Siria, Mario Mauro: “Guerra preparata già da anni. Quando nel 2013 l’Italia disse no a Francia e Gran Bretagna”

Di Emanuele Lorenzetti

Roma. Sulle ipotesi di un intervento militare in Siria ed alle sue possibili conseguenze, Report Difesa ha intervistato il senatore Mario Mauro, ex ministro della Difesa e vice presidente del Parlamento Europeo, che ha sottolineato la necessità di un dialogo tra le parti, attraverso la diplomazia, come già fece nel 2013 il Governo  guidato da Enrico Letta.

Il senatore Mario Mauro, ex ministro della Difesa nel Governo Letta

Senatore Mauro, USA, Gran Bretagna e Francia hanno dato il via ai bombardamenti in Siria, provocando lo sconcerto della comunità internazionale. Come interpreta lei questa decisione repentina?

In realtà è una decisione che cova da molti anni. Ricordo che nel 2013 già Francia e Gran Bretagna avevano fatto una ricognizione delle disponibilità dei Paesi alleati per un attacco contro le presunte basi di armi chimiche di Assad. Ed, in quel caso, un complesso lavoro diplomatico che aveva portato avanti anche la stessa Italia in occasione del G20 di San Pietroburgo, il Governo Letta aveva contribuito a promuovere un ripensamento da parte americana che si era concluso con la consegna da parte dei siriani degli arsenali chimici, per il tramite dei russi. Arsenali che poi sono stati disinnescati e distrutti in alto mare, con un’operazione molto complessa a cui l’Italia ha fortemente contribuito.

L’attacco di sabato all’alba in Siria

In Siria come in Iraq?

La strategia di accusare un ipotetico avversario di utilizzo di armi chimiche è un copione che si ripete sin proprio dai tempi dell’Iraq. Ma, in ogni caso, mantenendoci a una lettura che voglia prendere in considerazione le osservazioni dei Paesi che sabato notte si sono mossi sul piano militare, vanno ricordati tre altri importanti fattori.

Quali?

Il primo: argomento logico. Che senso ha per Assad usare armi chimiche quando sul terreno sta vincendo e sta riportando il territorio siriano sotto il controllo del regime? L’unico senso apparente sarebbe per il piacere di farsi sparare in testa dagli americani. Seconda osservazione: la documentazione che provi che gli attacchi chimici ci siano stati non c’è, al momento, e sui video che vengono girati si possono nutrire ragionevoli dubbi.

Per di più questo attacco di fatto, probabilmente, l’unica cosa che riuscirà a compromettere è la visita che dovevano fare gli ispettori dell’ONU che avrebbero dovuto accertare la violazione di quella regolamentazione. Io credo, piuttosto, che questo attacco in chiave politica sia un segnale mandato ai tradizionali alleati dell’Occidente in quell’area cioè Israele, Turchia e in particolare Arabia Saudita, perché non tentino strategie proprie che metterebbero a repentaglio l’equilibrio dell’area stessa. Lo dico, perché in questo modo salvo in parte anche il senso di quello che è stato fatto da americani, francesi e inglesi che altrimenti si rivelerebbe per molti versi incomprensibile. Ma, soprattutto, perché effettivamente il rischio che si compromettano sul piano militare per esempio i sauditi, soprattutto dopo aver fatto un acquisto di armi dall’amministrazione Trump di 110 miliardi di dollari, credo sia un rischio che in fondo non si possono permettere.

Assad con alcuni suoi soldati

Il Cremlino condanna l’attacco. Quali saranno le reazioni di Russia e Iran?

Se tutti sono molto attenti assisteremo a un balletto tragico di cui soffrirà particolarmente la Siria. Se qualcuno in questo balletto sbaglia a mettere un passo, ciò che oggi è, come la chiama Papa Francesco, una “terza guerra mondiale a pezzi” potrebbe in qualunque momento dilagare.

Quindi, secondo lei, il rischio di un conflitto è reale?

Il rischio di un conflitto è reale quando sono impegnati, sul terreno di una guerra che viene chiamata civile, potenze regionali con arsenali di particolare profilo. Penso alla Turchia, ai sauditi, all’Iran ed allo stesso Israele; e per di più coinvolge le due principali potenze militari del mondo: Russia e Stati Uniti.

La Francia ha dato il via libera all’attacco. Di poche ore prima, invece, è la decisione dell’Eliseo di frenare l’escalation a favore del dialogo con la Russia. Dove vuole arrivare Macron?

Credo che Macron stia in modo limpido riprendendo la posizione di Sarkozy, cioè cerca una collocazione sullo scenario internazionale che agevoli il suo consenso sul piano interno. Per certi versi è una posizione che richiama anche quella del Presidente Trump ed è una posizione che in passato ha segnato non poco lo scenario, per esempio dei Governi di Sarkozy e di Obama, che alla fine hanno creato più problemi di quanto ne abbiano risolti.

Il Presidente Macron

Taluni hanno paragonato Macron a Picot, ovvero l’idea per un nuovo accordo “Sykes-Picot” per il Medio Oriente. Condivide l’analisi?

Guardi, tendenzialmente che ci sia la voglia di modificare i confini siriani penso che sia sotto gli occhi di tutti. Le operazioni stesse sul terreno condotte dai turchi vanno in quella direzione. Che sia una buona idea, io dubito.

L’attuale scenario geopolitico quanto, invece, influisce nel dibattito politico italiano? Molti parlano di un’accelerazione delle consultazioni. È plausibile?

