria di Haftar potrebbe riservare sorprese analoghe a quelle di altri alleati traballanti.

La differenza la farà la capacità russa di adattarsi: in Siria ha saputo farlo, mantenendo influenza anche dopo drastici mutamenti (dialogando col nuovo regime post-Assad per Tartus); in Libia sarà chiamata alla stessa flessibilità tattica.

In conclusione, la base di Maaten al-Sarra incarna la scommessa russa nel Mediterraneo meridionale e in Africa.

È al tempo stesso una mossa difensiva – per compensare arretramenti in Siria – e offensiva – per espandere il raggio d’azione verso nuove regioni.

L’evoluzione dei prossimi mesi andrà osservata da vicino: dalle immagini satellitari che monitorano i progressi sulla pista di al-Sarra, ai tavoli diplomatici dove si incrociano emissari russi, americani, turchi ed europei, fino ai deserti del Fezzan dove si decidono alleanze tribali e rotte di contrabbando.

La partita libica della Russia non è che all’inizio, ma potrebbe ridefinire gli equilibri strategici dal Mediterraneo al Sahel per gli anni a venire.

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