Giappone: Sanae Takaichi ridisegna l’intelligence nazionale tra ambizione strategica e rischio politico

Di Giuseppe Gagliano*
Con la sua elezione a primo ministro nel 2025, Sanae Takaichi ha aperto un capitolo inedito nella storia del Giappone contemporaneo: è la prima donna a guidare il Paese e lo fa in un contesto di tensione interna e pressione internazionale. Appena insediata, ha incaricato Kazuya Hara, direttore del Cabinet Intelligence and Research Office (CIRO), di creare una nuova agenzia dedicata al coordinamento dell’intelligence nazionale. L’obiettivo è chiaro: unificare i frammenti del sistema di raccolta e analisi informativa giapponese, ancora disperso tra ministeri e organismi paralleli, e rafforzare la capacità di risposta a minacce esterne provenienti da Cina, Corea del Nord e Russia.
La figura di Kazuya Hara e il modello della nuova agenzia
Kazuya Hara, nominato direttore del CIRO nel 2023, è considerato il “maestro delle spie” del Giappone: un funzionario pragmatico, esperto di controspionaggio e sicurezza cibernetica, con una carriera costruita nel cuore dell’apparato di sicurezza nazionale. Il CIRO, noto come Naichō, coordina già la raccolta di informazioni strategiche, le operazioni clandestine e la protezione contro minacce ibride. Tuttavia, la nuova struttura — che dovrebbe prendere il nome di National Intelligence Bureau — mira a superare l’attuale frammentazione burocratica, diventando una cabina di regia simile all’Office of the Director of National Intelligence (ODNI) statunitense o al sistema integrato britannico.
La futura agenzia dovrebbe includere divisioni dedicate a analisi satellitare, sicurezza economica, controintelligence, cybersecurity e cooperazione inter-agenzia, rendendo più fluido lo scambio di informazioni tra CIRO, Ministero della Difesa, Polizia nazionale e Public Security Intelligence Agency (PSIA). Si tratterebbe della riforma più radicale dai tempi della guerra fredda, quando il Giappone scelse di mantenere un profilo basso nel settore dell’intelligence in virtù della sua Costituzione pacifista.
Il centro di una città giapponese (foto Jezael Melgoza su unsplash)
Una decisione politica rischiosa, ma inevitabile
La mossa di Takaichi è audace ma rischiosa. La sua coalizione di governo, composta dal Partito Liberal Democratico (LDP), da Komeito e da piccoli alleati, appare fragile e attraversata da tensioni. Alcuni esponenti moderati temono che un’espansione dei poteri di intelligence possa minare le libertà civili e aprire la strada a una sorveglianza interna eccessiva. Il Partito Costituzionale Democratico (CDP) ha già accusato il governo di voler “militarizzare la società giapponese sotto il pretesto della sicurezza”. Anche i media, tra cui Kyodo News e Asahi Shimbun, hanno espresso timori per i rischi legati alla privacy e al controllo politico dell’informazione.
Takaichi, invece, difende la riforma come necessaria per “rafforzare la potenza nazionale” e rendere il Giappone un attore autonomo nel campo dell’intelligence, in linea con la sua visione conservatrice e filo-americana. Da tempo sostiene che la sicurezza economica e informativa sia la nuova frontiera della sovranità, e la creazione dell’Agenzia di Coordinamento dell’Intelligence rappresenta la concretizzazione di questa idea.
Geopolitica e strategia: il Giappone come potenza d’intelligence
La decisione si inserisce in una cornice geopolitica complessa: Pechino rafforza la sua presenza nel Mar Cinese Orientale, Pyongyang continua a testare missili balistici, e Mosca moltiplica le operazioni di spionaggio tecnologico. In questo scenario, Tokyo non può più contare solo sull’ombrello americano, ma deve costruire una rete autonoma di intelligence capace di prevenire crisi ibride, cyberattacchi e manipolazioni informative.
Il Giappone, da potenza economica e tecnologica, punta così a diventare anche un attore strategico nel campo della sicurezza globale. Se il progetto dovesse concretizzarsi, segnerebbe una svolta epocale: l’ingresso del Paese nel ristretto club delle nazioni dotate di un sistema d’intelligence centralizzato e integrato.
Conclusione: la sfida del controllo e della legittimità
La creazione del National Intelligence Bureau rappresenta una scommessa politica e istituzionale per Takaichi: un tentativo di costruire un apparato moderno ed efficiente, ma anche di ridefinire il rapporto tra sicurezza e democrazia. Le prossime settimane saranno decisive per capire se la premier riuscirà a imporre la riforma in un Parlamento diviso e sotto il fuoco incrociato dell’opposizione.
Se il progetto dovesse realizzarsi, il Giappone uscirebbe dal suo lungo “dopoguerra dell’intelligence”, abbandonando la tradizionale riservatezza per assumere un ruolo attivo nel confronto globale tra potenze. Ma il prezzo, avverte la società civile, potrebbe essere alto: quello di una libertà sorvegliata in nome della sicurezza nazionale.
*Presidente Centro studi strategici (Cestudec)
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