Tutto quello che condiziona la nostra vita e, quindi, non solo l’agenda dello scenario della guerra e della pace, ma per esempio gli importanti appuntamenti che ha in seno l’Unione Europea, attendono anche un Governo come quello italiano perché trattano del proprio bilancio e delle proprie prerogative. Hanno evidentemente il potere di influenzare la creazione del nostro Esecutivo. Credo, però, che chi è chiamato a fare il Governo in Italia debba, innanzitutto, rispondere alla volontà degli elettori, i quali hanno di fatto generato due maggioranze parallele, e cioè hanno dato la palma del vincitore sia al partito di Luigi Di Maio sia alla coalizione di centrodestra. Sono, quindi, queste forze che hanno la responsabilità in primo luogo di cercare l’intesa, perché coinvolgere in questa fase il Partito Democratico vorrebbe semplicemente dire che reputano di non essere all’altezza, di non poterlo essere cioè, oltre che di lotta, di Governo.

Il Presidente Sergio Mattarella, per dare stabilità al Paese, potrebbe affidare la presidenza di Palazzo Chigi a una persona terza?

Sì, potrebbe farlo. Può succedere che lo faccia. Inutile dire che questa soluzione finirebbe ancor più per far maturare nell’elettorato l’idea che alla fine uno va a votare e poi non succede niente. E dico questo, con tutti i distinguo che bisogna fare, con riferimento alla struttura della nostra Repubblica, della nostra democrazia, e cioè una democrazia parlamentare.

Alla richiesta di Trump di utilizzare le basi americane in Italia, il presidente Gentiloni ha risposto di no. Quale sarà il ruolo dell’Italia?

Credo che l’Italia stia dando prova, in questo momento, di ragionevole prudenza. Piacerebbe che questa ragionevole prudenza un po’ alla volta contagiasse, come nel 2013, gli attori che pensano attraverso le bombe di poter fare maturare il concetto di democrazia.

Se la NATO decidesse di intervenire, l’Italia dovrà rivedere la sua posizione?

L’Italia non può neanche lontanamente pensare di uscire dall’Alleanza atlantica. In più di una circostanza l’Italia è stata abile e capace nel contesto NATO, soprattutto ascoltando i propri militari. Perché i militari, che hanno sempre concepito il proprio servizio a disposizione della politica, cioè della nostra democrazia, sanno bene che non è questo il modo politico più intelligente di usare i militari stessi. Quindi, io credo che moltiplicando gli sforzi in questa attenzione si possa essere capaci anche di ricostruire un ponte di comprensione con quelle popolazioni. Poi, per quello che attiene il destino di un regime come quello di Assad è più giusto che siano i siriani a pensarci.

Torniamo al contesto siriano. Lei che conosce molto bene la realtà di quello Stato, l’ipotesi di un intervento militare può migliorare o peggiorare la situazione della popolazione inerme?

Sicuramente peggiorare, nel momento in cui un qualsivoglia intervento militare voglia dire ridare fiato alle formazioni come quelle di Jabhat al-Nuṣra, o addirittura l’ISIS, che hanno gettato nel caos il Paese. (a conferma di queste parole un attacco in Siria rivendicato dall’ISIS ndr).

È possibile un rovesciamento di Assad? E se sì, qual è l’alternativa politica, in grado oggi di ricostruire il Paese?

Se deve essere cercato un rovesciamento di Assad per via militare vorrebbe dire aprire un conflitto diretto con la Russia. Io sconsiglierei a tutti quanti questo tipo di approccio. Più ragionevole, invece, in una trattativa di pace capace di coinvolgere il più possibile anche i tanti oppositori di Assad, che però non sono arrivati ad imbracciare le armi contro il proprio popolo ma anche molti oppositori che hanno avuto scontri armati con le truppe, diciamo, legittimiste, che però poi in un secondo tempo hanno rivisto le proprie posizioni. Credo, insomma, ci siano tutte le condizioni perché le istituzioni internazionali, dalle Nazioni Unite al tavolo che si è creato ad Astana con turchi, iraniani e russi possano favorire delle intese. Poi arriverà comunque un giorno in cui bisognerà dare la parola agli elettori.

Il Medio Oriente è lo specchio dell’Europa. Quali potrebbero essere le conseguenze di un intervento militare dal punto di vista della sicurezza? Come valuta le nostre Agenzie di intelligence?

Guardi, in realtà il fatto che da molti anni le Agenzie di intelligence non sono più direttamente presenti in Siria, ma sono accampate, diciamo, nei Paesi limitrofi, tranne chi opera in condizioni del tutto eccezionali, sicuramente hanno creato difficoltà nel darci un’idea chiara per esempio di quella che è l’opinione reale dei siriani sull’andamento del conflitto. Noi seguiamo i media che ci propongono servizi strampalati su quelle che sono le vittime del regime di Assad ma, in realtà, quando si sta lì in Siria si vede che l’opinione popolare considera molte delle formazioni ribelli alla stregua di formazioni realmente criminali.

Quindi è una lettura molto complessa. In ogni caso sul piano più generale è ovvio che, come ha minacciato lo stesso ministro degli Esteri russo, Lavrov, continuare attacchi militari in Siria vuol dire portare in Europa milioni e milioni di siriani. Anche su questo l’Unione Europea deve ragionare nel suo complesso, non come Francia o Inghilterra, ma come Unione Europea. In questo senso, ancora una volta, vale la pena dare ragione ad Angela Merkel.

Trump e Lavrov

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